Mercatone Uno, ceduti a marchio Globo 13 punti vendita Riassorbiti in 28 su 46. «Accordo che mortifica il lavoro»

«Un ricatto sull’altro». È davvero tanta l’amarezza di Manlio Mandalari, dirigente regionale della Cgil Filcams che giovedì è volato a Bologna per discutere l’accordo con la direzione societaria di Mercatone Uno e il nuovo acquirente, Cosmo spa, per la cessione dei 13 negozi restanti dell’azienda, incluso quello di Palermo, che verranno assorbiti dalla nuova insegna Globo. Un percorso, quello della cessione dei 68 punti vendita totali del gruppo in amministrazione straordinaria, iniziato già la settimana scorsa col passaggio di 55 di questi (con 2.019 dipendenti) alla Shernon Holding srl, che manterranno però il marchio. Ma a passare alle dipendenze dell’insegna abruzzese di moda low cost saranno solo 28 dei 46 addetti vendite totali di Palermo, che verranno assunti dopo gennaio in regime di part time a 24 ore settimanali.

Mentre i dipendenti di Mercatone Uno non trasferiti saranno collocati in cassa integrazione straordinaria a zero ore fino al 13 gennaio 2019, data entro la quale avrà efficacia la cessione. «È stata una trattativa al ribasso, come purtroppo temevamo – spiega Mandalari -. Siamo stati portati, in situazione di emergenza, a firmare un accordo che ha dei numeri certamente non positivi in quanto alla tutela dei livelli occupazionali. Specie qui, una regione dove la ricollocazione sarà un percorso difficile da fare, ma a questo punto è necessario farlo». La speranza comune dei sindacati che hanno preso parte al tavolo tecnico di Bologna era soprattutto quella di non incrementare il bacino di precariato palermitano, ma non solo, già piuttosto consistente. Ma così non è stato. «Per Palermo l’esubero è del 40 per cento, ma è Catania la città più colpita, con un esubero che arriva addirittura all’80 per cento». Per non parlare del passaggio di categoria: «Rappresentavamo la grande distribuzione del mobile in Italia e finiamo ora nelle mani di un’azienda specializzata nella distribuzione di abbigliamento, accessori e calzature, quindi anche lì viene fuori un problema che riguarda la nostra formazione professionale originaria», dice ancora il sindacalista.

Tanti i rimproveri indirizzati a chi ha presieduto e spinto per questo tipo di accordo, che a sindacati ed ex dipendenti soprattutto è apparso quasi come un ultimatum estremo: «O firmate adesso o salta tutto e l’acquirente si tira indietro», è il messaggio che arriva dai vertici. Un accordo quindi solo per modo di dire. L’amministrazione straordinaria, subentrata tre anni fa, ha dimostrato «scarso interesse per la tutela dei livelli occupazionali», non riuscendo a garantire quanto invece avrebbe dovuto attraverso i suoi commissari, cioè la tutela dei lavoratori. Oltre al danno, la beffa: «I 28 di Palermo che saranno assunti subiranno una conversione totale dei contratti, passando dal full time al part time, una riduzione insomma della forza lavoro ma anche delle ore lavorate – spiega Mandalari -. Le famiglie monoreddito come faranno?». Si prospetta, a sentire il sindacalista, un periodo difficile. Ma intanto sono parecchi i dettagli di questa cessione ancora tutti da definire.

«Sappiamo che rimarremo in cassa integrazione fino a gennaio 2019, solo allora la forza lavoro transiterà al gruppo Globo. Nel frattempo, dovrebbero essere acquisiti i negozi e cambiati i layout. Ma noi aspettiamo le graduatorie rispetto ai criteri di passaggio dei lavoratori al marchio nuovo, che dovrebbero arrivare entro fine mese. Anzianità di servizio e carichi famigliari sono solo secondi a un criterio cardine, che non è a nostro favore, cioè quello della discrezionalità dell’acquirente che non si sa su quale base sceglierà». Magari in base alle mansioni svolte all’interno dell’azienda precedente, in fondo per i sindacati si può parlare di «compatibilità: i cassieri sono sempre cassieri, gli amministrativi sempre amministrativi, le strutture sono complementari». Ma se si è arrivati a questo punto, a un’intesa che di accordo ha ben poco e che i sindacati si sono di fatto rifiutati di firmare, per Mandalari è colpa dell’azienda stessa: «Tutto questo è frutto di una bancarotta fraudolenta di chi dolosamente e in maniera colposa ha distrutto un’azienda creando un buco di più di 500milioni di euro».

Intanto, il closing dovrebbe ufficialmente avvenire dall’1 agosto in poi, data in cui dovrebbero diventare effettivi la cessione e il passaggio. «È un accordo che onestamente mortifica il lavoro e la professionalità di chi per 18 anni ha servito un’azienda garantendo dei fatturati di tutto rispetto per chi poi purtroppo quest’azienda se l’è mangiata – continua amareggiato -. Oltre questo, è impensabile che a un tavolo istituzionale come questo venga proposta una bozza in cui le domeniche non vengano contrattualizzate. Delle nostre battaglie ne è stata fatta carta straccia. A freddo verranno fuori altre vertenze e la mancata firma dei rappresentanti sindacali avrà un peso». Si rammarica, infine, del fatto che gli ex dipendenti si siano fidati di quello che era solo un ultimatum. «Forse tutto sarebbe tornato indietro nelle mani del ministro Di Maio, che aveva manifestato l’intenzione di rimettere mano alla situazione. Cosa che non è avvenuta perché in fretta e furia è venuto fuori questo accordo. Per non parlare – aggiunge – dei tanti e tanti soldi che avanziamo da questa azienda: qualcuno ha creduto alla promessa della direzione risorse umane di Mercatone Uno che chiudendo l’accordo sarebbero entrati dei soldi coi quali sarebbero riusciti a saldare gli stipendi e le altre mancanze. Cosa non accaduta, è di ieri la notizia ufficiale che né gli stipendi né la quattordicesima saranno pagate entro agosto per una mancata, dicono, contezza dei vari passaggi e degli investimenti che si avvicenderanno. Resta tanta amarezza. Nulla è scritto, siamo in attesa di ricevere le lettere e capire quale sarà il nostro destino».


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