Mafia, il tesoriere che dominava i centri scommesse «Dove c’è gioco c’è lui, il marchio lo scegliamo noi»

Il governo gialloverde ha da poco emanato il decreto dignità che, tra gli altri aspetti, sancisce il divieto di pubblicità nel mondo del gioco d’azzardo. Ma a guardare l‘operazione Delirio, l’inchiesta che ha sgominato le “nuove” cosche mafiose palermitane, avrebbe dovuto forse intervenire con altrettanta energia sulle infiltrazioni tra i centri scommesse. Il quadro che viene fuori dalla vasta operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo, traccia infatti una presenza pervasiva di Cosa nostra nel mondo del gioco d’azzardo. A partire dal cosiddetto tesoriere della mafia, Giuseppe Corona, che faceva parte del mandamento di Porta Nuova insieme ai reggenti del mandamento di Resuttana Vito Galatolo e Vincenzo Graziano. 

Corona era il sole attorno al quale ruotavano gli interessi di Cosa nostra nel mondo dell’azzardo: gestiva il traffico di slot machines e dei siti di scommesse; possedeva attraverso vari prestanome una miriade di centri scommesse e di internet point – a Borgo Nuovo, alla Cala, a piazza don Bosco, in via De Cosmi – che dietro il paravento legale servivano soprattutto a ripulire il denaro proveniente dagli illeciti di Cosa nostra, nonché ad alimentare un mercato illegale parallelo di scommesse; ed era il referente per tanti che volevano aprire un’attività simile alla sua o che volevano installare dentro il proprio esercizio commerciale le cosiddette macchinette.

Una febbre, quella per il gioco d’azzardo, che non riguardava solo Corona. «Sono state intercettate più conversazioni telefoniche e ambientali – scrivono a un certo punto gli inquirenti – dalle quali è emerso il denaro della “cassa” della famiglia Acquasanta è stato utilizzato per il pagamento di un debito di gioco legato a scommesse sportive effettuate da Vito Galatolo». Talmente fissati col gioco che anche i pagamenti tra boss avvenivano o attraverso punti vendita Sisal o proprio dentro i centri scommesse (anche a Marghera, in provincia di Venezia). E in mezzo ai gossip tra Raffale Favaloro e Salvatore Seidita sul boss Giuseppe Tantillo, storico reggente mafioso di Borgo Vecchio al quale «sua moglie gli fece le corna», Favaloro trova il tempo di raccontare anche la proposta di Francesco Russo di «investire 10mila euro in scommesse ottenendo un guadagno certo di mille euro».

Spesso pure le faccende interne a Cosa nostra ruotavano spesso attorno al mondo del gioco d’azzardo. Michele Siragusa voleva entrare nel business delle agenzie sportive dentro Borgo Vecchio? Doveva pagare duemila euro al mese alla «cassa comune» mafiosa. Ci si doveva incontrare tra boss – nello specifico Sandro Diele (reggente della famiglia mafiosa di Pallavicino-Zen) e Domenico Palazzotto (reggente della famiglia mafiosa dell’Arenella)? L’appuntamento è a un centro scommesse Snai allo Zen. Anche se i due luoghi privilegiati restano: il centro scommesse alla Cala, gestito da Maria Laura Bonaccorso, moglie di Corona, attraverso la Cabo srl; e il centro scommesse Eurobet a piazza don Bosco, riconducibile direttamente allo stesso Corona. 

E poi c’è l’imposizione delle slot a titolari di bar ed esercizi commerciali. È il racket ad esempio gestito dai Graziano, Camillo e Roberto, tramite la società Sg bet s.r.l. Lo hanno confermato pure i collaboratori di giustizia: Corona aveva molte attività legate al mondo dell’azzardo: «Dove c’è gioco c’è lui». Il tesoriere era dunque molto richiesto tra gli esponenti di Cosa nostra «perchè ci sapeva fare». A riferirlo sono sempre i collaboratori di giustizia, nello specifico Galatolo. E a volte si provava pure ad imporre il proprio stile. In un’intercettazione ambientale del 2014 Salvatore Calabrese, che per gli inquirenti era il fittizio intestatario della Medi Games srl (la società, riconducibile sempre a Corona, che si occupava del noleggio delle slot) segnala al socio «la possibilità che, pur affiliandosi alla citata società di giochi e scommesse, venga loro consentito di utilizzare per il negozio una denominazione autonoma, allo scopo di evitare di dover corrispondere canoni per l’utilizzazione del marchio Eurobet». Calabrese in quel caso suggerisce che «noi possiamo vedere se ce lo fanno mettere senza marchio … un punto scommesse … il marchio lo decidiamo noi». 

Quello diventerà poi il centro scommesse di piazza don Bosco. Ad aprile del 2014 gli inquirenti intercettano un’altra conversazione tra Corona e la figlia Agostina, nel corso della quale i due discutono delle modalità da adottare per pubblicizzare l’apertura del neonato esercizio commerciale. In particolare Corona propone di ricorrere alla distribuzione di volantini, nei quali indicare che coloro che effettuano giocate per un determinato importo hanno diritto a una colazione gratuita presso il bar Alba, che sta accanto al centro scommesse. In ogni caso il settore dei giochi e delle scommesse costa, e parecchio. È lo stesso Corona a dolersene, in un’altra conversazione captata: «Qua ci vogliono soldi: alla Better ci vogliono soldi, al tabacchino ci vogliono soldi … Perchè io i soldi li ho presi dal tabacchino, ci siamo fino a qua … li metto qua … li metto là … questi qua li metto qua … questi qua li metto qua». Operazioni di finanza creativa che però sono comunque un rischio: «Però stringendo stringendo poi non ce la fai più».

Resta in ogni caso il controllo, come mezzo migliore per far fruttare gli affari. Anche a costo di sfiorare la paranoia. Corona ad esempio contattava spesso il giovane Valerio Sorrentino, che lavorava in un centro scommesse, come al solito a un prestanome. Una volta gli chiede perchè ha chiuso prima, visto che alle sei del pomeriggio era passato davanti il locale. Il giovane si difende adducendo inizialmente un «mal di mola» ma poi cede e promette: «vado a mangiare e poi alle otto apro di nuovo». Come a dire che la mafia il mal di denti lo fa passare velocemente. 


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