Graviano e il fallito attentato a Maurizio Costanzo «Se n’è accorto alla fine, la macchina si scarrozzò»

«Io quando vedo queste cose…l’Isis! L’acchiappassi l’Isis marito e moglie». Se le bombe non sono servite a eliminare Maurizio Costanzo e sua moglie Maria De Filippi, per qualcuno servirebbero addirittura i terroristi. Se non altro per eliminarli definitivamente dal palinsesto televisivo. Entrambi infatti non sembrano essere particolarmente graditi da Umberto Adinolfi, il camorrista detenuto a Milano nel carcere di Opera e compagno di passeggiata di Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio. È il primo dicembre 2016 quando, intercettati durante l’ora d’aria, i due si scambiano alcuni commenti sulle trasmissioni televisive che seguono. «Pure il cane dall’Isis!», rincara la dose Adinolfi. «Meschino – risponde Graviano – Già il primo cane si salvò, non sto scherzando…Quando c’è stato l’attentato c’era il cane e scappò, però non si è fatto più vedere. Avevano loro il finestrino un poco aperto, il cane è uscito a razzo, sono venuti a raccontarlo al processo».

A fare scappare dall’auto in corsa quel cane è un rumore forte. Quello di una detonazione. I vetri delle sessanta vetture posteggiate tra la via Fauro e la via Boccioni vanno in frantumi. Le facciate dei palazzi crollano giù, cade persino il muro di una scuola lì di fronte. A fare saltare in aria tutto sono 100 chilogrammi di esplosivo nascosto dentro una Fiat Uno rubata, parcheggiata poco prima del civico 60. Sono le 21.35 del 14 maggio 1993. La stessa scena era stata minuziosamente preparata per la sera prima, ma un guasto del congegno aveva costretto il gruppo armato a rimandare tutto. Pochi secondi prima di quel boato passano Costanzo e la De Filippi, all’epoca sua compagna, a bordo di una Mercedes blu non blindata. I killer hanno alle spalle mesi di pedinamenti serali, aspettano che il presentatore finisca le prove al teatro Parioli, dove trasmettono il Maurizio Costanzo Show, per seguirlo fino a casa. Memorizzano i suoi movimenti, le sue abitudini. Memorizzano soprattutto l’auto con cui, insieme alla scorta, si sposta per Roma, un’Alfa Romeo 164.

Quella sera però a sbucare per prima è una macchina diversa. Seguono attimi di incertezza e il pulsante del telecomando viene schiacciato alcuni secondi dopo. Secondi che salvano la vita ai due bersagli. «Questa è la strada dei Parioli, e poi c’è la traversa che loro prendevano, qua in fondo – dice Graviano, mentre con le mani la descrivere al compagno – E lui ogni sera aveva la macchina di servizio, l’autista e loro seduti dietro. Quella sera ha cambiato auto, non c’era la bella macchina e ha preso una macchina qualsiasi ed è uscito. Quello se n’è accorto all’ultimo che era lui, aveva già voltato, quindi il colpo se l’è preso tutto». Non muore nessuno quella sera, ma la paura è tanta. «Il muro…tutto il muro…E questo fu il coso di Costanzo, mi sono spiegato? E la macchina si scarrozzò…», commenta sarcastico Graviano. Passa alla storia come il fallito attentato di via Fauro e lascia un’ombra indelebile in quelli che sanno di essere stati le vittime designate di un piano andato a vuoto solo per una manciata di secondi. Ci avevano provato anche l’anno prima, nel febbraio del ’92.

«Eravamo io, due di Brancaccio, miei, e altri due che poi se ne sono andati che avevano un matrimonio, e altri due che si sono fatti entrambi pentiti – racconta – Uno di Castelvetrano e uno di Mazara Del Vallo, Sinacori e Geraci». Sono otto in tutto e siedono inosservati tra il pubblico presente al Parioli. Assistono alla puntata, divenuta storica, in cui fra gli ospiti c’è il giudice Giovanni Falcone. È lui il bersaglio iniziale. Il gruppo di fuoco nasconde le armi e l’esplosivo nell’intercapedine del camion di un complice. Gli appostamenti nel centro di Roma, però, non portano a nulla. Intercettare Falcone si rivela più complesso, specie in una città che non è la loro. Ripiegano su Costanzo, ma subito arriva l’ordine di Totò Riina, che ferma tutto: «Giù ci sono cose più importanti». Solo tre mesi più tardi a Palermo salta in aria un tratto della A29, all’altezza di Capaci. Insieme alla strada, spariscono il giudice Falcone, la moglie Francesca e gli agenti Vito, Antonio e Rocco della sua scorta.


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