Concorsi università, accuse a Parlato e Sammartino Merito? «Nel negoziato serve valutare l’opportunità»

Baronie, favoritismi e caste. È quanto emerso dall’inchiesta condotta dalla guardia di finanza di Firenze Chiamata alle armi e che coinvolge anche alcuni docenti palermitani e altri che, pur non essendo originari del capoluogo siculo, insegnano a Unipa. I docenti colpiti dall’interdizione per dodici mesi dall’insegnamento sono Salvatore Sammartino, nato a Ravanusa ma palermitano da decenni, e la veneta Daniela Mazzagreco, ma anche la palermitana Maria Concetta Parlato, figlia dello storico professore di diritto tributario, Andrea Parlato, indagato a sua volta per presunte pressioni per la sua abilitazione. Coinvolto anche il palermitano Giuseppe Maria Cipolla, docente a Cassino, agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione: lui è uno dei membri della commissione che avrebbe dovuto valutare i candidati all’abilitazione scientifica. Una commissione, però, che non avrebbe basato le selezioni sul merito. Lo spiega, intercettato, proprio l’ex presidente Adriano Di Pietro: «Ognuno ha le sue aspettative, le sue aspirazioni, le sue sollecitazioni». Il punto è saper mediare fra le pressioni che ogni membro della commisione riceve.

Candidati ad personam. Ogni docente avrebbe avuto i propri favoriti per cui battersi, una vera e propria gara a chi fare passare prima. Persino un noto docente come Andrea Parlato deve insistere per promuovere la figlia, ricercatrice a Scienze politiche. Lo scontro è col professore Sammartino, che avrebbe avuto già due nomi pronti: sono quelli di Daniela Mazzagreco e di un altro ricercatore rimasto estraneo alle indagini. Un conflitto per la spartizione territoriale delle abilitazioni per le cattedre universitarie: «Il commissario era totalmente dalla parte di Sammartino. Erano tutti d’accordo», dice Parlato al telefono col genero, Andrea Colli Vignarelli, docente a Messina, anche lui adesso interdetto dall’insegnamento. È il 3 marzo 2015. A stare con le mani in mano, però, Parlato non riesce e a pochi giorni da quella telefonata parte alla volta di Bologna per incontrare Di Pietro, adesso anche lui ai domiciliari. «Per telefono non si può dire, è chiaro no?», dice al presidente che, giorni prima, secondo quanto ricostruito dalla Procura, si era già pronunciato in realtà con alcuni colleghi sul destino delle candidate proposte dai rispettivi sponsor.

La sua presa di posizione è un vero e proprio «negoziato per far passare Mariù», cioè Maria Concetta Parlato: per favorirla l’intenzione sarebbe stata quella di utilizzare l’abilitazione di Mazzagreco come merce di scambio per la candidata dello storico prof. «Così è il discorso: uno a uno, palla al centro», è il commento ironico del presidente Di Pietro. Una sorta di abilitazione a coppie, ognuno in un ambito disciplinare diverso, mettendo insieme candidati di diversi professori per non scontentare nessuno. Così il commissario Cipolla spiega al collega Vignarelli di aver dovuto accettare anche il secondo candidato che sarebbe stato supportato da Sammartino, «questo – sottolinea – è stato il prezzo da pagare perché andasse all’unanimità Mariù». Anche avere dalla propria il presidente, in certi casi, può non bastare. Per non correre alcun rischio l’ideale è trascinare qualcun altro, «in maniera tale che facciamo pressioni sugli altri componenti della commissione». Parlato non nasconde le sue preoccupazioni rispetto alla sponsorizzazione dell’altra candidata da parte del collega Sammartino: «Sta, per la Mazzagreco, divulgando la notizia che lui ha già il posto. Cioè lui ha fatto, va bene, un concorso, che ha un certo ruolo nel suo Dipartimento di diritto tributario, dove lui pensa con ciò di sistemare per subito la Mazzagreco, e ovviamente non Mariù, Mariù non farebbe un concorso là, perché lui l’aspetterebbe col cannone, proprio». Si attende, insomma, l’abilitazione del candidato giusto per procedere con il concorso.

«Parliamo chiaro di una cosa – dice ancora a Di Pietro – Il momento in cui lui bandisce un concorso a Palermo, 50 persone si presentano. Per quanto lui potrà fare le barriere, mettendosi lui in commissione, facendo venire chi vuoi tu, guarda che obiettivamente la Mazzagreco è debole, perché si presenta lì, sempre col volume sullo Statuto, volume che lei ha rifatto in edizione provvisoria per partecipare al concorso di ricercatore». Il presidente lo rassicura e, mettendo da parte valutazione personale e scientifica, quelli cioè che sarebbero in teoria i requisiti necessari, spiega piuttosto che ogni commissario farà «valutazioni di opportunità» in base al negoziato in gioco. Un’abilitazione fatta, insomma, ma che in altre occasioni e con altri interlocutori il presidente non esita a definire «una pietra al collo».

Quello che sembra emergere dall’ordinanza è un vero e proprio totonomine manovrato dai commissari. Uno di questi è proprio il genero di Palermo, Vignarelli. È lui che insieme a un altro professore, Gugliemo Fransoni, avrebbe trovato l’intesa perfetta, «un gioco di squadra» per permettere al collega di acquisire una sorta di ticket, un biglietto di viaggio per la prossima tornata di candidature. Meglio accontentarlo Vignarelli, visto la pesante parentela alle sue spalle: «Dovevo tenermelo buono per tenere su altre posizioni, perché se no lui avrebbe sbracato e quindi ho tenuto conto dell’esigenza territoriale dei Parlato». Il meccanismo con cui far trionfare Mariù è semplice: Vignarelli avrebbe fatto ritirare la prima candidatura della moglie, negoziando i propri voti di commissario in cambio dell’assicurazione dell’abilitazione della coniuge nella tornata successiva, quando lui si sarebbe poi dimesso per incompatibilità. Un circolo vizioso, in un certo senso, di «do ut des», come dice anche il professore Pasquale Russo, cioè quello che invita il candidato Philip Laroma Jezzi, che ha fatto scattare l’indagine, a fare un passo indietro: «Non è che non sei idoneo, non rientri nel patto». Anche lui, del resto, si sarebbe dovuto «piegare a certi baratti» per portare avanti i suoi allievi: «La logica universitaria è questa… è un mondo di merda».


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