Don Ciotti al Santa Chiara parla di migrazione «È un olocausto nei nostri mari e nelle nazioni»

«Oggi viviamo un olocausto, perché quello che sta avvenendo nei nostri mari e nelle nostre nazioni deve chiamarsi così e contro al quale serve un soprassalto di umanità, l’accoglienza ha dei vasi comunicanti e solo la cultura può fare da sveglia per la coscienza e far crescere la consapevolezza». Lo dice col tipico calore che lo infiamma sempre quando parla, Don Luigi Ciotti, intervenuto questo pomeriggio presso l’oratorio di Santa Chiara a Ballarò per festeggiare il terzo compleanno del Moltivolti. E soprattutto per tirare le somme e fare qualche riflessione sul tema delle migrazioni e dell’accoglienza. «Sono felice di essere qui oggi – dice subito – e ringrazio tutti, perché qui ho trovato storie bellissime, senza chiasso». Da qui sarà una mezzora intensissima di salti nel passato e di ritorni al presente, in un continuo andirivieni che non gli permette di seguire passo passo gli appunti che ha scarabocchiato su un’agenda.

E denuncia immediatamente: «Oggi c’è una sproporzione tra solidarietà e giustizia nel nostro Paese, questa è una delle più grandi ferite. Non basta l’accoglienza, bisogna riconoscerle queste persone. Dobbiamo essere molto lucidi, la solidarietà finora ha nascosto il vuoto e i ritardi della politica». Basta, ad esempio, con la parola integrazione, che è asimmetrica perché implica da un lato qualcuno che viene integrato e dall’altro qualcuno che integra, per usare invece interazione, che è il vero arricchimento, suggerisce. «Basta parlare di casi, di utenti, di numeri, abbiamo perso la nostra umanità». Parola che, nel discorso del fondatore di Libera, continua a tornare senza dare tregua ai suoi ascoltatori. «Vi prego, un sussulto di umanità! – ribadisce – Questo è un olocausto che si consuma, il naufragio delle coscienze prima di quelli che spariscono per mare, siamo i primi testimoni di razzismo, disprezzo e della continua emersione degli egoismi sociali, grande sconfitta culturale del nostro Paese».

Il fenomeno della migrazione, tuttavia, ha fatto emergere anche la generosità di moltissime persone. Ma è innegabile d’altra parte «il fallimento delle carte, della nostra Costituzione, della Comunità europea, di tutte quelle norme che sono scritte sulla carta ma che non sono carne». Secondo Don Ciotti sono molte le cose ancora da imparare, anche da parte di chi sta facendo bene, ma sullo sfondo continua a fare capolino una politica che resta cinica, sorda, inadeguata. «Una politica che a livello mondiale si arrende alle multinazionali e a quella economia assassina – grida -Tutto questo crea un pericoloso populismo. Dobbiamo impegnarci di più a riempire la nostra vita con le vite degli altri».

«Noi continueremo a inventarci di tutto per accogliere questi nuovi volti, ma dobbiamo lottare per quei diritti che sono sempre gli stessi, e se oggi sono deboli è anche colpa nostra che non li abbiamo difesi abbastanza – continua Don Ciotti – Dobbiamo alzare la voce quando molti scelgono un prudente silenzio, perché giustizia significa libertà» e dignità della gente. Per apprendere il linguaggio dei diritti bisogna aver appreso prima quello dell’affetto e della dignità. Questa è la nostra speranza». Tanti sono anche i ricordi che guidano il suo discorso: dalla nascita del Gruppo Abele contro il disagio sociale agli anni, ancora più indietro, della pizzeria Il punto della situazione. Gli anni, insomma, in cui cominciano a nascere le primissime comunità d’accoglienza. «Volevamo dare una mano, ci inventavamo di tutto – racconta – Capimmo che è il lavoro che dà dignità alle persone. Non posso accettare che chi oggi prende certe decisioni non studia, non si documenta, non sa! Questa è una società afflitta da analfabetismo etico e questa paura dello straniero che semplificano in questi linguaggi ci offende tutti – conclude – Se trovate qualcuno che su questi temi ha capito tutto, salutatemelo calorosamente e cambiate strada. Dobbiamo essere noi il cambiamento di questi nuovi orizzonti».


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