Mafia, sequestro beni da 20 milioni di euro Nel mirino i fedelissimi del boss Messina Denaro

Modalità di controllo delle attività economiche e produttive sul territorio, da parte dell’organizzazione mafiosa capeggiata da Matteo Messina Denaro; gestioni occulte di società e imprese; prestanome e collaboratori che hanno sostenuto la latitanza del boss occupandosi della preparazione logistica degli incontri. Tutto questo è emerso dalle indagini economico – patrimoniali svolte congiuntamente dai nuclei della Guardia di finanza di Palermo e Roma e dai carabinieri di Trapani, sotto la direzione della procura distrettuale antimafia di Palermo. La ricostruzione patrimoniale ha permesso di definire le infiltrazioni di Cosa Nostra e dei suoi leader storici, fra cui Messina Denaro, negli affari di diverse società edattività agricole e commerciali, dislocate in diverse province della Sicilia e del Sud Italia. Il sequestro, disposto dai tribunali di Palermo e Trapani, ha interessato diversi soggetti ed imprenditori, tutti arrestati nel dicembre 2013.

Nome di spicco che emerge dalle indagini è quello di Nicolò Polizzi, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, ritenuto uno dei principali referenti dei flussi di comunicazioni mafiose verso la provincia di Palermo, con particolare riferimento ai contatti preparatori delle riunioni tra Francesco Luppino e i responsabili dei mandamenti di Cosa Nostra palermitana. Luppino rappresentava il referente trapanese delle comunicazioni destinate a Matteo Messina Denaro proprio nel momento in cui le articolazioni palermitane di Cosa Nostra stavano tentando di ricostituire la commissione provinciale. Dopo il suo arresto, dallo sviluppo delle investigazioni nei confronti di Polizzi erano emersi elementi che non solo confermavano la contiguità al latitante di Castelvetrano, ma definivano il ruolo di condizionamento delle commesse pubbliche e private in ambito locale. Polizzi risultò essere referente nella gestione di alcune operazioni propedeutiche alla realizzazione del villaggio turistico Valtur in località Tre Fontane a Campobello di Mazara, ad opera della società Mediterraneo Villages spa di Carmelo Patti, originario di Castelvetrano. 

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Tra i nomi di coloro che hanno sostenuto la latitanza di Messina denaro spiccano quelli di Girolamo Cangialosi che, nel novembre 2007, aveva partecipato all’organizzazione logistica di un incontro tra Luppino e gli allora latitanti Sandro e Salvatore Lo Piccolo, e Mario Messina Denaro, cugino del latitante che si era reso protagonista di attività estorsive sul territorio, per reperire le somme necessarie al sostegno economico dei familiari dei detenuti in carcere.  Il provvedimento in generale riguarda nomi già noti, in quanto legati al boss Messina Denaro come Giovanni Filardo, cugino del latitante, al quale è stata contestata la titolarità di società operanti nel settore dell’edilizia. Le sue disponibilità, sia di tipo aziendale che personale, significative a fronte degli esigui redditi dichiarati, sono risultate di provenienza illecita. Altro ruolo, riscontrato in indagini investigative precedenti, era quello di Francesco Spezia nell’intestazione fittizia della Spe.Fra Costruzioni Srl. Prestanome della Fontane d’oro Sas impresa operante nel settore olivicolo, ritenuta di importanza cruciale sul territorio campobellese, sono invece risultati Vincenzo Torino e Aldo Tonino Di Stefano, due personaggi di rilievo all’interno dell’organizzazione. 

Collettore delle relazioni connesse all’attività di sostentamento della famiglia dei Messina Denaro e dello stesso latitante era, secondo gli accertamenti investigativi, Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro. Con Guttadauro tesseva rapporti Antonino Lo Sciuto, che controllava diverse attività economiche per conto della famiglia mafiosa. Le indagini documentano come Lo Sciuto abbia infatti gestito, per conto dell’organizzazione, la realizzazione di importanti commesse pubbliche e private nell’area di Castelvetrano. Tra queste figurano le strade della zona industriale e le opere di completamento del Polo Tecnologico di contrada Airone, nonché i lavori per le piazzole e le sottostazioni elettriche del parco eolico denominato Vento Divino, nel Comune di Mazara del Vallo, sempre nel Trapanese. I vincoli imposti dal protocollo di legalità sottoscritto con la prefettura di Trapani dall’appaltatore del parco eolico, l’impresa Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative Srl, venivano elusi senza difficoltà. La spartizione degli utili d’impresa, secondo gli investigatori, aveva creato conflitti all’interno della famiglia: la spartizione era infatti considerata iniqua da Patrizia Messina Denaro e Rosa Santangelo, zia del latitante, che richiesero l’intervento di Francesco Guttadauro come mediatore.

Tra i beni sottoposti a sequestro si annoverano tre società, sette quote societarie e quattro ditte individuali, 12 autovetture, quattro veicoli industriali, un motociclo, 13 autocarri, tre semirimorchi, un fabbricato industriale, un immobile a destinazione commerciale, otto immobili ad uso abitativo, 29 terreni, quattro fabbricati rurali, polizze assicurative, titoli azionari, rapporti bancari, depositi a risparmio,per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro.

Ecco l’elenco completo dei beni sottoposti a sequestro nell’operazione EDEN.


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