Sei laureati su dieci trovano lavoro in Sicilia Micari: «Serve sinergia con tutte le istituzioni»

A un anno dalla laurea più di sei studenti palermitani su dieci trovano lavoro rimanendo in Sicilia. Il dato riguarda i corsi di secondo di livello e cresce lievemente per le lauree del triennio, dove addirittura meno di tre studenti su dieci abbandonano l’isola in cerca di fortuna (77,1 per cento). Le mete più ambite rimangono sempre il Nord (rispettivamente il 12 per cento e 20 per cento per il triennio e il biennio), poi l’estero (6,4 per cento e 4,3 per cento), seguito dal Centro (3,1 e 5,1 per cento) e, fanalino di coda, il Sud (1,3 per cento e 1,2 per cento). Le cifre fotografano la realtà degli studenti universitari dell’ateneo palermitano che si sono laureati nel 2015, contenuti nel XVIII Rapporto sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati italiani presentato da AlmaLaurea al convegno Formazione universitaria e posti di lavoro, all’Università di Napoli Federico II. L’indagine ha coinvolto i laureati di 71 università delle 73 ad oggi aderenti al Consorzio, analizzando le performance formative di quasi 270mila laureati del 2015. Sono, invece, oltre 570mila i laureati coinvolti sulla condizione occupazionale.

Per quanto riguarda l’Ateneo del capoluogo siciliano, sono stati 7.876 i laureati 2015 interpellati. Si tratta di 4.291 di primo livello, 1.969 magistrali biennali e 1.357 a ciclo unico; i restanti sono laureati pre-riforma o del corso non riformato in Scienze della Formazione primaria. Un aspetto che emerge dal rapporto, riguarda le possibilità di trovare lavoro al termine del ciclo di studi. Per i laureati di primo livello, sebbene una quota elevata di loro (60 per cento) prosegua il percorso formativo con la magistrale, per i rimanenti il tasso di occupazione (si considerano occupati anche quanti sono in formazione retribuita) è del 46 per cento, mentre quello di disoccupazione (calcolato sulle forze di lavoro, cioè su coloro che sono già inseriti o intenzionati a inserirsi nel mercato del lavoro) è il 42 per cento e il guadagno è in media di 1.001 euro mensili netti.

Per le lauree di secondo livello, dopo il primo anno il tasso di disoccupazione, è pari il 33 per cento mentre 40 occupati su cento possono contare su un lavoro stabile (contratti a tempo indeterminato e lavoro autonomo). Il guadagno è di 984 euro mensili netti. Un altro aspetto interessante, riguarda anche quanti di loro trovano lavoro nella propria regione. Anche in questo caso occorre distinguere tra lauree di primo e di secondo livello: nel primo caso i numeri dicono che il 77,1 per cento trovano un’occupazione nell’Isola. La restante parte è così suddivisa: Nord-ovest 8 per cento, Nord-est 3,9 per cento, centro 3,1 per cento, Sud 1,3 per cento, Estero 6,4. Nel secondo caso, rimane il 69,2 per cento (Nord-ovest 15,1 per cento, Nord-est, 4,8 per cento, Centro, 5,1 per cento, Sud 1,2 per cento, Estero, 4,3 per cento). Solo per le lauree del biennio, i dati offrono anche uno spaccato degli anni precedenti, che mostrano un miglioramento: i laureati nei 2012 dopo 3 anni lavorano in Sicilia per il 64,6 per cento mentre quelli laureati nel 2010 (dopo 5 anni) nel 62,6 per cento dei casi.

Un ottimo risultato per il rettore dell’università di Palermo, Fabrizio Micari, che esprime ottimismo «sulle percentuali complessive degli occupati a un anno dalla laurea, specialmente con lavoro stabile, e sul livello di gradimento dei laureati nei confronti dei docenti (80 per cento) e dei laureati che si riscriverebbero nella nostra università (circa due su tre)». Secondo il rettore, è comunque discreto anche il dato occupazionale, che vede il 57 per cento dei laureati magistrati occupati a una anno dal conseguimento del titolo. «Di questo 57 per cento – dice – il 40 per cento ha un contratto a tempo indeterminato e questo è un fatto molto positivo. Significa che i due quinti a un anno della laurea hanno un lavoro stabile: sicuramente un buon risultato». Ma è anche vero che sul fronte occupazionale da sola l’università non basta. «Serve una sinergia tra tutte le istituzioni – dice – perché ognuno faccia la propria parte. Noi stiamo puntando molto su alcuni corsi di laurea che si rivolgono ai settori dell’agroalimentare o della valorizzazione e gestione dei beni culturali».


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