Mafia, l’asse Santapaola-Nardo nel Siracusano Rivalità coi Mazzei e interessi su rifiuti e appalti

«Il paese il vostro è». Il clan Santapaola rivendicava così il proprio potere sul territorio di Lentini. Parole pronunciate da uno dei referenti della famiglia catanese agli amici del clan Nardo, minacciati dalla presenza sempre più invasiva della famiglia Mazzei. A dirle è Carmelo Cristian Fallica, durante il summit del 20 ottobre del 2016 a Francofonte, uno dei tanti organizzati in quei mesi dai Santapaola nel Siracusano. Fallica ne prende parte per fare le veci di Antonio Tomaselli, detto Penna bianca, considerato dagli inquirenti il nuovo reggente a Catania. Presenti a quell’incontro, in un vecchio casolare in contrada Vignale Verga lungo la strada statale 194, Francesco Caltabiano, Salvatore Catania, Fabrizio Iachininoto e Cirino Rizzo. Tutti finiti nell‘inchiesta Chaos perché ritenuti appartenenti al gruppo dello storico capoclan Sebastiano Nardo, attivo a Lentini, Carlentini, Francofonte e Augusta, e affiliato alla famiglia catanese di Cosa nostra Santapaola-Ercolano. Oggi a tenere le fila dell’organizzazione locale aretusea sarebbe Francesco Caltabiano, detto Franco, condannato per associazione mafiosa in via definitiva. Al centro della richiesta dell’incontro ci sono i problemi sorti a Lentini a causa delle mire espansionistiche di Santo Di Benedetto (detto Santo Pannitteri), esponente del clan Mazzei/Carcagnusi e parente di Santo Mazzei, nel territorio di competenza dei Nardo.

Tema caldo all’ordine del giorno la necessità di fare cassa. Caltabiano si lamenta di come «i siracusani», cioè la criminalità organizzata del capoluogo, sia riuscita a fare affari con la politica e nel settore dell’immigrazione, «mentre a noi – dice – ci hanno mandato sempre il contentino». E continua: «Ci sono stati ragazzi a Siracusa, che essendo avvicinati alla politica hanno fatto delle società e hanno preso i servizi. Oggi c’è questo mercato dei clandestini che c’è il boom!». Quindi Franco passa a proposte realizzabili più nell’immediato, «una cosa che resta nel giro», ovvero una sala bingo fra Lentini, Carlentini e Francofonte. A riportare tutti con i piedi per terra è Fallica che ricorda come il loro primo dovere sia quello di mantenere gli associati in carcere, «perché – aggiunge Salvatore Catania, braccio destro di Caltabiano – quelli che siamo qua, vuoi o non vuoi la mattina ci leghiamo le scarpe strette e le cento euro…». Anche se gli affari non sembrano andare bene tanto che «noialtri ‘na firamu a pane e cipolla».

Altro argomento intercettato della conversazione è una misteriosa nave casinò che avrebbe come punto di riferimento il porto di Augusta. «Fa duemila posti a sedere – spiega ancora Fallica – si allontana, si mette nelle acque internazionali e iniziano a giocare». A rassicurare il catanese sulla fattibilità di un coinvolgimento nell’affare è ancora Salvatore Catania: «Noi ora ci comportiamo di conseguenza, ci mandiamo qualche segnale […] siamo stati all’oscuro di tutto […] ora però, grazie a Dio, piano piano cerchiamo di mettere di nuovo le cose per come sono». L’auspicio è tornare a controllare il territorio, anche grazie alla piena autonomia riconosciuta dai santapaoliani catanesi agli amici di Lentini. Un asse ben saldo: «Lentini è Catania», dice Fallica facendo riferimento al rapporto familiare che li unisce: Sebastiano Nardo, in effetti, è il cognato del marito di Concetta Mangion, sorella del santapaoliano Giuseppe Mangion, detto Enzo.

Altro disegno criminoso sembra essere quello sul cimitero di Melilli, al punto da meritare il diretto interessamento del reggente Tomaselli. «Lo stratega di queste cose è un ingegnere di là – dice Catania – Lui è la persona adatta che ci può dare le dritte per dove dobbiamo andare, senza che ci sfacinziamu (preoccupiamo ndr) di niente». Stando alla ricostruzione dei magistrati, si tratterebbe di un impiegato comunale, una persona di fiducia del clan che poi avrebbe dato le dimissioni, «un amico nostro», lo definiscono gli indagati. Una storia che non trova seguito nell’indagine della Procura etnea. 

I nuovi business comunque non fanno dimenticare i vecchi affari, a cominciare da droga e rifiuti. Da un lato Fallica e Catania intendono ridefinire i confini territoriali di competenza sulle piazze di spaccio. «Ora la cartina geografica na studiamu attonna». Dall’altro progettano come inserirsi negli appalti legati alla munnizza, appetiti anche dai catanesi. A Lentini, in particolare, il servizio di raccolta rifiuti è stato gestito fino a marzo 2017 da un raggruppamento temporaneo di imprese formato dalla Tech Servizi e da Clean Up (quest’ultima sequestrata dalla Procura di Catania nel gennaio 2017 perché ritenuta infiltrata dal clan Cappello di Catania attraverso l’imprenditore Giuseppe Guglielmino). Secondo gli inquirenti, «è emersa la volontà del clan Nardo di avvicinare i responsabili della Tech Servizi e del raggruppamento». L’interesse sarebbe stato duplice: da un lato intavolare una trattativa con gli stiddari per dividersi le somme che la ditta avrebbe versato alle famiglie locali e che adesso i santapaoliani pretendevano fossero distribuite tra i gruppi su base territoriale; dall’altro far assumere Fabrizio Iachininoto, già condannato per associazione mafiosa e in passato dipendente della ditta Meridiana sas, attiva a Lentini. Ma nelle carte dell’ordinanza non è specificato se questo interessamento abbia prodotto risultati. 

Per ristabilire il pieno controllo sul territorio, Caltabiano e soci non esitano a usare la violenza contro imprenditori locali, per costringerli a sottostare ad estorsioni. Arrivando persino a sequestrare, nel settembre del 2016, un carrozziere e due suoi conoscenti. Fermati da sei persone, costretti a salire su un furgone, legati e portati in un casolare di campagna a Francofonte e qui pestati. Per ottenere la somma derivante dalla vendita di un piccolo vigneto. Gli inquirenti sottolineano come i tre avessero riconosciuto l’organizzatore dell’aggressione, proprio Caltabiano, ma che non lo hanno denunciato perché consapevoli della sua caratura criminale.


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