CLASSIC: Pink Moon – Nick Drake

Nick Drake

PINK MOON

(1972, Island)

 

PREMESSA

 

La mattina del 25 Novembre del 1974 il corpo senza vita del musicista Nick Drake venne ritrovato dalla madre sul letto della sua casa a Tanworth, Birmingham. La stanza vuota di silenzio, il “mito di Sisifo” di Camus posato sul comodino, i “concerti brandeburghesi” di Bach sotto la puntina del suo vecchio giradischi e una boccetta del fatale farmaco antidepressivo Tryptizol, furono gli ultimi testimoni del suo prematuro decesso a 26 anni. Chissà quale incredibile notte sarà stata l’ultima di Nick. Chissà quali tormenti, quali viaggi iniziatici e quali sofferenze. Chissà quali mostri avranno divorato la sua mente con avidità. Chissà quali anime avranno attraversato le sue strade, quali luci avranno acceso e poi spento le sue speranze. Chissà davvero chissà. Ma ci possiamo giurare che in quella notte, l’ultima di Nick, una luna rosa sarà stata là ad ammiccarlo, bugiarda, fuori dalla sua finestra di campagna. Quella luna rosa che nella tradizione cinese è messaggera di sorti avverse, ma che vanta un viso meraviglioso.

 

 

Pink Moon è il terzo ed ultimo disco che Nick Drake riuscì a portare a termine prima della sua morte. E’ davvero complicato provare a scriverne l’incanto, la sincerità e la impareggiabile soavità artistica. Dischi come questo andrebbero ascoltati, bevuti ed assaporati solo una notte ogni tanto perché la sua timida bellezza rischierebbe di essere sfigurata dall’ascolto distratto del giorno, con la fretta di chi chiede ad un album emozioni tascabili. E le sue undici tracce sono un unico percorso da non contraddire e di cui non alterare lo splendido procedere. Raccontereste un sogno al contrario? Cosi ci piace immaginare il disco in questione come il racconto di una notte (probabilmente simile a quella fatale di quel 25 Novembre) dalla quale, però, Nick ebbe la fortuna di sopravvivere e così raccontarcela a modo suo.

 

Ma per parlare di come Nick Drake arrivò al racconto della Luna Rosa, allora è saggio cominciare dagli esordi, dai viaggi di Nick in Francia, tra vagabondaggi, Verlain, Parigi, i suoi eccessi e LSD. La carriera per il giovane Drake fu improvvisa quanto sfortunata. È il 1969 quando, grazie all’intervento irruente del produttore Joe Boyd che lo aveva scovato quasi per caso, Nick raccolse la sua manciata di canzoni fatte di chitarra e voce e le riarrangiò con l’apporto orchestrale del compositore Robert Kirby. Prese forma così Five Leaves Left, l’album debutto di Nick. Il disco d’anima folk vende poco e niente, la critica snobba e non sono certo di aiuto per la promozione del LP il carattere chiuso e la fobia di Nick di suonare in pubblico. Nick si vide solo in pochi locali e solo con poche persone.

L’anno dopo ci riprova con Bryter Layter, in cui la presenza di un certo John Cale (Velvet Underground), alla viola e alle tastiere, colora le sempre dolcissime melodie con una maggiore complessità Jazz. Ma anche in questo caso il pubblico non comprende. Nick Drake è moscio- avrà pensato qualcuno nell’epoca della psichedelia e delle chitarre distorte. E forse lo avrà pensato anche il produttore Joe Boyd che lo molla trasferendosi negli States tra i nomi importanti della Warner Bros.

Nick si deprime, scompare dalla circolazione, parla sempre meno e con sempre meno persone, abita un appartamento fatiscente e quasi totalmente vuoto, vaga con la sua giacca di lana ei suo capelli lunghi sufficienti per coprirgli completamente gli occhi. Sempre con gli stessi vestiti, con un volto deformato dal freddo ed una tristezza difficilmente consolabile. Insomma la sua depressione avanza e Nick s’imbottisce di tranquillanti (Tryptizol) che ingolla con regolarità quotidiana. Un po’ come Sisifo che s’arrampica sulla montagna spingendo faticosamente il masso, ma che poi, giunto in cima, è costretto a vedere rotolare giù.

 

Così è il 1972 quando Nick va in Spagna per un po’ a farsi colpire in faccia dal sole e respirare dell’aria leggera. Poi torna, ed è questo il momento della nascita di Pink Moon i cui brani furono paroriti durante quella notte in cui tutto fu più chiaro: dalle strade mancate alla vera essenza degli uomini. Si narra che un dì il magro cantante inglese entrò in studio di registrazione munito solo di pochi gesti e della sua Guild acustica; si sedette s’uno sgabello lì all’angolo e cominciò a suonare il disco dalla prima all’undicesima traccia, così, tutto d’un fiato. John Wood, fedele ingegnere del suono di Nick, e gli altri tecnici, rimasero sbigottiti dalla leggiadria delle melodie, perfetto incontro tra malinconia e tristezza. Una session che doveva rimanere assolutamente intaccata, nessun riarrangiamento, nessuno strumento aggiuntivo ne remissaggio e difatti Nick tornerà in studio un’altra sola volta per incidere delle brevi parti di piano qua e là. L’album era concluso, dunque, in due giorni.

 

L’arpeggio della title track, commentato dalla sua voce caldissima fino a scottare ci apre le porte del disco(“L’ho visto scritto e l’ho sentito dire/ la luna rosa è in cammino/ e nessuno di voi starà così in alto/ la luna rosa vi prenderà tutti”). Le allucinate visioni del folk singer sembrano prospettare la tragedia di due anni più tardi, dove le quattro note di piano che s’inseriscono tra la sei corde acustica e il suo canto triste, sono ognuna un groppo al cuore. L’esordio ci inserisce nella sua stanza e nella sua fantasia onirica e, con Place to be e Road, Nick apre un ideale cassetto in cui sono custoditi i quaderni dei suoi ricordi: la nostaglia della giovinezza è presa di mira dagli spettri moderni e le languide immagini del tanto agognato “posto in cui stare” e della “strada” da seguire risultano commuoventi. Dal punto di vista musicale siamo sempre lì: la sua splendida voce coccola l’ascoltatore che si sente rapito dalle immagini sfocate, dalle foto ingiallite e dai voli atmosferici di Nick. E la chitarra folk regge da sola l’intero universo musicale dei pezzi, in Pink Moon, totalmente nudi come la condizione degli ultimi anni del suo autore.

I tormenti poetici continuano nella ninna nanna esistenziale Wich Will (“per dove andrai? chi amerai? cosa sceglerai? Dalle stelle lì sopra”) e nell'”epitaffio” a quartina di Know. Lo specchio della sua condizione in Things Behind the sun, il simbolismo in Ride e Harvest Breed e la visione panistica dell’uomo nello splendido ricamo finale di From The Morning sono le poesie notturne che Nick ci racconta, sussurrandole a tratti, dondolandole tra la sua voce e viziandole di arpeggi soffusi.

 

Negli anni Pink Moon ha acquistato una fama ed un valore che furono ignorate dai contemporanei. Di recente la critica s’è lanciata nell’attribuirsi i meriti della sua riscoperta e il pubblico s’è affrettato a scovare come segugio i brandelli della discografia drakiana persa nel dimenticatoio. E allora c’è da chiedersi: è più affascinante un artista quando è morto? Può darsi, oppure è meglio dire che per apprezzare un’opera come questa, come Pink Moon, si ha bisogno di una maturità e di una sensibilità musicale che spesso è difficile acciuffare.

 

 

E ora sorgiamo
E siamo ovunque
E ora sorgiamo dalla terra

 


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