Elezioni regionali, deputati a rischio incandidabilità  Per il Tribunale la legge siciliana forse è illegittima

E se due terzi e più degli attuali deputati non si potessero presentare alle prossime elezioni regionali? Non si tratta di fantapolitica, ma di una possibilità concreta che potrebbe abbattersi sulla politica siciliana nei prossimi mesi. A sostenere questa ipotesi è lo studio legale Leone&Fell, che ieri ha presentato in conferenza stampa l’ordinanza di rimessione della prima sezione civile del Tribunale di Palermo, in seguito al ricorso del deputato del Pd, Pino Apprendi, contro la mancata decadenza a gennaio 2016 di Francesco Riggio, parlamentare regionale democratico condannato in via definitiva dalla Corte dei conti per un danno erariale commesso nella vicenda Ciapi, relativa al settore della formazione.

I giudici, infatti, hanno rinviato alla Corte costituzionale il compito di decidere se la legge elettorale siciliana dovrà accogliere le cause di incompatibilità presenti nelle normative nazionale e regionali, comprese quelle a statuto speciale. Tutte, infatti, includono tra i motivi che impediscono a una persona di candidarsi nelle assemblee regionali la condanna definitiva per danni economici nei confronti di enti pubblici non ancora rimborsati. È il caso proprio di Riggio, condannato a rimborsare tre milioni e 723mila euro, che al momento si trova decaduto – con il suo posto presto appunto da Apprendi – non per il danno erariale, ma per la legge Severino intervenuta a dicembre dopo la condanna penale in primo grado. 

Lo stesso Apprendi ieri ha annunciato di voler presentare un ddl «per chiedere al parlamento di recepire la norma nazionale» e così vedere «se l’Ars vorrà adeguarsi al resto d’Italia». Ma anche i giudici palermitani, a metà febbraio, hanno detto la loro. Leggendo l’ordinanza, infatti, ci si imbatte in diversi passaggi in cui i togati sottolineano la probabile illegittimità della normativa siciliana. «Il Tribunale remittente dubita della legittimità costituzionale degli articoli 10 ter e 10 quater della legge regionale 29/1951 (che presenta le cause di incompatibilità per i candidati in Sicilia) in relazione agli articoli 3, 51 e 122 della Costituzione». Ovvero quelli che parlano dell’uguaglianza dei cittadini e del diritto di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive.

In Sicilia, inoltre, si arriva al paradosso se si considera che la condanna erariale è contemplata come condizioni di incandidabilità per «le cariche di consigliere comunale, provinciale o di quartiere». Fatto questo che spinge i giudici a sottolineare che la carica di deputato regionale «presuppone sicuramente un requisito di onorabilità almeno analogo a quello dei consiglieri comunali». A questo punto, qualcuno potrebbe richiamare la specialità dello statuto siciliano come giustificazione del mancato accoglimento del danno erariale tra le cause di incompatibilità. Ma anche in questo caso sono i giudici a ricordare che «si possono anche diversificare le cause di ineleggibilità, ma occorre che ciò avvenga sulla base di condizioni peculiari locali». Peculiarità che nel caso dei deputati siciliani non esisterebbero al punto da consentire «il trattamento privilegiato».

A dover temere un’esclusione dai giochi, però, potrebbero essere non solo i condannati per danno erariale – come nel caso di Riggio – ma anche tutti quelli che sono morosi nei confronti delle pubbliche amministrazioni. In altre parole chi è debitore col fisco. E qui il pensiero corre alle denunce del presidente di Riscossione Sicilia, Antonio Fiumefreddo, che un anno fa dichiarò che 63 dei 90 deputati regionali avevano pendenze con l’ente che in Sicilia riscuote le tasse. «L’abbiamo definita una possibile bomba atomica – commenta a MeridioNews l’avvocato Francesco Leone – perché la Corte costituzionale potrebbe realmente rivoluzionare le prossime elezioni regionali». E qualora il pronunciamento dovesse avvenire dopo ottobre, ovvero quando già i siciliani saranno andati a votare, il rischio sarebbe quello di ritrovarsi con un’Ars a rischio effetto domino. «Le decadenze potrebbero susseguirsi, vanificando di fatto l’espressione degli elettori, trasformando il voto in un bluff». Anche per Leone, tuttavia, il caso siciliano rasenta l’assurdo. «Il fatto che siamo una regione a statuto speciale non implica che ci si possa comportare come se fossimo più speciali di tutti gli altri», conclude.

Così non l’hanno pensata i diretti interessati, che la scorsa estate si sono trovati per primi a esaminare le istanze di Apprendi. Era il 13 luglio, quando la Commissione verifica poteri, in cui sono rappresentati tutti i partiti, deliberò «all’unanimità l’insussistenza della situazione di incompatibilità sollevata». 


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