I Borboni in Sicilia? Meglio perderli che trovarli

Nella disputa storica che riguarda il modo in cui la Sicilia è entrata a far parte dello Stato unitario – tema controverso e in qualche caso sicuramente da riscrivere – da qualche parte, interessata alla polemica piuttosto che alla verità, si è tentato di accreditare l’idea che i Siciliani ritenessero legittimo e fossero, quindi, sostanzialmente soddisfatti del regime borbonico. Dunque, Garibaldi e i suoi Mille si sarebbero abusivamente e con violenza, appropriati d’un Regno, quello di Sicilia, che peraltro dal 1816 non c’era più, soffocandone le libertà e sovrapponendo regole e leggi estranee alla cultura ed alle tradizioni dell’Isola.

Su questa interpretazione fa aggio, naturalmente, un neoborbonismo che non si fa scrupolo di inneggiare a Francesco II Borbone-Duesicilie, buon uomo ma politicamente inconsistente, che, proprio nell’Isola, alla luce delle vicende che hanno segnato i secoli XVIII e XIX, storicamente, non dovrebbe avere alcuna ragione di esistere. Una simile, falsa lettura del periodo in questione non tiene conto del fatto che i Siciliani siano stati tradizionalmente antiborbonici, la ormai nota “opposizione al riformismo borbonico”, e che proprio contro i Borbone, a ragione o a torto, abbiano, nel corso di oltre un secolo, più volte preso le armi reclamando un’autonomia e autogoverno. (sopra, foto dei Mille tratta da 150anniinsieme.blogspot.com)

Nè, tale lettura, tiene conto che, a partire dal 1849, data che vede il tramonto dell’ultima e gloriosa rivoluzione siciliana, l’Isola ha vissuto un periodo di incertezze e di grande fibrillazioni sociale, segnato da ripetuti episodi di ribellismo antiborbonico. Il più famoso fu quello del novembre del 1856, quando Salvatore Spinuzza e Francesco Bentivegna provarono a spingere le masse contro l’oppressione borbonico-napoletana. Tentativo, quello, velleitario e generoso ch’ebbe purtroppo un esito drammatico e che si concluse con la condanna alla pena capitale, dopo un sommario processo, dei due patrioti, nel successivo marzo 1857.

Gli stessi estimatori dei Borbone dimenticano, poi che, il 4 aprile 1860, a poche settimane dallo sbarco dei Mille, si verificò un ultimo disperato tentativo rivoluzionario, questa volta ad opera di un popolano, l’artigiano Francesco Riso. Mi riferisco alla cosiddetta rivolta della Gancia. Anche quella rivolta, che vide il sacrificio delle purtroppo dimenticate cosiddette “tredici vittime” , rese manifesto l’odio che i siciliani ormai nutrivano verso i Borbone, considerati, anche dalle classi popolari, come stranieri e oppressori.

Infine chi, da siciliano, nutre sentimenti filoborbonici, dimentica il pesante regime di polizia a cui il territorio dell’Isola venne sottoposto, soprattutto nel decennio in questione, dal governo di Napoli. Gli occhiuti gendarmi borbonici, cui davano man forte prezzolati malavitosi, guidati dal famoso e spietato direttore di polizia, Salvatore Maniscalco, nella esasperazione repressiva arrivarono perfino a censurare certo tipo di rasatura, in particolare la “mosca” sotto il labbro, perché ai loro occhi appariva spia di adesione ai movimenti eversivi. Non è un caso che per sfuggire a questo pervasivo e soffocante controllo che, troppo spesso, dava luogo a gratuiti abusi, la maggior parte degli intellettuali siciliani, e non mi risulta che ve ne fossero favorevoli ai Borbone, avessero abbandonato l’Isola o si fossero rifugiati nel privato, astenendosi da ogni attività politica e, perfino, da ogni manifestazione artistica. (a destra, foto del regno delle due Sicilie, foto tratta daquimineo.netsons.org)

Aggiungo, infine, a chiusura, un argomento che solo da poco tempo ha trovato trattazione scientifica. Parlo del sistema amministrativo e legislativo che Garibaldi introdusse in Sicilia dopo il proclama di Salemi del 14 maggio 1860. Quando infatti si parla di un Garibaldi che impone in Sicilia un sistema normativo estraneo alla sua tradizione, si dice o si scrive il falso. Si dimentica, infatti, o piuttosto si sconosce, che proprio il generale dei Mille, attraverso e su consiglio del suo segretario di Stato, Francesco Crispi, ordinasse il ripristino, in blocco, dei decreti, delle leggi e dei regolamenti esistenti il 15 maggio 1849″, cioè quel sistema normativo che i Siciliani si erano dati a seguito della gloriosa rivoluzione del 1848 e che i vincitori borbonici si erano affrettati ad abrogare.


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Nella disputa storica che riguarda il modo in cui la sicilia è entrata a far parte dello stato unitario - tema controverso e in qualche caso sicuramente da riscrivere - da qualche parte, interessata alla polemica piuttosto che alla verità, si è tentato di accreditare l'idea che i siciliani ritenessero legittimo e fossero, quindi, sostanzialmente soddisfatti del regime borbonico. Dunque, garibaldi e i suoi mille si sarebbero abusivamente e con violenza, appropriati d'un regno, quello di sicilia, che peraltro dal 1816 non c'era più, soffocandone le libertà e sovrapponendo regole e leggi estranee alla cultura ed alle tradizioni dell'isola.

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