Il boss Giuseppe Graviano e il libro del figlio di Riina «Lo sai in quanti hanno chiesto a me di scriverne uno?»

«Io amo mio padre, al di fuori di tutto ciò che gli viene contestato, non tocca a me giudicare le sue azioni o quelle della mia famiglia, per questo c’è uno Stato, delle sentenze e dei giudici. Io giudico invece ciò che mi hanno trasmesso i miei familiari: il bene, il rispetto, e altri valori». Diceva così Giuseppe Salvatore Riina di suo padre Totò lo scorso aprile, seduto su una poltrona davanti al giornalista Bruno Vespa. Un’intervista trasmessa su Rai1 nel programma Porta a porta e che alla fine della sua messa in onda ha sollevato un vespaio di polemiche. Non è passata inosservata nemmeno a Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio in regime di 41 bis dal suo arresto nel ’94. «Porta a porta si stava addormentando, quindi per smuovere un po’ la situazione…dice…meglio di questa situazione…e così gli hanno fatto la pubblicità a Vespa, e la pubblicità per il libro». Si intitola Riina family life e l’autore è proprio quel figlio devoto che anche in onda ha tentato di raccontare un’immagine diversa di un padre che per il mondo intero è, ancora oggi, solo il capo dei capi. «Io, guardandolo il figlio di Riina, ho visto la mafia», commenta un ospite degli studi di viale Mazzini.

«Questo ragazzo lo ha detto anche al processo – ricorda Graviano, riferendosi a Riina jr – “Io sono un tipo che…io non faccio parte di nessuna organizzazione mafiosa, però non riesco a dire quella fa schifo, queste cose mi sono…mi astengo perché non mi interessa, mi vogliono sottomettere…siccome c’è stato Cuffaro che ha detto che la mafia fa schifo e ci sono stati anche i figli di Masino Spadaro, accusati mafiosi, che lo hanno detto pure…”. Umbè, io neanche so se esiste questa mafia», dice addirittura il boss di Brancaccio, prendendo le distanze. I commenti sull’intervista e la promozione del libro, intanto, si sprecano e la trasmissione di Rai1 diventa argomento cardine dell’ora di passeggiata dei due detenuti: «La trasmissione a me sembra che è stata positiva. Anzi sono convinto che Saviano e qualche altro si stanno comportando ancora così, perché hanno paura che se prende questa scia di pubblicazione di questo tipo di libri…perché la gente si comprerà questi e non quelli che i loro amici…». «Loro hanno paura della divulgazione di questa…del successo che puà fare – lo interrompe il compagno Umberto Adinolfi – La gente si affascina a leggere questi libri».

Libri, cioè, scritti da chi la mafia ce l’ha avuta in casa ma che tuttavia non la sa o non la vuole raccontare, preferendo a questo tipo di racconto una versione alternativa, casalinga, familiare del boss che ordinava stragi e omicidi. Libri che persino Graviano stesso avrebbe potuto scrivere: «Lo sai quanti personaggi vanno dai miei avvocati e mi hanno chiesto di scrivere un libro, scrivere un libro, scrivere un libro», ripete a cantilena per sottolinearne, forse, l’insistenza o la frequenza della richiesta. «L’ultimo, che io gli ho detto sì, che è Sansonetti – continua, riferendosi probabilmente al giornalista Piero Sansonetti, diretto de Il Dubbio – Però gli ho detto che deve venire in carcere, “io ti racconto tutta la mia storia, tu ti vai a fare le indagini nei mie processi”. Comunque, io non mi voglio pronunciare, però sono sempre disponibile per le cose giuste. Ma certo lui verrà ad ascoltarmi. Io gli dico i punti che lui deve toccare e faccio succedere uno scandalo nella magistratura e dimostro la mia innocenza ed estraneità a tutto ciò che mi contestano, questo è il mio obiettivo».

Al compagno che sorride e lo prende in giro, risponde subito: «Tu dici sono sogni, io ragiono da scienziatii scienziati…nessuno crede prima che viene approvata una cosa di un certo peso, si viene presi per pazzi, ma nessuno immaginava, arrivava a questo punto…». Sogni ancora irrealizzati, quelli di narratore. Mentre intanto nella casa circondariale di Ascoli Piceno, dov’è stato detenuto fino al mese scorso, non si parla d’altro. A tenere banco anche fra gli agenti è l’intervista al figlio di Riina che, secondo una guardia penitenziaria, meriterebbe soltanto «una sputazzata in faccia». «Io sinceramente dico una cosa – aggiunge ancora Adinolfi – Il fatto che Vespa abbia fatto un’azione di questo tipo evidentemente è solo a fini speculari, non l’ha fatto né per una condizione, né per giustizia, né per Riina, l’ha fatto per speculare per il programma, nemmeno per fare comprare il libro». Ha le idee molto chiare Adinolfi, che condivide l’ora d’aria giornaliera con Graviano. «Ormai la gente è abituata a comprare libri, perché l’italiano è uno che vuole guardare dal buco della serratura, hai capito? – dice ancora al boss – Per carattere è curioso, allora quello rapporta le curiosità dei potenti, né più né meno. L’italiano curioso com’è va a comprare il libro, e quello vende i libri…Quel programma è suo direttamente, non è della Rai».


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