Una Carmen vietata ai minori…

La Carmen è il capolavoro di Alexandre César Léopold Bizet, noto come Georges. Quest’opera alla prima rappresentazione non è stata ben accolta negli ambienti ben pensanti della pur frivola Parigi della seconda metà dell’Ottocento. Probabilmente perché Carmen, con la sua carica di sensualità rappresenta la perdizione dell’uomo, e a nulla è valso porre presso un tale patibolo di morte l’altare di redenzione della casta Micaela. Tale opera ha scontato qualche problema anche per le innovazioni tecniche apportate alla costruzione musicale e per la complessità emotiva dei personaggi.

L’insuccesso di Carmen è stato un colpo di maglio per il giovane Bizet, che amava oltre ogni dire questo suo capolavoro, e forse non siamo lontani dal vero se pensiamo che la sua repentina morte per crisi cardiaca, ad appena trentasette anni, sia stata accelerata, giusto alla fine della trentatreesima rappresentazione dell’amata Carmen, dagli umilianti tagli e modifiche a cui era sottoposta l’opera ogni sera , dalle defezioni di pubblico e dagli attacchi impietosi ed ingiusti della critica.

Dovranno passare circa trent’anni e arrivare al primo decennio del Novecento per sdoganare definitivamente questo capolavoro del Melodramma e consegnarlo ai posteri che ne hanno gioito fino ad oggi. E già… almeno fino all’edizione 2011 rappresentata al Teatro Massimo di Palermo in coproduzione con il Gran Teatre Liceu di Barcelona e il Teatro La Fenice di Venezia.

Durante il primo atto, svoltosi un oltremodo scarna scenografia, rappresentante un’assolata piazza della Siviglia dei giorni nostri, abbiamo visto di tutto. Intanto, giusto per cominciare, accenni vari a triviali gesti, che non stiamo a descrivere, peraltro gratuiti per le esigenze sceniche. Il tutto è stato un crescendo (purtroppo non rossiniano) verso atteggiamenti lubrici, che piuttosto che avere un effetto catartico sullo spettatore (vdi sensualità, perdizione, volontà di redenzione) hanno avuto un effetto esilirante.

Facciamo qualche esempio per quei pochi sfortunati (?!) che non hanno potuto assistere. Carmen esordisce in scena con un camice da operaia (ricordiamo che lavora c/o una fabbrica di sigarette), tenuto aperto su una procace sottoveste. Da quando in qua, le lavoratrici, di qualsiasi categoria, anche se di dubbia moralità (fatti loro), camminano senza veli sul posto di lavoro? Si continua poi con Carmen, appena fatta prigioniera dal protagonista maschile, il soldato Don José, che seduta davanti a lui gli strofina il viso lascivamente sulla pancia e sulla patta dei pantaloni.

Successivamente, nella seconda scena del I atto (secondo la divisione praticata in questa edizione), dopo alcuni accenni anche ad amori saffici tra Carmen e le sue compagnucce di merende gitane, vediamo la danza da sirena incantatrice di Carmen (“Je vais danzer en votre honneur”), che dovrebbe convincere un comprensibilmente restio Don José a disertare, che invece si trasforma in una goffa lapdance, dove al posto del solito bastone l’appoggio è dato da una vecchia mercedes anni ’70, nel migliore stile gitano (sostanzialmente unico oggetto della scena, se si esclude un immotivato e tisico albero di Natale festonato con bandierine spagnole, posto accanto ad una sdraio da spiaggia).

Siamo certi che molti soldati dopo tutto questo avrebbero optato senza esitazione per la trincea? Ma non finisce qui! (Ci ripetiamo). L’atto si conclude con Carmen che copula apertamente in scena con Don José dopo essersi sfilata pubblicamente le mutandine rosse. Ma questo ci ricorda una querelle, durata a lungo, che ha comportato una mezza inchiesta parlamentare, rimproveri pubblici, modifiche di palinsesti. Una vicenda andata in scena qualche anno fa, quando Anna Falchi si è sfilata (peraltro più compostamente) le mutandine in una trasmissione Rai di seconda o terza serata. Qui siamo a una matinée teatrale, ma stiamo scherzando? Se abbiamo voglia di scene a luci rosse possiamo guardare gratuitamente una qualsiasi edizione del Grande Fratello o qualcosa del genere. Qui abbiamo pagato fior di quattrini e, senza sentirci moralisti, abbiamo trovato tutto molto squallido e volgare.

E vogliamo infatti sottolineare che la vera abiezione dell’atmosfera dell’opera (“Carmen, tu es un démon”, ripete Don José) sia stata meglio evidenziata nel II atto, dove tutte queste inutili trovate sceniche, che hanno suscitato semplicemente la nostra ilarità, non si sono viste.

Questo se la complessità emotiva dell’opera viene vista inquadrando il personaggio di Don Josè, soldato prima ligio al dovere, poi dimentico di se stesso, del proprio dovere e della propria madre per una donna voluttuosa che lo abbandonerà senza ripensamenti appena un nuovo amore comparirà all’orizzonte.

Ma dal punto divista del personaggio Carmen, l’opera è il simbolo della femminilità, libera e orgogliosa fino alla morte, che vien pur preferita ad una vita di asservimento e di rinuncia.

Ma torniamo alla nostra edizione. Riteniamo probabilmente che a molti registi (ormai sempre più numerosi) queste trovate servano per riempire delle scene sempre più povere di scenografie e di costumi. Eppure sarebbe così semplice lasciar parlare la musica e la parole senza sovrapposizioni culturali non necessarie.

A proposito del secondo atto e di inutili trovate sceniche, questo si apre con l’entrata in scena di ben sette mercedes (sempre per il solito immaginario collettivo dello stile gitano). Dopo l’ultima mercedes (non finivano mai) abbiamo pensato di essere nella migliore manifestazione lavorativa, della migliore Piazza Indipendenza della migliore ora di punta palermitana, solo che non ci è scappato l’incidente.

E per concludere vi dovremmo raccontare di tutte le distrazioni sceniche che questa narcisistica regia ha posto in atto. Ve ne accenniamo solo qualcuna: la figura di un uomo vestito di bianco che compare durante il Preludio dell’opera, facendo non si sa bene che cosa e che ricompare senza scopo ripetutamente (non abbiamo capito che o chi raffiguri e non per questo ci sentiamo più ignoranti); o, ancora, il rumore inutile che fanno coro e comparse durante la magnifica aria di entrata del torero Escamillo; o, in ultimo, il rumore per avere smontato in scena l’enorme profilo di un toro che campeggiava sullo sfondo nell’ultimo atto.

Al di là di tutti i significati simbolici che vi possono essere (siamo aperti alle illuminazioni), sono stati semplicemente rumore e distrazione che hanno offuscato la splendida musica del Maestro francese.

Ma se la regia non è stata all’altezza dell’oper , lo sono sicuramente stati gli interpreti, tutti bravissimi. Citeremo uno per tutti il tenore, Jorge de Leon: bellissima voce, attore molto bravo e dotato anche del cosiddetto fisic du rol (aitante e ben calato nel ruolo di un soldato). Giusto per voler dimenticare dei Radames un po’ in sovrappeso e vestiti come bianche mongolfiere (chi ha viso l’Aida al Teatro di Verdura un paio di anni fa sa a cosa ci riferiamo).

Insomma c’era un solo modo per guardare quest’edizione della Carmen: chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalla musica sublime ed immortale.

 


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