Processo Mori, ancora misteri

19-10-2012 Il pentito di mafia Rosario Cattafi sarà chiamato a deporre al processo al generale Mario Mori, accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, insieme al colonnello Mauro Obinu. Questa è stata la decisione presa oggi in aula dal presidente della quarta sezione penale del Tribunale di Palermo Mario Fontana, accogliendo la richiesta del pm, Antonino Di Matteo.

Il pentito, oggi detenuto nel carcere dell’Aquila con l’accusa di associazione mafiosa, ebbe rapporti con il magistrato Francesco Di Maggio nel giugno del 1983, quando fu interrogato in occasione dell’omicidio del procuratore di torinese, Bruno Caccia. In tale occasione Cattafi venne a sapere da alcuni informatori tra cui il sedicente agente del Sisde Enrico Mezzani che era possibile ” trattare” per ottenere alcuni vantaggi.

Il pentito denominato come “L’avvocato dei misteri” in seguito ebbe a dire durante un interrogatorio avvenuto con alcuni magistrati a Palermo, che Francesco Di Maggio lo avrebbe incaricato di parlare con il boss Nitto Santapaola per chiedergli di fermare le stragi mafiose in cambio di alcuni benefici carcerari. Lo stesso ha anche sostenuto di essere in possesso di alcune registrazioni che documentano l’accaduto.

Intanto oggi in aula è stato sentito il fratello di Francesco Di Maggio, Tito Di Maggio, da sempre impegnato nella dura lotta per difendere l’onore dell’ex giudice morto nel 1996 coinvolto nell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia.

Lui ha fatto riferimento ad alcuni documenti ritrovati nell’abitazione del fratello dopo la sua morte, i quali però non sono ne firmati, ne datati, e ha detto:  “Mio fratello, suppongo abbia chiesto per questo le dimissioni che l’allora ministro Giovanni Conso straccio’ dicendo: ” fino a quando io ricopro questo incarico tu non puoi andare! “. E ricorda una telefonata nella quale con tono disperato Di Maggio diceva al fratello: ” Per l’ennesima volta stanno facendo una cazzata, io voglio andare via. Non posso essere complice della mancata proroga del 41 bis”.

E a proposito dell’arrivo di Di Maggio alla vice direzione delle carceri il fratello Racconta:  “Mio fratello fu chiamato a Roma dall’allora presidente della Repubblica Scalfaro che gli chiese se poteva fare da trait d’union con i magistrati Milanesi per una “soluzione politica” all’inchiesta su Tangentopoli, che poi non andò in porto. Per tenerlo a Roma poi, gli fu offerto il posto al Dap, dove lo stesso Falcone un anno prima gli propose di andare. Durante una cena avvenuta la sera prima della sua partenza per Palermo”. Tale ricostruzione si può trovare in alcune pagine scritte poco prima della morte da Di Maggio, e ritrovate dal fratello Tito,” dove si legge: ” Con uno stratagemma tipicamente capitolino mi avevano richiamato in patria …. Qualcuno aveva conservato memoria della mia assiduità al lavoro e concepito di affidarmi le funzioni di ufficiale di collegamento tra la giurisdizione Padana ed il Palazzo..”.


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