Porto, Piano ‘regolatore’ degli affari

Nel calcio è il più classico dei risultati: 2-0. Al Comune di Palermo si potrebbe tradurre così il match tra Gianfranco Miccichè/Nino Bevilacqua e Diego Cammarata/Mario Milone. Di che parliamo? Dell’approvazione dell’intesa tra l’Autorità portuale e il Comune per il Piano regolatore del Porto di Palermo. Una proposta di delibera del 2008, quando i rapporti tra il sindaco e l’onorevole Miccichè non si erano ancora deteriorati. L’intesa è un atto dovuto che regola il rapporto tra due enti che hanno, ciascuno per la propria parte, autonomia territoriale, ma che non devono configgere. Così, per non confliggere, si è trovato un accordo per spartirsi il territorio, come si fa con una torta.

All’Autorità portuale il sindaco di Palermo regala la gestione degli approdi turistici dell’Arenella, Acquasanta, Cala e Sant’Erasmo, con una semplice lettera dell’aprile 2005, con la quale dichiara di non avere interesse alla gestione di questi porti. Il ministro dei Trasporti dell’epoca, Lunardi (quello che teorizzava che con la mafia bisognava convivere), grazie a quella lettera, emana un decreto ministeriale con il quale, in contrasto con una sentenza del Consiglio di Stato e con un Decreto del Presidente della Repubblica, di pochi mesi prima, riassegna la competenza dei porti turistici di Palermo all’Autorità portuale. Di contro, la giunta municipale amplia il campo dell’intesa introducendo nella proposta di delibera una serie di aree strategiche per la città, le cosiddette “aree bersaglio” (già questa denominazione la dice lunga sulle intenzioni), che sarebbero in stretta relazione con il progetto di sviluppo del porto di Palermo. In questo modo si inserisce surrettiziamente un livello di pianificazione del territorio che, anziché prendere le mosse dai problemi urbanistici della città (e ce ne sono tanti), utilizza il Piano regolatore del porto come un cavallo ti troia per consentire una pianificazione separata e lo sfruttamento di queste aree ad elevata rendita fondiaria e quindi edilizia.

L’intesa era quasi perfetta. Sennonché la rottura politica, tutta interna al centrodestra tra Cammarata e Miccichè ha determinato il blocco della delibera in Consiglio in questi tre anni. Questo episodio è uno dei tanti che dimostra come l’inerzia del Consiglio comunale abbia le sue radici nell’instabilità della coalizione di centrodestra a cui le responsabilità del sindaco non sono estranee e per questo le sue critiche al Consiglio appaiono quanto meno ipocrite. Ma torniamo all’intesa con l’Autorità portuale.

In Consiglio comunale quella che era una maggioranza politica (di centrodestra), grazie a Cammarata, è ormai una minoranza numerica. Ciò però non costituisce automaticamente una nuova maggioranza politica, pertanto è su singole questioni che l’opposizione può trovare delle convergenze. E’ quello che è successo con l’emendamento alla delibera che stralcia le ‘aree bersaglio’ dal testo, riportando l’intesa all’oggetto originario: l’approvazione del Piano regolatore del porto. Lo stesso ingegnere Bevilacqua ha dovuto ammettere in Consiglio che le ‘aree bersaglio’ non erano state richieste dall’ Autorità portuale e che la loro eliminazione non avrebbe condizionato l’ipotesi di sviluppo del porto contenuta nella proposta di Piano regolatore.

E dunque? Il Consiglio comunale si è riappropriato correttamente della competenza di determinare gli indirizzi dell’amministrazione in materia urbanistica. Cosa rimane quindi della delibera? Un Piano regolatore del Porto di Palermo in cui, in maniera illegittima, sono comprese le aree dei porti turistici che porteranno ricchezza all’Autorità portuale, provocando un danno erariale al Comune che non vedrà nemmeno un euro dalla loro gestione. Certo in tempi di vacche magre per il Comune e di una gestione fallimentare al limite del dissesto finanziario è quanto meno irresponsabile una simile scelta. Anche per questo Cammarata dovrebbe essere rimosso dal presidente della Regione.

 

 

 

*Alberto Mangano è consigliere comunale di Palermo

 

 


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