Basket, nessun campetto comunale all’aperto  «Se non ami questo sport sei nella città perfetta»

«Se tu non ami il basket e ti piace mettere su chili di lardo, allora Palermo è una città perfetta». Davy Deglave, oltre a essere il cantante della band Matrimia, è un appassionato di pallacanestro che ogni mercoledì si riunisce con amici e altri aficionados per partitelle a metà tra svago e agonismo. Il gruppo è però costretto a vagare di struttura in struttura e deve ogni volta pagare una quota: in città infatti non esiste un campo di pallacanestro all’aperto, gratuito e messo a disposizione dal Comune. Eppure, come aggiunge l’operatore sociale Fabrizio Cacciatore, «c’è molta gente che vorrebbe praticare un po’ di sano playground (il termine è quello, mutuato dagli Usa, che gli appassionati usano per indicare il campo da basket all’aperto … ndr), come in ogni città europea». 

Fonti interne al Comune confermano che a Palermo gli unici campi gratuiti sono gestiti da privati, dalle chiese o dalle scuole. E anche quelli scontano alcuni problemi. Ad esempio allo Stadio delle Palme si è creata la consuetudine che chiunque arrivi possa fare due tiri a canestro, ma in realtà il campetto è gestito da una serie di associazioni che in ogni caso potrebbero avocare a sé il diritto di far giocare esclusivamente i propri associati. E inoltre, a causa della scarsa manutenzione, l’asfalto presenta pure qualche buca. A dicembre dell’anno scorso è stato poi inaugurato il Parco della Salute, dedicato a Livia Morello e gestito dalla onlus VivoSano: solo che il campo da basket ha i canestri a misura di bambini (quindi 40 centimetri più bassi dei regolamentari 3metri e 05 cm) e sta in mezzo, in ogni caso, al campo da calcetto; così che spesso piccoli appassionati di pallacanestro devono contendere il campo ai ben più numerosi appassionati di calcio.

Il rammarico è che la città è piena di spazi all’aperto dove si potrebbero realizzare playground e più in generale strutture sportive. La giunta continua a voler puntare sulla realizzazione di queste opere all’interno delle ville pubbliche che esistono a Palermo, che è poi la direzione chiesta dalle varie federazioni. Il problema è che molte delle ville pubbliche sono anche riconosciute come beni storici e culturali, e dunque hanno bisogno dei necessari permessi da parte di Soprintendenza e assessorati. Oppure in mezzo si intersecano altri problemi, come la vicenda del parco Cassarà – che attualmente vede inutilizzata la pista di pattinaggio – o gli impianti all’aperto di Bonagia e Borgo Nuovo che, appena realizzati e consegnati ad alcune associazioni, sono stati subito vandalizzati e occupati abusivamente.

Un modello al quale guardano invece gli appassionati è Capo D’Orlando, dove i playground sono numerosi e la passione per il basket è davvero popolare: ne è prova la squadra di casa dell‘Orlandina, che gioca in serie A riuscendo a riempire e ha avuto, prima come giocatore e poi come allenatore, la rockstar del basket Gianmarco Pozzecco. Oppure, senza dover per forza mirare alle eccellenze, anche città come Gela hanno campetti all’aperto. Possibile che il capoluogo siciliano, con i suoi 672mila abitanti e una tradizione cestistica comunque importante – che vede la squadra locale maschile in serie B, quella femminile in A2, altre tre maschili in serie D e un’altra femminile in B – non consenta di poter giocare liberamente?.

«Sicuramente tutto ciò è deprimente – dice Vincenzo Allotta, giornalista ed esperto di comunicazione sociale – soprattutto in centro storico è impossibile provare a praticare qualsiasi sport. Spostando l’attenzione sul basket c’è una grande difficoltà a diffondere la cultura di questo sport nei più piccoli perché da sempre a Palermo, più che nel resto della Sicilia, è sempre stato trattato come elitario, riservato a chi può permettersi quote mensili discrete per mandare il figlio a giocare. Non si tratta di uno sport di strada, come negli Stati Uniti, o per restare in Europa in paesi come Slovenia, Croazia e Serbia dove si trovano campetti all’aperto praticamente ovunque». Non è un caso che le nazioni citate dal giornalista possano vantare le più forti squadre al mondo. Insomma, se il basket viene dalla strada può arrivare lontano


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