Università, ancora critiche alla classifica del Sole24ore «Se al Sud manca il lavoro non è perché siamo scarsi»

Chi – come il presidente della Kore di Enna Cataldo Salerno – parla di possibile turbativa d’asta e chi, più in generale, ravvisa l’ennesimo smacco per il Sud. La classifica de Il sole 24 ore sulle università italiane continua a far discutere, confermando le critiche già ricevute l’anno passato. La graduatoria, che vede l’ateneo di Verona in testa, vede quelli meridionali indietro, con i siciliani a contendersi gli ultimi posti. A partire dalla già citata Kore, ritenuta la peggiore tra quelle non statali, e con Catania e Palermo al 54 e 55esimo posto tra le pubbliche. Unica a piazzarsi a metà classifica è l’università di Messina, 35esima.

Al centro delle polemiche ci sono gli indicatori selezionati dal quotidiano finanziario per stabilire chi è migliore, scelte che nella peggiore delle ipotesi sarebbero viziate da un presunto interesse a voler favorire gli atenei del Centro-Nord e nella migliore mal celerebbero una poca conoscenza del mondo universitario e dei fattori socio-economici che inevitabilmente lo influenzano. In attesa di visionare nel dettaglio i dati dell’anno appena concluso, con il quotidiano che ha già annunciato che dalla prossima settimana renderà pubbliche le tabelle, tra i criteri presi in considerazione dodici mesi fa per valutare la didattica ci sono la percentuale di immatricolati da fuori regione, il numero medio di docenti, la percentuale di crediti formativi ottenuti attraverso gli stage e all’estero, la dispersione, ma anche la soddisfazione degli studenti e la capacità di trovare lavoro entro un anno dalla laurea.

A intervenire nella querelle è oggi il sindacato Sinalp. «La classifica potrebbe far pensare che i nostri studenti sono davvero scarsi – dichiara uno dei portavoci – ma è falso. A Palermo abbiamo una tra le migliori facoltà di Ingegneria». Tra i problemi sottovalutati – o strumentalizzati, secondo i più maliziosi – ci sarebbe il contesto in cui le università si muovono. «La classifica dovrebbe misurare la qualità della didattica ma invece fa riferimento ad altro – prosegue il sindacalista – Che senso ha parlare di didattica se poi si guarda all’attrattività dell’ateneo per chi viene da fuori? È chiaro che per un’università siciliana sia difficile ricevere iscrizioni dal Nord, mentre lo stesso non può dirsi per l’ateneo di Verona che può facilmente ritrovarsi tra gli studenti persone che arrivano dalle regioni confinanti». Critica che si fa più forte se si guarda agli scenari occupazionali post-laurea. «Non ha senso far pagare alle università del Sud le difficoltà economiche dell’intero Meridione. Se la disoccupazione sta più al Sud non è certo perché gli studenti sono meno bravi dei coetanei del Nord», prosegue Sinalp. Discorso simile per la capacità di attirare finanziamenti da parte di soggetti terzi. «Un’azienda che si trova nel Settentrione è normale che decida di contribuire al finanziamento di ricercatori che operano negli atenei di quell’area», conclude il sindacalista.

I giudizi negativi arrivano anche dai docenti. Come nel caso di Luciano Granozzi, professore di Storia contemporanea all’Università di Catania. «Questo ranking non ha basi scientifiche ma dipende da scelte in larga misura arbitrarie – commenta -. Già nel 2015, la classifica fu ridicolizzata da Giuseppe De Nicolao, professore dell’Università di Pavia, che dimostrò come il quotidiano di Confindustria avesse alterato i parametri per promuovere il proprio ateneo di casa: la Luiss di Roma. Tra le siciliane è lampante la sopravvalutazione dell’università di Messina basata sulla capacità di attrazione di studenti di altre regioni». Per il docente, inoltre, «l’imbroglio principale consiste nel fornire prima il posizionamento e soltanto dopo i parametri utilizzati». Così facendo, infatti, si attirerebbe l’attenzione sulla classifica in sé, riservando a un secondo momento – e solo ai più volenterosi – la possibilità di commentare i dati. Responsabili dell’eccessivo credito dato alla graduatoria sarebbero però, in alcuni casi, le stesse università. «La cosa che colpisce di più è l’accettazione acritica di questo metodo all’interno delle stesse università, con rettori che si gloriano dei risultati raggiunti».

Ad acuire le polemiche, infine, c’è l’utilizzo dei dati prodotti da Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione della produzione scientifica delle singole università. In questo caso a essere preso di mira è il mancato aggiornamento delle fonti. «Il giornale ha puntato su quelli relativi al periodo 2004-10 e trascura stranamente quelli del periodo 2011-2014 resi noti alla vigilia di Natale – ha dichiarato negli scorsi giorni il rettore di Palermo Fabrizio Micari -. È accertato che le università meridionali sono risalite e quella di Palermo ha ottenuto una progressione del nove per cento. Mi chiedo che senso ha citare ancora dati vecchi».


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