Parchi archeologici, dietrofront su individuazione direttori Il governo revoca delibera che apriva a esperti dall’estero

«L’opportunità di svolgere taluni approfondimenti». C’è questo dietro il dietrofront del governo regionale che, nel giro di una settimana, ha prima proposto di modificare i requisiti per la nomina dei direttori dei parchi archeologici e poi revocato la delibera con cui il disegno di legge era stato approvato. È accaduto tutto tra il 20 e il 28 aprile scorsi, quando nei palazzi della politica regionale iniziava a profilarsi la possibilità – poi confermata dai fatti – che la discussione sulla finanziaria si protraesse ben oltre la fine del mese. A mettere sul tavolo l’idea di rimaneggiare la legge regionale del 2000, con cui venne istituito il parco archeologico della Valle dei Templi e definite le direttive per gli altri che da lì in avanti sarebbero sorti, era stato l’assessore ai Beni culturali Alberto Samonà

Il ddl, composto di tre articoli, prevedeva due interventi diversi: da una parte, la possibilità di estendere la platea dei destinatari dell’incarico all’intera platea dei dirigenti che, come si legge in una relazione di presentazione del testo, «fanno parte del ruolo unico regionale, a prescindere dal ramo di amministrazione di appartenenza»; dall’altra, un allineamento della norma regionale agli indirizzi dati nel 2014 dal ministro Dario Franceschini, con l’introduzione della possibilità di affidare la guida anche a personalità esterne all’amministrazione, compresi candidati stranieri in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione dei luoghi della cultura. «L’obiettivo è quello di valorizzare, mediante specifiche e qualificate professionalità, un settore che presenta specificità tecniche di elevato valore e interesse, con l’esigenza di adeguamento dei servizi offerti dai Parchi agli standard nazionali ed europei», afferma la relazione. 

«La revoca della delibera è motivata soltanto dalla necessità di apportare alcuni accorgimenti», chiosa l’assessore Samonà a MeridioNews. Poche parole che arrivano in un momento in cui il governo regionale viaggia a vista, nella consapevolezza che l’orizzonte elettorale è sempre più vicino. La strada verso il voto autunnale, però, per il presidente Nello Musumeci e gli assessori si sta rivelando più dissestata del previsto. Mentre la ricandidatura del governatore, e soprattutto la definizione delle forze che potrebbero sostenerlo, è ancora circondata da tanti punti interrogativi, le forze della maggioranza hanno dimostrato anche durante le settimane di discussione della finanziaria all’Ars di guardare innanzitutto al proprio futuro. «I motivi di questa revoca per me vanno cercati nei problemi politici interni al governo – dichiara a MeridioNews Giovanni Di Caro, cinquestelle vicepresidente della commissione Cultura all’Ars – Sul tema generale delle nomine, Musumeci e la giunta hanno avuto un atteggiamento più che discutibile. E, dato il periodo, viene inevitabile chiedersi se queste decisioni siano condizionate da valutazioni che tengono conto anche dell’imminente campagna elettorale. Dei nove Soprintendenti – continua Di Caro – di recente ne sono stati riconfermati otto, l’unico senza riconferma è quello di Agrigento che andrà in pensione in autunno e, quindi, qualcuno avrà pensato sia utile in prospettiva tenere quel posto vacante».

Il tema della riorganizzazione della pubblica amministrazione nei settori che si occupano di cultura era finita già al centro delle polemiche negli ultimi scampoli d’inverno. Risale, infatti, al 10 marzo la delibera con cui la giunta regionale ha approvato lo schema di decreto presidenziale riguardante la rimodulazione degli assetti dei singoli dipartimenti. A far discutere, in particolar modo, sono stati gli interventi di accorpamento nelle materie di competenza attribuite alle unità operative all’interno delle Soprintendenze: da un lato la sezione che mette insieme beni architettonici e storico-artistici con quelli paesaggistici e demoetnoantropologici; dall’altro la sezione che tiene insieme beni archeologici, bibliografici e archivistici. Tra coloro che hanno sollevato perplessità c’è il mondo delle associazioni. «Esprimiamo la più viva preoccupazione per il fatto che stanno per essere cancellate, dalle Soprintendenze e dai luoghi della cultura siciliani, le sezioni tecnico scientifiche, ultimo residuo – ha denunciato Italia Nostra – di un ordinamento disciplinare del sistema regionale di tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della nazione conservato nell’Isola».

Nel mirino c’è anche il riferimento – contenuto pure nella delibera poi revocata – alla necessità di attingere i dirigenti dal cosiddetto ruolo unico, ossia l’elenco che raggruppa tutti i dirigenti della pubblica amministrazione regionale. In Sicilia è stato introdotto nel 2000, ma è spesso stato messo in discussione per gli effetti che ne sono scaturiti dall’applicazione del principio di rotazione dei dirigenti. Nonostante la istituzione del ruolo unico prevedesse comunque la definizione delle modalità da seguire per «garantire la necessaria specificità tecnica o professionalità anche ai fini dell’attribuzione degli incarichi in relazione alle peculiarità delle strutture», non di rado è capitato di ritrovare ai vertici dei rami della pubblica amministrazione figure con specializzazioni in campi del tutto diversi. Anche nel caso dei parchi archeologici

Sulla questione si è espresso anche il presidente della commissione regionale Antimafia Claudio Fava. «Nessun pregiudizio verso la possibilità di avere direttori dei parchi archeologici che vengano dall’estero – precisa – Non è questione di territorialità ma di competenze. Allo stesso tempo, però, è impensabile che anche il migliore dei manager della cultura possa fare compiere quello scatto in avanti che i beni culturali siciliani necessitano e meritano. E questo perché – conclude Fava – senza strutture adeguate, con Soprintendenze rivisitate al ribasso, con la rinuncia alla ripartizione delle competenze tecniche, nessuno potrebbe fare miracoli. Un sistema che non riesce, neppure, a sfruttare le tante competenze che già ci sono. Pensiamo agli archeologi presenti nei ruoli regionali e mai correttamente valorizzati, come anche la corte dei conti – conclude Fava – ha recentemente ricordato».


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