Il blog di Gemma per salvare Borgo Vecchio «Palermo ha dimenticato il suo cuore»

«Ma un ti siddia?». Così Gemma Margherita Randazzo, documentarista e blogger di Palermo, si è sentita rispondere quando ha spiegato il suo progetto su Borgo Vecchio a Saverio, trent’anni, che nella vita fa il custode di una cinquantina di colombe. «Ma non ti scoccia?», ha commentato Saverio in siciliano, proprio lui che a Borgo Vecchio ci vive e dovrebbe essere contento, o perlomeno sorpreso, se qualcuno vuole scrivere una tesi e girare un documentario su un quartiere ai margini pur essendo nel cuore della città. Il primo impatto, invece, è la diffidenza. Una risposta che da sola racconta «uno stato di degrado architettonico e urbano» e la rassegnazione a una condizione immutabile di abbandono.

Da una tesi su Borgo Vecchio a un’esperienza di vita, sociale, politica nel senso greco «della città». È quello che è successo a Gemma. Laureata a Palermo in Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale, ottiene due master in Esperto video documentarista ed Esperto in cinema pubblicitario e inizia la sua carriera collaborando con Mosaicoon, Teatro Libero, Lum, la Soprintendenza del Mare e lo stesso Comune di Palermo. Dopo aver vissuto a Bruxelles, si sposta a Milano per frequentare un terzo master in Relational Design. Ed è proprio mentre scrive la tesi per il master che Gemma elabora il metodo di ricerca che poi sfocerà nel progetto Il decimo figlio, un blog che vuole raccontare una città dentro la città, Borgo Vecchio appunto, e delineare sogni, fantasie e soluzioni di un quartiere «che per me è come una calamita, tornarci dopo dieci anni è stato come fare un viaggio».

Rientrata a Palermo e incuriosita dal progetto Borgo Vecchio Factory, realizzato dai ragazzi di Push e Per Esempio Onlus, Gemma varca i confini dell’area limitata da via Benedetto Gravina, piazza Luigi Sturzo, via Michele del Bono, via Ugo Bassi, via Archimede e via Francesco Crispi e si cala nella realtà di uno dei quartieri più emarginati e difficili del capoluogo scoprendo uno spazio urbano «inedito, pieno di contraddizioni e di potenzialità». Il primo impatto non è semplice, i residenti mostrano diffidenza verso l’estraneo. Molto presto, però, il viaggio di Gemma dentro Borgo Vecchio – quattro mesi di sguardi e passeggiate – si trasforma «in una raccolta di immagini, suoni, suggestioni, parole, vanniate, storie e odori», racconta la documentarista. Un mosaico che prende la forma di un blog buttato giù tutto d’un fiato, nell’arco di un mese, sempre, però, seguendo un approccio scientifico, «un’ordinata catalogazione di indizi adoperando diverse modalità di mimesi in rapporto al modo d’agire di chi abita il quartiere».

Per la videodocumentarista «a distinguere Borgo Vecchio dagli altri quartieri considerati aree di segregazione sociale è la sua condizione di periferia non fisica ma esclusivamente sociale e morale. Eppure nei punti estremi della sua area si trovano luoghi di particolare interesse come il Teatro Politeama, il carcere Ucciardone e il porto. Gli abitanti di Borgo Vecchio per motivi storici e di sviluppo dell’assetto urbanistico – prosegue – si caratterizzano per un forte senso di identità e appartenenza. Questo senso di comunità viene rafforzato negli anni dal processo di marginalizzazione del quartiere, innescato da dinamiche interne ed esterne ad esso».

Nasce così la metafora del decimo figlio: «Palermo, madre dei suoi quartieri, per l’ennesima volta non si prende cura dei suoi figli in difficoltà. La madre gli ha voltato le spalle, costringendo Borgo Vecchio all’esilio pur essendo così vicino al suo cuore. Il quartiere ha risposto rendendo inaccessibili i propri luoghi, non permettendo allo straniero di attraversarlo neanche con lo sguardo». Attraverso i dati raccolti e le interviste a passanti inconsapevoli, è emerso come «gli abitanti di Palermo, ancora oggi, non conoscano la storia del quartiere e soprattutto, come ancora persistano molti pregiudizi legati alla sua pericolosità. Molti non lo attraversano neanche con l’auto. Dopo aver finto di chiedere indicazioni stradali per raggiungerlo, molti ritenevano che non fosse il caso che una ragazza andasse lì da sola oppure che non ci fosse nulla di interessante da guardare».

Un sentimento di esclusione che gli stessi abitanti del quartiere sembrano aver fatto proprio. «Spesso tendono a sminuire alcune delle problematiche – racconta la blogger -, se chiedi loro cosa manca a Borgo Vecchio rispondono istintivamente il campetto di calcio. Sono veramente tante le vite che ho incrociato, è stato costante e profondo lo scambio tra di noi, mai banale, mai indifferente e quando lo era celava qualcosa di non detto che sicuramente sarebbe emerso nel tempo. Spesso ho giocato con i bambini del quartiere. Abbiamo respirato insieme la polvere stantia sui tetti, molti in amianto, che lo scirocco prepotentemente decideva di farci inalare».

Dopo aver scritto il blog «sono emersi in maniera preponderante i macro temi riguardanti il contesto analizzato: le capacità artigianali in potenza, la solitudine dei bambini spesso celata dalla troppa libertà, l’urgente necessità di un intervento di riqualificazione ambientale e architettonica nonché la scarsa consapevolezza che le donne hanno di loro e delle possibili alternative». Già, ma quali le soluzioni? «Col mio blog – spiega Gemma – ho cercato di creare una mappa che possa orientare chi voglia operare all’interno di realtà simili e in particolare a Borgo Vecchio». L’obiettivo per Gemma è offrire diversi livelli di lettura per invitare il lettore a riappropriarsi della propria coscienza critica ma anche della dimensione del sogno e della fantasia. I post sono collegati da un punto di vista tematico attraverso dei link e così l’utente può decidere che tipo di percorso effettuare. Altri link, invece, conducono il lettore a contenuti apparentemente inaspettati e sconnessi. «Il mio scopo – conclude – è quello di far entrare Borgo Vecchio dentro il continuum quotidiano di ognuno di noi».


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