“Attenti, a Palermo ci sono troppi poveri”

Il nuovo centro studi (che si presenta oggi) intitolato a Livio Labor. “L’esclusione sociale a Palermo–disoccupazione, povertà, salute”. L’attività pastorale del Cardinale Arcivescovo del capoluogo siciliano, Paolo Romeo. I sacerdoti che operano in una città sempre più difficile. Il ruolo dei cattolici nella società che non può limitarsi al solidarismo. E la loro presenza attiva nell’agone politico, senza però pensare a un anacronstico ritorno al partito unico. La svolta di Todi e il richiamo dei vescovi al perseguimento dei bene comune. E, ancora, le ormai imminenti elezioni comunali che impongono a tutti i palermitani di ‘ripensare’ una città oggi allo sbando.
Parla Toni Costumati, 51 anni, presidente delle Acli di Palermo, l’organizzazione cattolica, da sempre presente e molto attiva nel ‘sociale’. Una realtà che, nel capoluogo siciliano, conta circa seimila iscritti. Ai quasi si aggiungono altri 12 mila tra uomini e donne che, direttamente e indirettamente, rappresentano l’indotto variegato di utenti e attivisti che operano nelle attività sociali promosse e gestite dalle Acli.

– La prima domanda è di cronaca: il nuovo centro studi, intitolato a Livio Labor, prestigioso presidente delle Acli dal 1961 al 1969. Iniziativa prevista per oggi, a Palermo, presso la sede della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia alle 16,00.

“Presentiamo una nuova struttura associativa – ci risponde Costumati – che è il frutto di un deliberato congressuale di quattro anni fa. Il nuovo centro studi prende il nome di Livio Labor che, insieme con Achille Grandi e Giulio Pastore, ha fatto la storia della nostra organizzazione. Oggi, più che nel passato, avvertiamo l’esigenza, di essere ancora più presenti nel sociale. Con analisi, studi e proposte”.

– Una sorta di osservatorio sulla città?

“Anche. Un osservatorio, diciamo così, con un ruolo attivo a propulsivo. Non a caso, a dirigere il nuovo centro studi abbiamo chiamato Alessandro Hoffman, docente universitario di discipline economiche e, da sempre, vicino al mondo cattolico impegnato nel sociale. Accanto a lui c’è un comitato scientifico di alto livello composto da ricercatori e altri docenti universitari. Il ruolo di questo centro studi sarà quello di analizzare la realtà cittadina, trasformando le analisi in proposte concrete”.

– A proposito di concretezza, a noi sembra che, in questa campagna elettorale in vista delle prossime elezioni comunali, di concreto, in termini di proposta politica per il futuro di Palermo, si sia visto poco…

“Purtroppo è così. Almeno fino ad ora si è parlato solo di candidati, di alleanze e di formule politiche. E non si è parlato dei problemi dei cittadini. A cominciare, per citare due esempi, dell’esclusione sociale e della povertà”.

– In compenso, infuria il ritornello sulla riduzione dei costi della politica, proponimento più annunciato che tradotto in fatti concreti.

“Anche su questo punto, purtroppo, avvertiamo molta demagogia. La semplice riduzione dei costi della politica, sganciata da un progetto di rilancio della città, rischia di apparire riduttiva. Certo, i costi della politica vanno ridotti, soprattutto in un momento in cui si chiedono enormi sacrifici ai cittadini. Ma – e lo dico a costo di apparire ripetitivo – questo tema va visto insieme a una nuova idea di città che dovrà tornare a far vivere quelle attività solidaristiche e, in generale, sociali che in questi ultimi anni sono state sacrificate sull’altare di un edonismo vacuo, se non stupido”.

– Fa riferimento alle tante, troppe case famiglia che a Palermo hanno chiuso i battenti?

“Faccio riferimento alle case famiglia non più sostenute dal Comune e, in generale, alle nuove povertà che si sommano alle vecchie. La situazione, in città, se non verranno adottati provvedimenti seri, rischia di diventare esplosiva. A mia memoria non ricordo tanta povertà. Di recente, le Acli siciliane hanno presentato una ricerca effettuata sulle modificate abitudini commerciali alla luce della crisi economica, che ha investito ancora più pesantemente i nostri territori. Emerge un dato che desta grande preoccupazione”.

– Ovvero?

“”Assistiamo, negli ultimi anni, a una riduzione degli acquisti da parte del cosiddetto ceto medio. Alcuni esempi: le automobili e le motociclette vengono utilizzate fino a esaurimento. Sono in pochi, insomma, quelli che cambiano auto e moto dopo pochi anni. Cosi come la gente tende a risparmiare sul teatro, sul cinema e sui libri. Non è poco amore per la cultura, ma mancanza di denaro. Si vanno modificando anche le abitudini alimentari. Prima, almeno per alcuni prodotti, si andava nelle botteghe zonali ed alla ricerca della genuinità: penso ai salumi, ai formaggi o ad altri alimenti di un certo pregio. Ora si va nei supermercati e negli hard discount. Insomma, anche a tavola non si va più tanto per il sottile: si acquistano prodotti alimentari purché siano economici. E non parliamo di quello che succede nei centri della Caritas”.

– Che succede?

“Succede che i frequentatori di questi centri, che forniscono pasti e, in generale, alimenti di prima necessità non sono più frequentati dai classici clochard. Da qualche tempo a questa parte arrivano anche persone che mai ci si aspetterebbe di dovere assistere perché fino a poco tempo fa godevano di una sufficiente autonomia economica, perché appunto appartenenti a categorie come pensionati, ma anche uomini e donne di mezza età che hanno perduto improvvisamente il lavoro e persino giovani. Sono anche i rappresentanti di quelle famiglie che non arrivano più alla quarta ma, spesso, neanche alla terza settimana del mese. E’ una situazione incresciosa, che aumenta di giorno in giorno. E noi temiamo che la situazione possa peggiorare”.

– Perché?

“Perché, nel futuro, anche immediato, non vediamo un cambiamento in positivo, ma un peggioramento legato agli interventi, seppur necessari, del governo nazionale, ma anche alla mancanza di prospettiva. Pensiamo allo stabilimento Fiat di Termini Imerese che ha chiuso i battenti. Noi ci auguriamo che, presto, a Termini ci sia il rilancio dell’automobile. Ma se questo progetto dovesse fallire l’impatto di questi nuovi disoccupati, combinato ai tagli che arrivano da Roma, sarebbe tremendo. Lo stesso discorso vale per i Cantieri navali di Palermo. Se l’attuale crisi si trasformerà in nuova disoccupazione i problemi, per la città, si moltiplicherebbero a dismisura”.

– Lei magari non condividerà lo spirito della nostra domanda, ma noi gliela poniamo lo stesso: non le sembra che, rispetto alla gestione approssimativa di Palermo e, in generale, di fronte al vuoto-niente dell’odierna politica regionale la voce del Cardinale Arcivescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo, sia un po’ troppo pacata?

“Non è così. Anzi, è vero il contrario. Il Cardinale Romeo è più volte intervenuto sui problemi della città e, in generale, sulla politica. E lo ha fatto con diverse lettere pastorali indirizzate alla città e alle istituzioni, comunque sorde ai suoi appelli e richiami”.

– E’ vero, le lettere pastorali non sono mancate. Però è un fatto che, a Palermo, si trovano i soldi per le future speculazioni nelle aree portuali, si trovano i soldi per pagare debiti fuori bilancio, in molti casi discutibili. E non ci sono i soldi per le case famiglia che chiudono…

“La verità è che, oggi, le istituzioni cittadine – queste istituzioni cittadine – sono sorde. Ed è, credetemi, un fatto culturale prima che economico. Ricordo che, qualche anno fa, lo slogan dell’attuale amministrazione comunale si riassumeva nella seguente formula: ‘Palermo città più cool’. Quelli che da dieci anni amministrano Palermo, tranne qualche rara eccezione, sono lontani mille miglia dall’idea del solidarismo cattolico. Quello che conta, per loro, è l’edonismo, l’epicureismo, spesso di bassa lega. Il risultato, anche alla luce della crisi economica mondiale che crea ovunque sacche di nuova povertà, non può che essere una città con i servizi sociali praticamente azzerati”.

– Negli anni ‘90, a Palermo, c’erano i sacerdoti molto impegnati nel sociale…

“E ci sono ancora. Non fanno passarelle, stanno tra la gente, soprattutto tra i più poveri. Oggi, quello che manca, è un impegno più attivo da parte dei cattolici, come, del resto, ha più volte sollecitato la Conferenza episcopale italiana. I cattolici, nel nostro Paese in generale e a Palermo in particolare, non possono restare confinati nel solidarismo, che è e resta importante, ma che, da solo, non basta. I cattolici debbono tornare a proporre soluzioni alla politica e all’economia. Insomma: debbono tornare a sporcarsi le mani con la politica”.

– Un ritorno a Sturzo?

“Sì, ma senza nostalgie per il ritorno al partito unico dei cattolici. O, peggio, al pensiero unico. Dobbiamo tornare a lavorare nella società, per l’affermazione del bene comune”.

– Questo significa che, alle prossime elezioni comunali di Palermo le Acli scenderanno in campo con propri candidati?

“Non lo escludo, stiamo ragionando su questo e su altri scenari. Che non riguardano solo Palermo, ma tutti i Comuni della provincia dove si voterà”.

– Dunque non siete molto soddisfatti di come è stata gestita Palermo in questi anni?

“Non è la prima volta che constatiamo e denunciamo il fallimento di questo decennio contrassegnato da amministrazioni comunali di centrodestra. Ma la responsabilità non è solo del sindaco uscente. Come ho già accennato, il problema è culturale. Prima Forza Italia e ora il Pdl sono portatori di una cultura – e di comportamenti – che non hanno nulla a che vedere con i valori del cattolicesimo sociale e democratico. E’ inutile fargliene una colpa: il solidarismo non è nel loro Dna. Questi amministratori, che si sono sempre presentati come portatori di una cultura manageriale, peraltro smentita dai fatti – basta pensare a come hanno gestito il precariato – non hanno capito una cosa importante”.

– Cosa?

“Che l’impresa sociale, se gestita correttamente, crea occasioni di lavoro e sviluppo. Ma, appunto, bisogna conoscerla e, soprattutto, bisogna saperla gestire”.

– Chiudiamo con un’idea forte per Palermo.

“Idee ne abbiamo tante. In questa sede faccio solo una considerazione. Si parla del nuovo stadio: ben venga.. Ma perché, come al solito, per la localizzazione di questa struttura si è pensato subito alla zona nord della città? Possibile che, a Palermo, tutti gli investimenti debbano riguardare il nord della città, mentre nulla viene riservato a Romagnolo, Torrelunga e via continuando con la zona sud della città? La verità è che, anche a Palermo, viviamo una nostra questione meridionale. Ecco, noi pensiamo a una città più unita, più integrata. L’urbanistica deve, ha il dovere di riconnettere queste due città. Anche perché…”.

– Anche perché?

“Anche perché, se è già difficile avviare un’attività economica nella zona nord della città, dove comunque, grazie ai ragazzi di ‘Addio pizzo’ e a tutte le associazioni antiracket – e grazie anche alla svolta di Confindustria Sicilia – si avvertono importanti cambiamenti in positivo, nella parte sud di Palermo è difficilissimo, per una nuova impresa, sfuggire al giogo mafioso. E questo all’inizio del Terzo Millennio è intollerabile”.

 

 


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