Riina, duro colpo al patrimonio occulto «È ancora l’indiscusso capo dei capi»

«Il cognome Riina non ha una certa influenza, ha influenza». È con queste parole che il comandante del Ros dei carabinieri Giuseppe Governale commenta a MeridioNews l’ennesimo colpo inferto al mandamento mafioso di Corleone e a quello che, malgrado gli anni passati in regime di 41 bis in un carcere lontano dalla Sicilia, resta ancora «l’indiscusso capo dei capi». «Una famiglia che ha ancora le mani in un’economia illecita» è questo il riscontro che emerge dall’attività investigativa. «D’altro canto – continua Governale – il mafioso si adatta particolarmente al disagio, come può essere quello del carcere, ma va in difficoltà quando gli tocchi il denaro, il patrimonio, le fonti di reddito, ce lo hanno insegnato Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giovanni Falcone». Intanto il tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato la richiesta di differimento pena o, in subordine, di detenzione domiciliare presentata dai legali del boss. I giudici hanno riunito due procedimenti, decidendoli insieme. Riina quindi resta detenuto al 41bis nel reparto riservato ai carcerati dell’ospedale di Parma. Alla richiesta dei legali, motivata da ragioni di salute del boss, si è opposto il pg di Bologna Ignazio De Francisci. «Totò Riina rimane in ospedale ma è una ordinanza ampiamente ricorribile, e come tale sarà oggetto di ricorso». Dichiara il suo legale, l’avvocato Luca Cianfaroni

Gli accertamenti del Nucleo investigativo di Monreale e della compagnia di Corleone, partiti fra il 2012 e il 2013, hanno inferto dei duri colpi al mandamento corleonese.È sulla base di questi accertamenti che gli inquirenti decidono di approfondire le indagini, spostandole sul piano economico-finanziario che ha portato a far emergere uno scenario di «ricchezza ingiustificata». «Abbiamo messo a comparazione tante intercettazioni telefoniche e tanti elementi che si trovano disseminati nei procedimenti e che bisogna avere la capacità di mettere a sistema, compattandoli, per vedere cosa un elemento dice rispetto a un altro – aggiunge il comandante – E questi accertamenti li abbiamo fatti e li abbiamo posti all’attenzione della Procura di Palermo nel settembre del 2016 ed ecco qui il provvedimento di sequestro, un provvedimento che il tribunale di Palermo e questa rigenerata sezione di Misure di prevenzione ha messo a segno».

Un colpo molto duro, che ammonta a circa un milione e mezzo. È questo il valore totale dei beni posti sotto sequestro stamattina appartenenti alla famiglia di Totò Riina. «A distanza di anni abbiamo evidenziato come questa famiglia, la famiglia storica di Cosa nostra, abbia delle risorse economiche non giustificate, o meglio, non giustificabili solo attraverso le attività che continuano a svolgere», spiega ancora il comandante Governale. Tra i beni sequestrati ci sono tre società, una villa, 38 rapporti bancari e diversi terreni che si trovano fra le province di Palermo e Trapani. Il sequestro comprende anche una villa di cinque vani a Mazara del Vallo, intestato a un prestanome. Sigilli anche per una concessionaria di auto in provincia di Lecce e Brindisi, riconducibile al genero di Riina, Antonino Ciavarello.

Oltre ai beni sequestrati, è stata posta sotto amministrazione giudiziaria per sei mesi anche un’azienda agricola dell’ente Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone: «L’elemento più interessante che fa riferimento alla conduzione di quest’azienda è come sia stato possibile che elementi che fanno diretto riferimento a Cosa nostra abbiano potuto gestire di fatto un’azienda che è importante e con un territorio particolarmente rilevante e che fa riferimento alla Curia arcivescovile, che ha svolto i dovuti accertamenti, delineando una piena assenza di colpe – dice il comandante – Cioè effettivamente ci sono dei rappresentanti legali che in modo leggero e negligente hanno svolto la loro attività. Formalmente figurava un dipendente solo, realmente sono oltre sessanta, tutti in nero».

Le indagini, poi, hanno permesso di delineare in maniera piuttosto netta il ruolo della moglie del boss: «Ninetta Bagarella rappresenta, per il carisma del suo nome di battesimo e per quello del suo consorte, un elemento di riferimento nell’area, non solo in quella del mandamento di Corleone evidentemente – dice ancora Governale – Capace anche di risolvere conflitti che, quando il capo è assente, possono eventualmente tentare di svilupparsi». Ufficialmente senza reddito fisso, la donna è riuscita a versare tra il 2007 e il 2013 assegni per un valore di 42mila euro a favore dei parenti detenuti. «Cosa nostra, se vede una fessura, ci si fionda, si insinua subito. Ma se la pavimentazione è solida non c’è modo». Colpisce, infine, che un’operazione tanto importante come questa, alla quale si affianca oggi anche il blitz che ha azzerato la cosca mafiosa di Brancaccio con il fermo di 34 persone accusate di associazione mafiosa, scatti proprio oggi, 19 luglio. Solo un caso? «Il tribunale deve dare una risposta concreta, perché rispetto all’anti-Stato che vive di simboli, lo Stato deve rispondere anche con simboli e con i fatti insieme», risponde il comandate Governale. 


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Il sequestro ammonta a un valore di circa 1,5 milioni di euro e comprende società, ville, terreni e anche un’azienda agricola collegata alla Curia arcivescovile, posta sotto amministrazione giudiziaria. Intanto il tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato la richiesta di differimento pena o di detenzione domiciliare presentata dai legali del boss

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