Charley Fazio, dalle mostre alle missioni umanitarie «La foto più importante è quella che non ho scattato»

«Ero un geologo, lavoravo al petrolchimico di Siracusa, poi nel 2006 mi sono licenziato». L’avventura di Charley Fazio nel mondo della fotografia inizia così, con un’istanza a cui inizialmente non sapeva dare una connotazione e che lo ha portato, alla fine, a diventare uno dei fotografi più apprezzati non solo a Palermo, ma in tutta Italia e all’estero. «Mi piaceva le geologia – racconta – ma avevo dentro delle cose che dovevano ancora esplodere. Sapevo che sarebbe successo qualcosa, dovevo solo capire cosa. Mi dilettavo con le foto, ma non tanto da credere che sarebbe potuto diventare il mio lavoro, poi ho partecipato al Sony world photography awards arrivando in semifinale. Ho pensato allora di dedicarmi alla fotografia e da buon geologo sono subito andato sull’Etna per documentare le eruzioni. Poi la prima mostra grazie a uno sponsor e da lì la decisione di diventare un fotografo».

Dopo un periodo in cui si è dedicato soprattutto alle foto di spettacolo, Fazio inizia la sua esperienza al seguito delle Onlus. «Ho realizzato un servizio in Senegal su dei bambini abbandonati affidati a un pastore musulmano che dà loro riparo e li manda a chiedere le elemosina per suo conto. Le foto scattate sono state vendute e il ricavato donato alle associazioni che si occupano di dare un’infanzia a questi bambini, offrendo loro un’istruzione che va oltre lo studio mnemonico del Corano». E queste foto sono valse a Fazio, palermitano di nascita, l’iscrizione nella lista dei fotografi dell’Unicef

Grazie a una mostra in Trentino l’incontro con Gaetano Turrini e Hope for children, una Onlus che si occupa di fornire aiuti umanitari ai rifugiati tra Siria e Turchia «e alla prima occasione – spiega – sono partito con loro per Lesvos – il punto di approdo dei naufraghi in fuga dalle zone di guerra in Medio Oriente ndr-. Conoscere quelle persone, i volontari, è stata un’esperienza incredibile. Con loro faremo dei documentari e creeremo un archivio di immagini». Nascono così il documentario Indaco Con l’Isola dentro, una mostra che sta girando l’Europa con l’obiettivo di raccogliere fondi per i bambini rifugiati nel campo profughi siriano di Bab al Salam. E sempre con Hoper for children il fotografo partirà a inizio luglio alla volta della Turchia.

Stati Uniti, Portogallo, Francia, Singapore, le opere di Charley Fazio e la sua idea che una fotografia debba soddisfare non solo l’occhio ma anche l’anima, hanno fatto il giro del mondo, ma gli scatti migliori, secondo l’artista, non sono stati impressi su pellicola, sono rimasti negli occhi e nel cuore dell’autore. «Fotografo di tutto e tanto, ma le foto che mi hanno più segnato sono quelle che non ho mai scattato. Ci sono delle volte in cui anche un fotografo deve sapere quando fermarsi». 

«A Lesvos erano appena sbarcati alcuni yazidi in fuga dall’Iraq. Erano sfiniti dopo la traversata e affollavano il piazzale. Non ce l’ho fatta a puntargli l’obiettivo della macchina fotografica in faccia come un fucile in cerca di un ritratto, mi sono limitato a fare alcuni scatti senza neanche guardare, quasi di nascosto, facendo il possibile perché non se ne accorgessero, per non violare quel momento difficile». Ma le grandi emozioni possono trovarsi anche a pochi passi da casa. «Mi trovavo al mercato storico di Ballarò. A un tratto è come se il tempo si fosse fermato e tra la folla, insolitamente congelata in mezzo alle bancarelle, si è fatta strada una bara portata a spalla da alcune persone. C’era una luce eccezionale e avevo la macchina fotografica con me. Sarebbe stata una foto incredibile, ma non ho fatto nessuno scatto. Sentivo che dovevo fermarmi». 


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