Minori non accompagnati, palermitana tra i primi tutori «Nuova modalità di impegno civico che salva i ragazzi»

«Mi piace l’idea che Viola cresca in un contesto ricco di culture diverse e che possa confrontarsi con persone provenienti da tutto il mondo». Viola è la figlia di cinque anni di Roberta Lo Bianco, la palermitana che la settimana scorsa ha ricevuto il premio per essere stata una dei primi tutori legali volontari per minori stranieri non accompagnati in Italia. «Loro hanno un rapporto bellissimo con lei, la coccolano e le vogliono tanto bene», aggiunge Roberta, che ha preso la tutela di tre minori provenienti da Nigeria, Gambia e Guinea. Il premio le arriva dalla Fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità), una fondazione con sede a Milano che produce e sostiene ricerche e iniziative sulla società multietnica e multiculturale e sui fenomeni migratori. Roberta lavora al CESIE da nove anni e dopo essersi impegnata nell’ambito della mobilità internazionale, da qualche anno la sua attività è sempre più indirizzata verso il tema delle migrazioni e gestisce diversi progetti sull’inclusione sociale e il dialogo interculturale in senso ampio.

A febbraio scorso il Comune, attraverso l’Istituto del Garante per l’infanzia, ha aperto un bando, dando l’opportunità alla società civile di candidarsi per assumere il ruolo di tutore legale volontario, fino a quel momento assunto esclusivamente dall’assessore alle politiche sociali del Comune per tutti i minori stranieri presenti a Palermo, che delegava diverse funzioni ai responsabili delle comunità, trascurando inevitabilmente l’aspetto relazionale. Adesso i minori sul suolo palermitano sono circa seicento e i tutori sono circa novanta. «È un’opportunità di arricchimento e di ampliamento delle proprie vedute – spiega Roberta Lo Bianco – A me è venuto facile avvicinarmi a questo mondo e spontaneo candidarmi, perché sono dentro a questo ambito da tanto tempo, ma sono dell’idea che chiunque può candidarsi come tutore a patto e condizione che sia disposto a mettersi in discussione e pronto ad assumersi la responsabilità di una relazione. Bisogna esserne convinti e seguire una formazione ad hoc, che è puntualmente organizzata dal Garante per l’infanzia in collaborazione con Unicef e Defence for Children».

«A Palermo – continua la donna – è stato istituito anche un UMT (Ufficio Monitoraggio Tutori) e ritengo sia fondamentale per i tutori avere un punto di riferimento attraverso il quale confrontarsi tra loro e con professionisti». Roberta Lo Bianco in questo momento è tutor di tre ragazzi africani, uno di diciotto anni, uno di diciassette e il più piccolo, di cui ha preso la tutela tre settimane fa, di quindici anni. «Quest’ultimo l’ho conosciuto durante una festa in comunità di Peter, il ragazzo di diciassette anni – racconta – Io non vado quasi mai in comunità, preferisco incontrare i ragazzi fuori, perché dentro le comunità è una discriminante avere o meno il tutore. Quelli che non ce l’hanno si sentono in difetto rispetto a chi ce l’ha ed è ingiusto. Così durante questa festa in comunità si è avvicinato questo ragazzino e mi ha chiesto “ma io perché non ho un tutore?”. Da quel momento abbiamo cominciato a parlare e ci siamo avvicinati e da poco ho assunto questo ruolo». Diventarlo non vuol dire né adottare né chiedere in affido, il tutore è semplicemente una persona che salvaguarda i diritti del minore e lo segue nel suo percorso formativo, legale e sanitario; a livello relazionale si diventa un punto di riferimento, ma ogni tutore può scegliere che spazio e tempo di relazione dare, e questo si costruisce insieme al minore, seguendo i suoi ritmi e i suoi bisogni.

«C’è chi li invita a pranzo e a cena a casa propria – racconta ancora – Altri vanno a trovarli in comunità. Molto dipende dalla volontà e dall’apertura dei ragazzi: alcuni sono molto aperti e socievoli, altri più chiusi e introversi. Bisogna rispettare il loro stato emotivo e i loro tempi, noi tutori non dobbiamo avere fretta di conoscere subito tutto di loro». La vita dei ragazzi nelle comunità non è semplice: «Purtroppo i minori che vivono in comunità, a causa di un sistema di accoglienza disfunzionale, sono trattati come pacchi – aggiunge Roberta – Le comunità spesso per insolvenza o mancanza di fondi sono costrette a chiudere e quindi i ragazzi cambiano spesso luogo e tornano indietro nel loro percorso, ad esempio passando da una seconda accoglienza alla prima rimettendo tutto in discussione,  dal percorso alla scuola e alle abitudini, è un continuo ricominciare. I ragazzi che hanno un tutore sono più protetti. Sono tante le battaglie che noi tutori abbiamo fatto per salvaguardare e certe volte proprio salvare i ragazzi da percorsi drammatici che si apprestavano a fare. Troppo spesso vengono sballottati».

Le comunità per minori «spesso non hanno i criteri per poter aprire – dice ancora – così poi quando arrivano i controlli le chiudono». Questo premio arriva in un momento particolare per la città di Milano: «Hanno deciso di premiarmi perché da pochissimo hanno aperto il bando per tutori per minori stranieri anche a Milano e hanno avuto poche adesioni – conclude Roberta – Mi hanno invitato per raccontare la mia esperienza in quanto Palermo è stata una delle prime città a sperimentare questa nuova modalità di impegno civico e contestualmente mi hanno dato questo premio. Mi hanno anche regalato un viaggio per Berlino, dove esistono organizzazioni con percorsi sui tutori molto importanti, lì sono proprio avanti da questo punto di vista. Questo regalo mi permetterà di apprendere nuove e belle pratiche da traghettare a Palermo».


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