Il caso ‘Tributi Italia spa’ i gli 83 Comuni siciliani dove le tasse sono un optional

CIRCA 50 MILIONI DI EURO ANDATI IN FUMO PER L’INCAPACITA’ DEI COMUNI DI SCOVARE GLI EVASORI E GESTIRE IL RAPPORTO CONVENZIONALE PRIMA CON LA SOCIETA’ NAZIONALE PER LA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI

Nella Sicilia sull’orlo del precipizio economico e finanziario, con la Regione siciliana in default, gli enti locali rischiano di chiudere i battenti non solo per i ridotti trasferimenti dello Stato e della Regione ma anche a causa dell’incapacità a scovare gli evasori dei tributi locali.

In un momento di crisi finanziaria senza precedenti a soffrire, quindi, sono soprattutto le amministrazioni locali sobbarcate dalla necessità di garantire i servizi ai cittadini con i bilanci sempre più in rosso.

Rispetto al quadro descritto emerge una verità che riguarda il rapporto in convenzione tra la società Tributi Italia spa e circa 500 Comuni italiani. Vicenda che riguarda anche la Sicilia.

Gli 83 enti locali siciliani pari a circa il 20 per cento del totale, titolari di un credito per la riscossione dei tributi locali con la citata società, hanno perduto qualcosa come circa 50 milioni di euro dal 2009 ad oggi.

In alcune amministrazioni comunali l’evasione al 31 dicembre 2009 è superiore al milione di euro. Si tratta di: Castelvetrano-Selinunte con oltre 6,5 milioni di euro, Adrano con oltre 5 milioni, Augusta con poco meno di 5 milioni di euro, Scordia con oltre 4 milioni di euro, Zafferana Etnea con meno di 2 milioni di euro, Avola con più di 2 milioni di euro, Termini Imerese con circa 2,5 milioni di euro, Misilmeri con oltre 2,5 milioni di euro, Grammichele con oltre un milione e mezzo, Motta Sant’Anastasia con oltre un milione di euro, Tremestieri Etneo con oltre 1,3 milioni di euro, Rosolini con oltre un milione di euro, Piedimonte Etneo con oltre 1,1 milioni di euro e Viagrande con una evasione di circa 1,3 milioni di euro.

L’evasione, sempre al 31 dicembre 2009, sotto il milione di euro, riguarda i seguenti Comuni: Licodia Eubea, Roccalumera, Partinico, Favara, Naro, Assoro, Pedara, Belpasso, San Giuseppe Jato, Priolo Gargallo, Furnari, Aragona, Furci Siculo, Ravanusa, Palma di Montechiaro, Ispica, Campobello di Licata, Melilli, Lipari, Mineo, Porto Palo di Capo Passero, San Giovanni Gemini, Carini, Linguagrossa, Nizza di Sicilia, Acate, Campofelice di Roccella, Cefalù, Villarosa, Lercara Friddi, Petrosino, Venetico, Isola delle Femmine, Sambuca di Sicilia, Santa Ninfa, Raddusa, Campobello di Mzara, Bolognetta, Mazzarino, Spadafora, Trapani, Maletto, Agira, Sant’Alessio Siculo, Bronte, Fiumedinisi, Custonaci, Pietraperzia, Polizzi Generosa, San Michele di Ganzaria, Merì, Pollina, Buccheri, tre castagni, San Gregorio di Catania, Erice, Petralia Sottana, Buseto Palizzolo, Centuripe, Nissoria, Rodì Milici, Regalbuto, San Mauro Castelverde, Castronovo di Sicilia, Ganci, Capaci, Scaletta Zanclea, Mazzarrà Sant’Andrea.

Quali le cause di questa strana ed ingarbugliata storia?

Intanto, cominciamo col dire che Tributi Italia spa, la principale società privata di riscossione dei tributi locali in Italia, è entrata in crisi economico-finanziaria nel 2009. Fatto che ha spinto il ministero dell’Economia e Finanze a cancellarla dall’Albo delle società di riscossione nel 2010.

Nel 2009, l’anno di crisi, la società Tributi Italia spa gestiva gli incassi patrimoniali e tributari di circa 500 Comuni, in diverse Regioni italiane, compresa la Sicilia, fatturando, secondo l’ultimo bilancio del 2008, qualcosa come circa 236 milioni di euro. Il gruppo era formato da 16 società con 893 dipendenti e 220 collaboratori e consulenti.

Dal 2010 il ministero dello Sviluppo economico, su richiesta della società e successiva dichiarazione dello stato di insolvenza, autorizza Tributi Italia spa alla procedura in Amministrazione Straordinaria, nominando un docente universitario, Luca Voglino alla gestione commissariale.

Per poter salvare la società dal fallimento, la Tributi Italia spa ottiene, attraverso l’aiuto di parlamentari ‘vicini’, la modifica del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, che disciplina le “misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza”.

La procedura concorsuale, conosciuta come decreto-Marzano, ed introdotta a seguito del crac Parmalat per favorire la ripresa economica di imprese in crisi e di dimensioni rilevanti del settore ‘industria’, stranamente – la politica può tutto – si ‘allarga’ anche al settore ‘servizi tributari’ comprendendo, unico caso in Italia, proprio la società Tributi Italia.

La società usufruisce, in tal modo, di una legge ad personam. Si tratta dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge n.73 del 22 maggio 2010 che salva, di fatto, dal fallimento la società.

Da quel momento Tributi Italia in Amministrazione straordinaria inizia ad operare sotto il controllo del ministero dello Sviluppo economico attraverso il commissario straordinario.

Ma le attività non riprendono perché la situazione generale nel rapporto tra i Comuni convenzionati e Tributi Italia in Amministrazione Straordinaria si ingarbuglia sempre più.

Sono tanti i Comuni che, scottati da quanto già accaduto, prima della nomina commissariale, si insinuano nel passivo della società per chiedere, attraverso il tribunale fallimentare, i crediti vantati nei confronti di Tributi Italia per le somme mai riversate, oltre alla cosiddetta ‘banca dati’, lo strumento indispensabile per l’emissione dei ruoli delle imposte locali oggetto di riscossione.

In virtù di quanto disposto dal citato comma tre, dell’articolo 3 della legge n.73 del 2010, il commissario Voglino, dal giugno 2010 a capo della Tributi Italia in A.S., invita i Comuni interessati, ancora in convenzione, a riprendere l’attività di accertamento e riscossione dei tributi locali.

I 500 Comuni, tra cui ovviamente quelli siciliani, rispondono ‘picche’. E qua casca l’asino, perché il rifiuto dei Comuni alla ripresa della citata attività ha provocato un danno alle ‘casse’ comunali. Che in Sicilia significa, lo ribadiamo, una perdita netta di circa 50 milioni di euro non incassati dagli 83 Comuni siciliani.

I Comuni, nel marasma generale, si convincono di poter metter mano alla gestione ‘in house’ dei tributi che dovevano essere riscossi da Tributi Italia in A.S.

Lo ‘stop’ arriva dalla Sezione fallimentare del Tribunale civile di Roma, chiamata a decidere sulla restituzione delle sole banche dati informatiche relative al rapporto concessorio stipulato tra i Comuni e la società.

Il tribunale della Capitale, infatti, dispone con ordinanza che “la restituzione della predetta banca dati può avvenire a fronte del pagamento di un prezzo pari ad euro uno per ogni riga inserita in ciascuna delle banche dati di cui si chiede la restituzione, ed in ogni caso, di un prezzo che non ecceda il 20 per cento degli importi corrispondenti ai tributi riscossi, in ragione di ciascuna banca dati in un anno solare”.

Per capirci, ciascun Comune che intende gestire ‘in house’ – e cioè attraverso i propri uffici – gli atti di accertamento e riscossione prodotti dalla convenzione con Tributi Italia A.S,. ha necessità della banca dati che però deve pagare come disposto dal Tribunale di Roma.

Ad oggi i Comuni restano nello stato confusionale. Da un lato hanno ‘scaricato’ la proposta del commissario Voglino, che ricordiamo è stato nominato dal ministero dello Sviluppo economico e quindi dallo Stato, di riprendere l’attività di riscossione; dall’altro, non avendo voluto acquistare la banca dati, non hanno potuto riscuotere gli atti oggetto del contratto con la società.

In buona sostanza, dal 2010 ad oggi i Comuni non hanno attivato le procedure necessarie per recuperare il credito relativo ai tributi locali, come ex Ici, ex Tarsu, Tosap, Cosap, sanzioni amministrative, etc., vantato nei confronti dei cittadini evasori, facendo maturare i termini di prescrizione previsti per legge.

Si tratta dei Comuni, torniamo a sottolinearlo, che accertavano e riscuotevano i tributi locali attraverso contratti sottoscritti con la società Tributi Italia spa e che oggi si ritrovano con le cassa comunali vuote e con una elevata evasione fiscale.

Oggi la storia racconta di una società, la Serti spa, che ha acquistato il ramo accertamento e riscossione tributi della Tributi Italia in A.S., che ha rilevato le convenzioni con i Comuni e quindi le banche dati.

Anche la Serti, in questo momento, si scontra con il diniego dei Comuni interessati, che hanno alzato un muro di gomma impedendo qualsiasi contatto volto alla risoluzione della vicenda relativa alla riscossione degli atti esigibili che ad oggi ammontano solamente a circa un quinto della somma originaria.

Il che significa che dal 2009 ad oggi, nei Comuni interessati, migliaia di cittadini evasori non hanno pagato il tributo e mai lo pagheranno.

 

 

 

 

 

 


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