Chi specula su Termini Imerese?

Ammonta a 150 milioni di euro la somma che il governo e l’intero parlamento siciliano hanno messo a disposizione per il rilancio dell’area industriale di Termini Imerese dopo la chiusura dello stabilimento Fiat. A questi si aggiungono 200 milioni di euro a valere sui Fondi per le aree sottoutilizzate (Fas). Risorse finanziarie che dovrebbero essere utilizzate per avviare una serie di progetti che prevedono anche la realizzazione di opere pubbliche.

In particolare, si punta e si definisce necessario intervenire sui collegamenti ferroviari e stradali con il porto, con la contestuale sistemazione dell’area portuale; poi il cablaggio dell’intera zona dell’interporto di Termini Imerese e, infine, il rifacimento e la messa in sicurezza delle strade provinciali.

Al di là delle buone intenzioni, la sensazione è che si ripropongano vecchie ricette figlie della cultura ‘industrialista’ degli anni ‘60 del secolo scorso secondo la quale sviluppo era sempre preceduto da interventi infrastrutturali. Va da sé che al Sud tali ricette, nel passato, vennero subito sposate dalle classi dirigenti e dai comitati d’affari di quegli anni, che plaudivano alla spesa pubblica ed agli interventi a pioggia. Metodi che, forse, hanno riempito le tasche di taluni, ma certamente non hanno determinato sviluppo alcuno nel Mezzogiorno, a parte casi sporadici e, comunque, poco significativi.

Ecco: la sensazione è quella di essere di fronte a un’ulteriore pioggia di risorse pubbliche senza un’idea di fondo e senz’alcuna coordinata. La verità è che, sull’altare della legittima salvaguardia dei posti di lavoro, ci si prepara alla ennesima infornata di soldi pubblici.

Servirà, tutto questo? E a chi? La spesa pubblica pervasiva e diffusa sembra infatti essere ancora una volta il toccasana di istituzioni, politica e parti sociali che non hanno avuto coraggio, ovvero fanno solo finta di non averlo. Il coraggio serve o forse serviva ad aprire una discussione non solo sulla Fiat, ma anche intorno ai decenni dell’industrializzazione della Sicilia.

Le cronache economiche siciliane di oggi ci dicono come non mai che si tratta di un’esperienza clamorosamente fallita. E mentre Detroit si ripensa oltre l’industria dell’automobile e Torino, al di là dei vassallaggi dei sindaci ‘progressisti’ verso la Fiat, è ormai una città che vive non solo ed oltre la Fiat,Termini Imerese sembra invece essersi rassegnata ad un futuro industriale sempre più vago ed incerto.

Detto in parole più semplici, è mancata – e continua a mancare – una riflessione per ripensare un nuovo modello di sviluppo e una città finalmente padrona del suo territorio e del suo destino. Tale incapacità a ‘ridisegnare’ un proprio futuro si evince dallo spazio conquistato da un trasversale e diffuso partito della spesa che camuffa le proprie incapacità con le presunte proprietà taumaturgiche della spesa pubblica.

Magari ci sarà pure qualcuno che, approfittando della confusione, più prosaicamente si appresta a godere di queste ingenti risorse finanzirie non per portare sviluppo a Termini Imesere, ma per drenare risorse da questo territorio.

Il rischio, per Termini Imerese, è che si tratti dell’ultima occasione possibile per il cambiamento: poi resterà solo l’oblio.


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