Ponte delle teste mozze ancora non visitabile Attesa da dicembre la gestione del Comune

Il fiume Oreto nei secoli scorsi non era certo quello che siamo abituati a vedere oggi. Aveva anzi una portata d’acqua tale che gli amministratori palermitani del passato ne ramificarono il corso per ridurne l’impatto in caso di piene, collocando un sistema di dieci ponti per collegare le sponde. Uno di questi è – o meglio era – il ponte delle teste mozze, edificato tra il 1500 e il 1600, allargato a metà ‘800 e sostituito dopo una grande alluvione nei primi anni ’30 del Novecento da un ponte omonimo a quota più alta, che è rimasto in piedi fino ad ottobre 2014, quando è stato demolito per la realizzazione del nuovo ponte tranviario. Del secolare antenato si era persa la memoria fino a quando una buca in cantiere nel giugno 2014 ha rivelato la preziosa testimonianza del passato. Che però ancora oggi rimane non visitabile per questioni burocratiche.

Subito dopo il ritrovamento è intervenuta la Sovrintendenza ai Beni culturali di Palermo, che ha collaborato con la Sis – l’azienda che ha realizzato la linea tranviaria – per salvaguardare quel che era emerso dagli scavi. E cioè una struttura a tre arcate più piccola del vicino ponte dell’Ammiraglio, ma comunque sostanzialmente integra per tutta la lunghezza – il letto del fiume era stato spostato ad oriente con la costruzione del ponte in epoca fascista – e per circa metà dell’ampiezza. La sponda lato valle – quella dritta e più antica – è praticamente intatta; mentre quella a monte – di forma curva e di epoca successiva, con una cerniera di mattoni che separa due parti in tufo – è drasticamente interrotta da un muro in cemento armato di supporto a dei tubi di fognatura e dalla palificazione per il nuovo ponte.

Per rendere fruibile lo spazio, la Sis ha realizzato una scatola sotterranea in cemento che racchiude il ponte, alla quale si accede da un casotto bianco e rosso che sorge accanto al nuovissimo ponte bimodale. È presente una scala, una pavimentazione per raggiungere i resti storici, l’illuminazione e un’idrovora per eliminare le infiltrazioni d’acqua di mare. Considerato che – a causa della scarsissima pendenza del fiume – in occasione di piogge abbondanti l’acqua salmastra risale il letto dell’Oreto. Ma il tutto è chiuso da una porta. E resta il mistero su chi possiede la chiave.

Un anno fa la sovrintendente Maria Elena Volpes espresse il desiderio di rendere la scoperta visibile al pubblico, ma il bene non è in possesso dell’ente. «L’area – spiega la dirigente – è di proprietà del Comune. I lavori di pulitura delle arcate sono terminati lo scorso dicembre, ma ancora non sappiamo qual è l’intenzione dell’amministrazione locale. Potrebbero gestire in proprio il sito, concederlo a noi oppure fare un bando per affidarlo a terzi, magari a una cooperativa di giovani. Noi abbiamo lottato per conservarlo, per tutelare la memoria di un bene che pensavamo fosse stato perso, la valorizzazione è un qualcosa in più».

Però attualmente il ponte delle teste mozze non è nella disponibilità del Comune e nemmeno dell’Amat che, in qualità di ente appaltante, aveva affidato i lavori per le linee tranviarie alla Sis. La risposta la fornisce il responsabile unico del procedimento del sistema tram, l’ingegnere Marco Pellerito: «La struttura ancora non è stata consegnata dalla Sis all’Amat, nonostante gli interventi siano stati ultimati il 30 dicembre. Il motivo è che manca il documento che attesta la consegna formale dell’impianto elettrico. È una mera questione burocratica che dovrebbe essere risolta entro fine marzo. Successivamente l’Amat girerà il bene al Comune».

Ma chiunque gestirà il ponte dovrà richiedere vari permessi e dotare la struttura di sistemi di sicurezza, segnaletica (diversi pannelli illustrativi della storia del bene li ha realizzati la Sovrintendenza la scorsa estate a spese della Sis, e alcuni sono esposti nelle attigue fermate del tram), e forse anche di un ascensore o mezzo equivalente per consentire l’accesso alle persone con deficit fisici. A meno che il sito non si renda visitabile solo su richiesta di piccoli gruppi, con responsabilità a carico all’organizzatore. 


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