Palermo, cronaca di una città da dimenticare

Cielo di Palermo, volo Alitalia, il comandante informa che fra poco atterreremo…
Ecco, sono tornato ancora una volta, dopo periodi brevi o lunghi, nella città in cui sono nato, diventato adulto, marito, padre, in cui, molto probabilmente, non sarò mai nonno.
Percorro la stessa aereovia che incrociò, una volta, le creste di Montagnalonga e un’altra i fondali insabbiati di Terrasini (i mezzi di salvataggio non poterono uscire in mare per soccorrere gli “ammarrati”). Sorrido dentro di me alla consumata battuta: “I passeggeri sono pregati di inserire tra i denti il documento d’identità per facilitare il riconoscimento dell’ eventuale salma…”.
Le luci si avvicinano, l’aereo si allinea alla pista, un lieve scossone, landed, sono a casa.
Sono stato fuori solo pochi giorni, ma tutto è come prima, anzi peggio di prima. Le notizie relative alla manovra Monti sono ormai di dominio pubblico anche nei dettagli e il panico si insinua in ogni ceto sociale: l’Imu sarà veramente commisurata al nuovo catasto? Le pensioni di cui vive la città saranno divorate dalla mancata indicizzazione Ista? Come faranno Regione e Comune (la Provincia non la cito,non è più di moda e, comunque, ha 35 milioni di Euro “conservati” in Svizzera) senza poter più fare affidamento sugli assegni che arrivavano da Roma? I dirigenti regionali continueranno ad andare in “quiescenza” (strano termine che evoca temporanei periodi in sonno) con sufficienti 25 anni di servizio (“prestato” ma, non sempre “reso”).
Scorro i giornali locali a stampa e online (me ne sono guardato bene nei giorni scorsi) e leggo le nius: “Cresce il numero dei candidati a Sindaco”, “I Movimenti non si lasceranno scippare le primarie”, Marianna Caronia si candida a Sindaco (….Carneade chi era costui.. etc….) Ferrandelli è ubiquo e imperversa, giovane tribuno fuori stagione, su Facebook, Leoluca Orlando si indigna, da Bruxelles dove è stato confermato Vice Presidente del Gruppo Europeo ELDR, promettendo un ritorno che “fa tremar le vene ai polsi”dei nuovi Proci, Rita Borsellino tentenna e non si comprende se per l’età o per i conflitti di coscienza… elettorale. Degli altri non mi curo, solo coreografia e desiderio di pesarsi per ben altre competizioni.
Guardo la Città. Arranca lentamente nel traffico impazzito degli acquisti (?) per le imminenti festività (?) Mi torna in mente il motto degli eterni squattrinati “si un pozzu accattare, pattiu” che riassume il residuo voyeurismo di chi non ha più una lira (ci riabitueremo a sentirne il suono?) in tasca.
Guardo la Città e in tanti dettagli vedo la povertà che cresce, nelle tasche e negli animi, private le prime di contante ( e non perché sostituito da Visa o American Express) e i secondi da ogni forma di futuro. Un movimentismo da barzelletta, tardo epigono di vere stagioni “in movimento”, gira intorno a feticci di promesse impossibili e a minacce di epurazione da tutto ciò che può colpire la fantasia dei palermitani. Mosche cocchiere si moltiplicano sul cadavere di una Città che già pende da un grosso gancio delle Catacombe dei Cappuccini. A proposito, pochi giorni fa persino la Bambina (la mummia perfettamente conservata finora solo dalle ignote alchimie del Dottor Salafia e dall’aria asciutta dei sotterranei) è stata portata in salvo dagli scienziati d Bolzano e rinchiusa in un sarcofago tecnologico). Si chiamava Rosalia Lombardo, morì a Palermo il 6 dicembre 1920 e per quasi cent’anni il suo corpicino rimase intatto ed il volto roseo e come di cera. Ora stava marcendo, quasi che anche l’aria della Città congiurasse contro la sua “immortalità”. La stessa aria che da mesi a Palermo non è più monitorata e viene lasciata penetrare, sottile, nei nostri polmoni. Niente paura..i centri oncologici (rigorosamente “convenzionati”) a Palermo non mancano.
Come di consueto ad ogni mio rientro, percorro di notte le strade finalmente liberate da vetture e da motorini, già acquattati per le notte e pronti a “mordere” tra poche ore le strade ridotte a stretti sentieri. Resto fedele ad un antico modo di riappropriarmi di luoghi, odori, presenze, assenze, nostalgie, rimorsi e rimpianti. Un rito di saluto e di incontro. Ma la strada, pur vuota sulla carreggiata, appare popolata, sui marciapiedi dissestati, più del solito a quelle ore. Un popolo variegato di uomini e di donne, non sempre e non solo anziani, si muove tra angoli coperti e prossimità di androni e portici ospitali, tirandosi dietro cigolanti carrelli del supermercato, vecchi trolleis un po’ sbrindellati, tanti e tanti sacchetti di plastica gonfi del proprio “patrimonio”. Non è un quadro di Peter Bruegel. Sono i vecchi e soprattutto i nuovi poveri, gli homeless e i clochard che eravamo abituati a vedere altrove o nei film americani. Una quota crescente di persone ne alimenta un’anagrafe che nessun registro riporta, come al tempo delle peste nell’Europa del XIV secolo, quando di milioni di persone si perse ogni memoria di vita e di morte. E’ il popolo della notte e si avvicina, spesso con estrema dignità, alle migliaia di giovani che consumano i residui euro di un “contratto a progetto” in quello che fu il sogno poco duraturo della movida palermitana. E’ un popolo che non chiede, Attende, con pudore, che si intuisca il proprio bisogno e la propria ulteriore disperazione. Talvolta, dal fondo di una chiesa di quelli che un tempo chiamavano “i quartieri bene” qualcuno non ce la fa più e lancia il proprio appello tra l’imbarazzo dei “fedeli” richiamati alla cruda pesantezza della parola “carità” e all’ammonimento che legge, con terrore, in occhi senza luce:”io fui ciò che voi siete, voi sarete ciò che io sono”. Nessun problema, finita la Liturgia, ciascuno tornerà a casa con i cannoli e nessuno correrà il rischio di incontrare Padre Messina, Padre La Rosa sJ, Padre Giacomo Cusmano, Don Pino Puglisi o, persino – sia consentito ricordarlo seppur solo per la grande pietà – il Cardinale Ernesto Ruffini.
Una casta di torvi politici da repubblica “autonoma” delle banane, barricata nelle sale felpate che furono percorse da Federico II e un migliaio di famiglie della buona borghesia hanno già messo in salvo altrove i propri rampolli – e i sudati risparmi- e restano, come mi disse un politico termitano esattamente dieci anni fa, parlando della Fiat (cronaca di una morte annunciata) solo perché, “finché c’è di spremere, sprimiemu”. Il biglietto aereo è già pronto, basta un click per chi ha ancora una carta di credito attiva, per lasciarsi tutto alle spalle e per … dimenticare Palermo.
Molti di quei personaggi in (nord) Africa li hanno cacciati dal potere e, talvolta, dalla faccia della terra.
Rientro a casa. E’ quasi l’alba. Quindici ore fa una nutrita squadra di catarifrangenti addetti del Comune (?) ha ripulito la lunga aiuola spartitraffico che percorre il viale, da deiezioni animali (e umane ?) e dalle immondizie lasciate da coloro che, in quanto antirazzisti, sono contrari alla raccolta differenziata. Sembra lunga e spoglia la striscia di verde ma, a guardare bene, ci sono già i segni di un’imminente ripresa. Tra sei ore tutto tornerà “normale”. Stavolta il mio rito si è protratto a lungo, do uno sguardo alla valigia appena disfatta e già pronta ad essere riempita per un’altra settimana..altrove. Ho un dubbio..mi sembra più leggera del solito. Poi, prima di lasciarmi andare ad un sonno agitato, capisco: la scorsa volta ci avevo messo dentro anche la speranza.
Alitalia vi da’ il benvenuto sul volo AZ con destinazione Berlino: “Vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza, di chiudere il tavolino davanti a voi…”.
Non amo il posto “lato finestrino” e, allora, mi sporgo leggermente oltre le ginocchia del mio vicino e, tra i primi, ancora attutiti tuoni di un temporale che si avvicina , sento risuonare le parole tanto care, quanto amare, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa:
“Aprì una delle finestre della torretta. Il paesaggio ostentava tutte le proprie bellezze. Sotto il lievito del forte sole ogni cosa sembrava priva di peso: il mare, in fondo era una macchia di puro colore,le montagne che la notte erano apparse temibilmente piene di agguati, sembravano ammassi di vapori sul punto di dissolversi, e la torva Palermo stessa si stendeva acquetata attorno ai conventi come un gregge al piede dei pastori. Nella rada le navi straniere all’ancora, inviate in previsione di torbidi, non riuscivano ad immettere un senso di timore nella calma maestosa. Il sole, che tuttavia era ben lontano dalla massima sua foga in quella mattina del 13 maggio, si rivelava come l’autentico sovrano della Sicilia: il sole violento e sfacciato, il sole narcotizzante anche, che annullava le volontà singole e manteneva ogni cosa in una immobilità servile, cullata in sogni violenti, in violenze che partecipavano dell’arbitrarietà dei sogni.”



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