Paolo Giaccone, oggi 35 anni dalla morte Inaugurato nuovo padiglione al Policlinico

«Sono convinta che 35 anni fa in questo viale non è stato ucciso solo mio padre, ma l’istituto di medicina legale tutto. Insieme a lui sono morti tanti sogni e progetti. Mi chiedo che fine abbiano fatto tutti i suoi studi». Sono dure le parole di Milly, figlia di Paolo Giaccone, il medico ucciso l’11 agosto 1982 da Cosa nostra, solo poche settimane prima della strage di via Carini. Mesi prima, era dicembre 1981, una sparatoria a Bagheria aveva causato quattro morti: Giaccone, incaricato dal tribunale, era riuscito a identificare un’impronta digitale, quella di un boss della famiglia di corso dei Mille. Riceve pressioni continue per manipolare i risultati di quella perizia, ma lui non si piega. Firmando così la sua personale condanna a morte. Sono cinque i colpi che lo raggiungono nei viali alberati del Policlinico, oggi intitolato a lui, mentre si sta recando a lavoro.

Il filo conduttore della commemorazione di questa mattina presso quegli stessi viali di via del Vespro è stato l’allarme lanciato dalle personalità che vi hanno preso parte: «È il periodo più nero della medicina legale a Palermo, perché è stata progressivamente abbandonata, con assurde logiche di accorpamento che hanno ignorato la finalità forense della nostra attività. Oggi questa è un luogo ridotto a struttura semplice, rimane ben poco di quell’idea che ci ha lasciato Giaccone», denuncia per primo il professore Paolo Procaccianti, ex responsabile dell’istituto di medicina legale. «Chiedo a gran voce che ne vengano risollevate le sorti – aggiunge – per non continuare a uccidere il mio collega». E l’occasione arriva proprio oggi, giornata scelta simbolicamente proprio per inaugurare ufficialmente il nuovo padiglione di Chirurgia plastica.

«Abbiamo fatto coincidere commemorazione e inaugurazione per dare un segnale forte di ripresa di un’attività diversa rispetto a quella che 35 anni fa si faceva in questa città», spiega il direttore generale della struttura, Fabrizio De Nicola, che non è d’accordo pienamente d’accordo con l’allarme lanciato da Procaccianti: «Io sono sicuro che la medicina legale invece non sia affatto morta, lo dimostrano tutte le persone e gli studenti che sono qua oggi, questo anniversario non è stato dimenticato». «Supereremo tutte le criticità odierne», gli fa eco l’assessore regionale alla Salute Baldo Gucciardi. Più lungo e intenso, invece, il discorso della prefetta Antonella De Miro, che si rivolge soprattutto ai giovani studenti che hanno deciso di intraprendere lo stesso percorso del professore Giaccone: «La riflessione che dobbiamo fare oggi è soprattutto una: se c’è un uomo delle istituzioni che muore, allora c’è anche un uomo delle istituzioni che ha tradito – spiega – Di questo delitto sappiamo i nomi dei killer, ma non sappiamo ancora chi lo chiamasse e spingesse per fargli cambiare la perizia. Oggi la mafia non ha più bisogno di uccidere come allora, perché c’è molta corruzione ed è fra le sue pieghe che si insinua», ammonisce.

Le dà il cambio al microfono la neo assessora all’Istruzione Antonella Marano, che subito sottolinea come, malgrado i passi avanti ancora da compiere, siano tante le cose cambiate a Palermo rispetto a 35 anni fa: «Allora nemmeno si pronunciava la parola mafia. Oggi stiamo vivendo una fase nuova di risveglio culturale, sono tanti i risultati ottenuti ed è tanto soprattutto quello che dobbiamo, da cittadini, a uomini come Paolo Giaccone». Chiude i giochi, prima del breve tour per i corridoio e le sale del nuovo padiglione, il rettore dell’Università degli Studi di Palermo Fabrizio Micari: «Non è un caso aver scelto questo giorno per inaugurare il nuovo plesso: significa guardare e ispirarsi al senso del dovere di quell’uomo, a quei valori che oggi ogni giovane dovrebbe far propri. Palermo non è più la città di 35 anni fa, si respira qualcosa di diverso per la strada. Ma c’è ancora molto da fare – sottolinea anche lui – Ancora oggi abbiamo scritto una pagina di futuro, un futuro possibile per i nostri giovani per cui impegnarci sempre di più».


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