Lo scherzetto di Alcide

La storia è talvolta una rappresentazione teatrale. Lo spettatore osserva i personaggi del palcoscenico e pensa che ciò che vede sia quanto meno verosimile. Ma per capire bene il senso delle parti recitate, gli è necessario uno sforzo in più. Per guardare dietro le quinte e vedere l’insieme di ciò che accade come un fenomeno unico. Deve cioè fare lo sforzo, non comune, di considerare scena e retroscena come un unico spettacolo. Quasi sempre, però, è ciò che vediamo sotto la luce del proscenio a convincerci che quella che ci cade sotto gli occhi, e solo quella, è la verità vera. E qui gli inganni non si contano più.

C’è il terzo governo De Gasperi, nato il 2 febbraio 1947 ed entrato in crisi il 13 maggio. E’ composto da un tripartito (Dc, Pci, Psi) che fa bollire il sangue a Papa Pacelli e a tanti altri che come lui immaginano il terrore bolscevico a San Pietro. A gennaio, sorprendendo tutti, De Gasperi si reca negli Stati Uniti, ed è accolto dalle numerose associazioni italo-americane contrarie alla presenza dei socialcomunisti nel governo.

Ora sappiamo che quel viaggio è voluto da papa Pacelli e dai suoi principali collaboratori: Felix Morlion, capo della Pro Deo e padrino di Giulio Andreotti e padre Alfonso Martin incaricato dallo stesso pontefice di coordinare i servizi di intelligence della Compagnia di Gesù, su scala mondiale. Il successivo 20 aprile, però, il Blocco del Popolo ottiene in Sicilia la maggioranza relativa dei voti e dà a quell’antico terrore il senso che ormai il pericolo è imminente e che occorre prendere i dovuti ripari. A tremare sono soprattutto il Vaticano e le formazioni nere che puntano ancora a un neofascismo senza Mussolini.

Molti sono i personaggi che compaiono sulla scena. Due sembrano prendere le redini della situazione. Il primo è il presidente del Consiglio dimissionario, Alcide De Gasperi; l’altro è il “Migliore”, cioè il segretario del Pci, Palmiro Togliatti.

Lo spettatore ha visto finora recitare queste parti: De Gasperi nel ruolo del filoamericano che va a chiedere soldi a Truman, ottenendo l’assicurazione che gli saranno dati. A una condizione, però: che egli, da buon superman, butti fuori dal governo i pericolosi comunisti e socialisti. Togliatti nel ruolo del servo di Mosca, che trama anch’egli nell’ombra, sospinto da Stalin, per far precipitare l’Italia in una dittatura bolscevica.

Ci sono poi altri personaggi che compaiono per dovere d’ufficio. Ma lo spettatore li intravede appena e non sa neanche chi siano. Tuttavia portano nomi altisonanti come Carlo Sforza, ministro degli Esteri, Alberto Tarchiani, ambasciatore d’Italia a Washington, Ivan Matteo Lombardo, ex sottosegretario all’Industria nel primo governo De Gasperi e inviato speciale nella capitale americana. E’ lui il delegato a trattare con il governo statunitense un grosso prestito in dollari in grado di tamponare la grave crisi postbellica in cui si dibatte l’Italia.

Ma ora, a più di sessant’anni di distanza, emerge un documento segreto inviato da Sir Noel Charles, ambasciatore britannico a Roma, al Foreign Office di Londra. Il telegramma numero 1201, spedito alle ore 20,37 del 28 maggio 1947, ci rivela fatti che molti storici e analisti hanno per decenni sospettato. L’ambasciatore ci racconta che la crisi di governo si è conclusa dopo sedici giorni. Si va verso un governo senza Pci e Psi che giurerà di fronte al Presidente della Repubblica, tre giorni dopo.

Ma ecco la novità. Sir Charles scrive: “Questa soluzione – lo apprendo da fonti private – è stata raggiunta durante un incontro segreto tra De Gasperi, il conte Sforza e il sign. Togliatti. Il conte Sforza è stato convocato da De Gasperi per riassumere i messaggi che egli, come ministro degli Esteri, aveva ricevuto dall’ambasciatore italiano e dal sign. Lombardo a Washington. Questi messaggi indicherebbero che l’aiuto economico americano sarebbe agevolato se il governo italiano mostrasse di non essere alla mercè delle manovre comuniste. Togliatti avrebbe acconsentito a uscire dal governo a condizione che il signor [Epicarmo] Corbino non diventasse ministro del Tesoro e che le elezioni si tenessero a ottobre. Il leader comunista e il signor Nenni avrebbero inoltre promesso di non vessare De Gasperi a condizione che il governo si fosse comportato in maniera democratica.”

Dunque, le cose non stanno nei termini della vulgata accademica che finora conosciamo, ma nell’esatto opposto. Togliatti si dimostra uno statista responsabile. Comprende che, dopo la strage di Portella della Ginestra, Servizi americani e italiani, assieme alle squadre neofasciste, sono sul punto di scatenare una reazione sanguinaria. Il loro obiettivo è annientare in modo risolutivo le forze antifasciste, con la complicità dell’Arma. Secondo il Sis, il maresciallo Messe dell’Upa (Unione patriottica anticomunista) dovrebbe instaurare in Italia una dittatura militare per un anno o due e mettere da subito fuori legge i socialcomunisti.

Togliatti si trova di fronte a un bivio: o sceglie la strada dello scontro di piazza o avvia una nuova fase che, a partire dalle elezioni politiche che egli chiede per il successivo mese di ottobre, legittimi la vocazione autenticamente democratica di Pci e di Psi. Cioè, a suo giudizio, non deve essere De Gasperi , o chi gli sta dietro, a condurre il gioco, bensì il corpo elettorale. Per il “Migliore”, la questione è lo scontro tra capitalismo internazionale e masse popolari, tra la grande ricchezza e la povertà del popolo. Sul’Unità del 4 maggio ’47, a tre giorni da Portella, scrive: “Quello che vi è di grave nella situazione odierna del nostro paese mi sembra sia da porre essenzialmente in relazione con due fattori. Il primo fattore è un’aspra lotta dei gruppi possidenti più ricchi contro la grande massa della popolazione che vive di indigenza e di stenti. Il secondo è un tentativo sempre più aperto, che è difficile però dire se sia diretto o indiretto, di intervento straniero nelle cose nostre.”

Al contrario, De Gasperi punta a estromettere i comunisti e i socialisti in maniera definitiva. E bara. Promette le elezioni politiche per ottobre, ma poi non tiene fede alla parola data.

E, come abbiamo visto, sono proprio Togliatti e Nenni a ricordare a De Gasperi la natura democratica del suo governo. Ossia: niente scherzi, caro Alcide!

La Dc tradisce i patti e fa slittare le lezioni all’aprile del ’48, per avere maggiori garanzie di vittoria.

Le rivelazioni di Sir Charles trovano conferma in ciò che avverrà il 14 agosto, quando l’inviato speciale di De Gasperi a Washington, Lombardo, firma un accordo economico con il governo Truman che ha l’immediato effetto di fare arrivare nelle casse italiane 130 milioni di dollari. Un accordo che viene attaccato da Togliatti come “ambiguo” perché implica la subordinazione economica e politica dell’Italia agli Stati Uniti. E’ l’inizio dell’eterno percorso di una democrazia guardata a vista.

Ce lo conferma anche Charles nel suo cablogramma quando, con piglio cinematografico, ci mostra uno Sforza angosciato che legge a Togliatti i cablogrammi segreti ricevuti da Tarchiani e da Lombardo. Il tutto alla presenza di De Gasperi. Insomma, bisogna che il governo italiano dia una dimostrazione concreta di non essere servo dei comunisti. Altrimenti niente soldi.

Circostanza, questa, sempre negata dalla storiografia accademica, ma che adesso è confermata da una fonte di prima grandezza come l’ambasciatore di Sua Maestà britannica.

E chissà dove sono finiti questi telegrammi arrivati da Washington. Forse in qualche sottoscala del ministero dell’Interno o in un armadio chiuso a chiave e con le ante rivolte verso il muro.

Inutile aggiungere che la conventio ad excludendum contro il Pci e i suoi eredi durerà fino all’aprile del 1996, con la vittoria dell’Ulivo di Prodi.

 

 

 


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La storia è talvolta una rappresentazione teatrale. Lo spettatore osserva i personaggi del palcoscenico e pensa che ciò che vede sia quanto meno verosimile. Ma per capire bene il senso delle parti recitate, gli è necessario uno sforzo in più. Per guardare dietro le quinte e vedere l’insieme di ciò che accade come un fenomeno unico. Deve cioè fare lo sforzo, non comune, di considerare scena e retroscena come un unico spettacolo. Quasi sempre, però, è ciò che vediamo sotto la luce del proscenio a convincerci che quella che ci cade sotto gli occhi, e solo quella, è la verità vera. E qui gli inganni non si contano più.

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