Le stranezze della Chiesa: Papa Francesco predica la povertà, ma tanti Cardinali diventano sempre più ricchi…

TRA I ‘PAPERONI’ CI SONO L’ARCIVESCOVO DI PALERMO, MONSIGNOR PAOLO ROMEO E L’EX ARCIVESCOVO DI MONREALE, MONSIGNOR SALVATORE CASSISA… QUESTO ED ALTRO EMERGE DAL LIBRO-INCHIESTA DI MARIO GUARINO, “VATICASH”

Appena ricevuto il mandato dai Cardinali, Papa Francesco esordì con una frase che certamente lasciò senza parole molti di coloro i quali lo avevano “votato” (è consolante che in tutto il mondo qualcuno venga ancora “eletto”). Papa Bergoglio disse senza mezzi termini: “Voglio una Chiesa povera per i poveri”.

A conferma che le sue parole non erano sparse al vento, decise di non trasferirsi subito negli alloggi pontifici del Palazzo Apostolico, ma continuare a risiedere nella camera dell’albergo Casa Santa Marta.

Subito, in Vaticano, qualcuno sollevò dei dubbi sul modus operandi rivoluzionario di Papa Bergoglio che, proprio a conferma delle sue parole, rifiutò la croce d’oro, la mozzetta, le scarpe rosse e l’auto di lusso e tornò in albergo in pullman…

Cosa c’era da sorprendersi? I cristiani hanno sempre cercato di seguire l’esempio e l’insegnamento di Cristo. Fin dalla nascita del cristianesimo, molti volontariamente hanno scelto di rinunciare ai beni terreni e di vivere in povertà. Con l’organizzarsi della vita religiosa e con la nascita dei voti religiosi, il voto di povertà è sempre stato più presente. Proprio San Francesco d’Assisi sottolineò la necessità di rinunciare ai beni materiali per concentrarsi su quelli spirituali. Non è un caso se l’ordine religioso da lui fondato venne inserito tra gli “ordini mendicanti”.

In teoria, quindi, da allora, tutti i Cardinali avrebbero dovuto fare voto di povertà (che può essere di due tipi:

solenne: cioè rinuncia a ogni diritto di proprietà e ogni altro diritto reale sulle cose temporali;

semplice: in questo caso chi lo fa non perde la proprietà dei beni che aveva prima della professione dei voti e neppure la capacità di acquistarne altri, ma ne fa dipendere il possesso e l’usufrutto dalla volontà del suo superiore).

Perché stupirsi allora?

In realtà, qualche pettegolezzo è sempre circolato tra i denti di quanti biasimavano gli alti prelati di predicare bene e razzolare male, ostentando ori, lussi e damaschi. La risposta formale è sempre stata la stessa: quei beni non erano loro, ma della Chiesa.

Qualche mese fa, fu la volta del Cardinale Tarcisio Bertone a dover a giustificare il fatto che, mentre Papa Francesco risiedeva in un bilocale di 70 metri quadri, lui, invece, aveva scelto come residenza un attico di quasi 700 metri quadri, appena fatto restaurare e a dir poco lussuoso. Giustificazioni di rito, peraltro inutili. Poi della cosa non si parlò più.

Nel frattempo, però, si è scoperto che il caso “Bertone” non era un’eccezione. Anzi. In un libro-inchiesta di Mario Guarino, “Vaticash”, è stato riportato un elenco di Cardinali e Vescovi, circa cento, definiti i Paperoni della Chiesa. Persone che, dopo aver fatto voto di povertà, hanno continuato a conservare e godere di patrimoni immobiliari spaventosi: palazzi, appartamenti, capannoni, cantine, fattorie, campi, frutteti, pascoli, vigneti, uliveti e boschi. Una vera e propria opulenza immobiliare (di questo libro, per inciso, si parla in un recente articolo pubblicato dal settimanale L’Espresso).

Che la Chiesa fosse proprietaria di una quantità di immobili enorme (su molti dei quali non paga tasse dato che le parole e le promesse di Monti sono rimaste tali) non era una novità. In base ai risultati di un’inchiesta de Il Sole 24 Ore, la Chiesa disporrebbe di un patrimonio di quasi un milione di complessi immobiliari, per un valore superiore ai 2 mila miliardi di Euro. Secondo il gruppo Re, circa il 20% di tutti gli immobili in Italia sarebbe in mano alla Chiesa.

Quello che, almeno fino a qualche settimana fa, non era noto è che anche gli “uomini di Chiesa” sono proprietari di una fortuna immobiliare “personale”. E, cosa che avrebbe dovuto sorprendere ancora di più, parte di questi immobili, regolarmente dichiarati al fisco, sono proprietà di prelati alcuni dei quali non sarebbero ricchi di famiglia, anzi.

Prelati come Monsignor Liberio Andreatta che ha, registrati a suo nome, immobili che riempirebbero secondo Guarino, ben 38 fogli del Catasto: centinaia di ettari di terreni, uliveti, frutteti, boschi da taglio e castagneti, un edificio di 1.432 metri quadrati, una serie di fabbricati rurali sulle colline toscane attorno a Saturnia. Un patrimonio che cresce anno dopo anno: tra il 2008 e il 2011, altre centinaia di ettari di uliveti in Maremma si sarebbero uniti all’elenco.

Anche il patrimonio immobiliare dell’Arcivescovo di Palermo, Cardinale Paolo Romeo, pare stia crescendo: dal 1995 al 2013 avrebbe acquistato 8 appartamenti e 4 monolocali, oltre ad alcune abitazioni per complessivi 22 vani e altri 2 monolocali ad Acireale, sua città natale, in corso Italia. A cui vanno aggiunti altri 9 appartamenti, più un monolocale, in 8 diversi stabili in via Giuliani; 3 abitazioni e 2 monolocali in via Kennedy; altri 5 appartamenti, il più grande di 15 vani, in via San Carlo; un altro edificio residenziale e 3 monolocali in altre strade, sempre di Acireale, dove è intestatario di un altro appartamento in via Miracoli. Cui vanno aggiunti diversi ettari di terreni agricoli.

O come Monsignor Carlo Maria Viganò (chiamato il “moralizzatore” durante il pontificato di Papa Ratzinger) che dispone di circa 1000 ettari di terreni in Lombardia (in comproprietà con un familiare) oltre a quattro appartamenti e tre fabbricati.

Il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha cercato di giustificare i propri colleghi affermando: “Sa quanto guadagna un vescovo? Milletrecento Euro. Il parroco e il curato ancora meno. Sono anni che non ci sono aumenti. Nessuno si lamenta, nessuno fa il martire. Diciamo che la spending review l’abbiamo fatta“.

Ha, però, dimenticato di spiegare come fa un prelato che guadagna 1300 Euro al mese a permettersi fortune immobiliari come quelle di molti suoi colleghi. Per carità, spesso si tratta di ricchezze assolutamente lecite, frutto di patrimoni familiari o di lasciti testamentari (ma in questo caso la proprietà non dovrebbe andare alla Chiesa?). Altre volte, forse, no.

Non mancano, infatti, i casi anomali. Dai dati del Catasto riportati nel libro si evincono alcune stranezze. Come quelle che riguardano Monsignor Salvatore Cassisa, ex vescovo di Monreale (“pensionato” da Giovanni Paolo II), più volte inquisito dai magistrati di Palermo e sempre assolto in Cassazione, che sarebbe comproprietario, con una parente, di due immobili a Palermo e, con altri parenti, di altri tre immobili a Erice, che si aggiungono a 26 ettari di terreni e 14 unità immobiliari a Trapani.

Ancora più sorprendente i dati riportati nel libro che riguardano l’ex parroco di Carini, arrestato e condannato come complice dei mafiosi corleonesi di Luciano Liggio: la magistratura gli sequestrò, dopo che aveva rinunciato ai voti, una villa da un miliardo di lire e 83 ettari di uliveti e 14 di agrumeti in provincia di Palermo. Ciò che è strano è che alcuni di questi beni sarebbero stati concessi al prete mafioso (almeno stando ai dati del Catasto), dal Demanio statale e dall’Amministrazione del fondo per il culto.

… tutto questo senza voler dire nulla sulle casse dello IOR, la banca vaticana, attualmente sotto il mirino degli inquirenti della Procura di Salerno per riciclaggio e false donazioni (il 2 luglio, monsignor Nunzio Scarano è stato rinviato a giudizio sotto l’accusa di riciclaggio di denaro).

 

 


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