9 luglio 1943: ieri e oggi verso la libertà

Nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1943, gli Alleati sbarcarono sulle coste occidentali della Sicilia. Stava per chiudersi un’epoca tra le più drammatiche del XX secolo, che l’Umanità non potrà mai dimenticare.

Il ‘Secolo breve’, nato nel sangue della prima guerra mondiale aveva conosciuto l’orrore dei campi di sterminio e la notte della ragione, aveva visto in volto i mostri che ne avevano popolato gli incubi, avrebbe assistito attonito all’epilogo nucleare.

Nel volgere di appena trent’anni si erano dissolte idee apparentemente formidabili, di Stato, Potere, Nazione, Cultura che l’Illuminismo aveva distillato e instillato senza però cautelarsi dalle conseguenze. Quella notte del ’43, con lo sbarco in Sicilia aveva inizio una stagione di fiducia in un mondo più libero e più giusto in cui la memoria di quanto era accaduto sarebbe dovuta essere la più forte garanzia per non ripetere gli errori del passato.

Ma gli uomini dimenticano facilmente e troppo presto e la storia, non più maestra di vita, sembra sempre diventare uno stanco ritornello cantato ogni volta da bardi sempre più stonati. Perché non sappiamo imparare dai nostri errori? Perché, fatalmente, nel volgere di poche generazioni non sappiamo accorgerci, se non quando è troppo tardi, che ciò che avremmo potuto evitare è di nuovo lì davanti è dentro di noi e divora, avido, le nostre migliori intenzioni, i nostri solenni propositi, le nostre facile certezze di essere ormai immunizzati?

E’ nella natura dell’uomo, nel suo istinto primordiale aspirare al Potere. Forse una traccia rimasta nella nostra corteccia cerebrale che pulsa, in modo ora più, ora meno forte, e che ci induce a contendere la preda appena abbattuta, a disputarla all’altro in nome della sopravvivenza.

Eppure, due secoli di razionalismo, di riflessioni filosofiche, di scoperte neuro fisiologiche di teorie psicologiche e psicoanalitiche, di esperienze storiche globali, avrebbero dovuto neutralizzare tale spinta distruttiva e modificare la natura umana in direzione della solidarietà e della reciproca compassione.

Ma la grande ombra del Potere avvolge il mondo ed impedisce agli uomini di vedersi per ciò che realmente sono: fragili, deboli, bisognosi dell’aiuto degli altri, incompleti fino a quando non accettano l’altro come parte indispensabile a realizzare la propria umanità.

E’ dal desiderio di potere che sono nate le grandi tragedie antiche e moderne della nostra specie. Potere del più forte sul più debole, del più ricco sul più povero, dell’uomo sulla donna, dell’adulto sul bambino, del re sui sudditi, del rappresentante sul rappresentato.

Solo la società, mediante il patto che ciascuno di noi contrae per farne parte, è l’unico antidoto possibile, poiché scegliamo liberamente di rinunciare alla parte più feroce di noi stessi per conferirla, stemperata e addomesticata, a quell’identità collettiva più grande di cui abbiamo bisogno per sentirci veramente completi. (foto a destra tratta da storiainrete.com) 

La società diventa allora un costrutto complessivo di cui fanno parte i singoli, le istituzioni, le vite personali e quelle pubbliche, i comportamenti privati e le testimonianze politiche.

Troppo spesso è proprio nelle istituzioni che le società si danno proprio per difendersene, che il Potere trova il proprio terreno di massima fertile coltura, poiché lentamente inocula il sottile veleno della diversità, della – mai apertamente dichiarata – supposizione di esserne parte perché migliori, più capaci, più bravi, più competenti, più acuti, degli altri.

E’ in quel momento che ha inizio la divaricazione tra l’uso del Potere per permettere a tutti di potere e l’uso del Potere per derubare, anche sottilmente, gli altri di tale possibilità.

Il grande limite di ogni democrazia risiede proprio nel momento drammatico il cui il rappresentante interpreta se stesso come assoluto (dal latino “sciolto”, cioè libero da vincoli) e dimentica di essere la voce, il volto, le mani di coloro che lo hanno voluto, provvisoriamente, in quel ruolo.

Nascono così i privilegi, i distinguo, il triste giustificazionismo che umilia, prima ancora che le persone che le rivestono, le cariche stesse che, alla fine, diventano odiose in quanto tali, alimentano l’odio della gente normale, trascinano verso l’anarchia e l’antipolitica che sono, da sempre, le anticamere progressivamente sempre più oscure, in cui si prepara la notte della Libertà.

Oggi è il 9 luglio e tra poco una nuova classe dirigente troverà a giurare di sottomettere ogni propria azione all’interesse esclusivo della collettività. Ogni volta che tale gesto si compie è un nuovo inizio, una legittima speranza che “stavolta possa andare meglio” che il Potere possa essere distribuito e condiviso per la liberazione di tutti.

Una stagione di fede assoluta che accompagna la natura globalmente positiva dell’Uomo e che lo porta a sperare, contro ogni evidenza, che il mondo possa cambiare, che la società possa diventare il luogo in cui si compensano le disuguaglianze che la natura assegna a individui, luoghi, popoli e nazioni, in nome di leggi spietate ed eterne che solo la Cultura e la Politica possono controllare e tenere a freno.

Oggi ancora una volta ci viene data un’altra possibilità di non buttar via l’esperienza dei nostri padri, di non accorgerci troppo tardi che, anziché seguire le orme dei pochi che hanno cambiato il mondo, stiamo tragicamente ripercorrendo sentieri affollati da innumerevoli impronte che guidano verso nuove delusioni. (foto sopra tratta da lasecondaguerramondiale.com)

Che questa occasione non vada sprecata, che un nuovo inizio sia veramente il nuovo inizio, affinché le ombre che sembrano, per un momento, essersi ritratte nella notte della ragione, vi rimangano confinate per sempre, senza mai dimenticare che, ad ogni nostro passo falso, ad ogni nostra distrazione esse torneranno ad allungarsi su di noi e ad avere, presto o tardi, il nostro stesso volto.

Che il 9 luglio sbarchi definitivamente in questa terra bellissima e martoriata la vera liberazione, l’unica per cui vale la pena di lottare senza un attimo di pausa, poiché è la sola speranza di salvare l’uomo da se stesso, dalle sue paure più profonde, dai sui incubi più remoti.

Sia questo giorno una data che segni la più profonda discontinuità tra ciò che eravamo e ciò che, senza limite alcuno, abbiamo il diritto e la possibilità di essere, un giorno che sancisca il dovere e la necessità di fare accadere ciò che finora non abbiamo ancora avuto il coraggio di osare, un giorno che potremo raccontare fieri a coloro che verranno dopo di noi, donne ed uomini certamente migliori e sempre più consapevoli.

Foto di prima pagina tratta da inilossum.com

Foto sopra a sinistra tratta da furcisiculo.net

 

 

 

 

 

 


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