INCHIESTA/ Cosa c’è dietro la grande corsa all’assistenza dei minori che arrivano in Sicilia con le ‘carrette del mare’

NEL SILENZIO GENERALE SI REGISTRA UNA GRANDE CORSA ALLA COSTITUZIONE DI QUESTI CENTRI CHE SI OCCUPANO DI BAMBINI E RAGAZZI. IL COSTO E’ PARI A OLTRE 80 MILIONI DI EURO ALL’ANNO. I COMUNI DELL’ISOLA NON HANNO SOLDI. DOVREBBERO PAGARE STATO E REGIONE. MA…

In una Sicilia con l’economia a terra, con intere categorie sociali abbandonate al proprio destino (si pensi ai Teatri e alle attività culturali in smobilitazione), con molti Comuni dell’Isola al quasi dissesto finanziario si profila una nuova fonte di indebitamento per gli stessi Comuni: la gestione dei minori arrivati nella nostra Isola con gli sbarchi, ricoverati nei circa 300 centri allestiti in frett’e furia fortuna.

Il problema si sintetizza in una domanda: chi paga? Non è una domanda secondaria, perché nel silenzio generale – nell’assenza pressoché totale del Governo regionale – il costo di questi ricoveri era stato posto sulle spalle dei Comuni siciliani!

Solo una decina di giorni fa – guarda caso qualche giorno prima del voto per le elezioni europee – nel corso di una riunione che si è svolta a Roma, è stato deciso di liberare i Comuni siciliani dal peso economico delle strutture che, in Sicilia, si occupano di questi minori.

Non si tratta di cifre irrisorie, ma di un costo non indifferente: circa 80 milioni di euro all’anno!

A questo punto abbiamo deciso di fare un approfondimento su questa vicenda. Di seguito vi raccontiamo quello che abbiamo appurato.Precisando che lo scenario attuale è confuso ed incerto.

In Sicilia, attualmente, operano circa 300 centri che si occupano del ricovero dei minori. Di questi, 250 centri sono privati, altri 50 operano in stretta connessione con le strutture pubbliche. Tutte queste strutture sono accreditate con la Regione siciliana (assessorato alla Famiglia).

I dati che emergono da questa nostra ricognizione sono tanti. Due, in particolare, saltano agli occhi: la confusione che regna nell’assistenza a questi minori e le aspettative economiche – quasi un giro di affari – che si sta creando attorno a questo settore. Ma andiamo per ordine.

In ogni centro vengono ospitati non più di 12 minori. Attualmente, in questi 300 centri, sono ricoverati sia minori siciliani, sia – soprattutto – minori provenienti dagli sbarchi.

La gestione di questi centri è, per lo più, affidata a soggetti privati. La formula più diffusa è la gestione da parte di cooperative sociali che operano con scoperture bancarie. Questo passaggio è importante e più avanti illustreremo IL perché.

Ogni centro costa alla collettività circa 250 mila euro all’anno. Nel silenzio generale, il Governo nazionale ha modificato la legge nazionale n. 328. E ha scaricato sui Comuni dove hanno sede questi centri i costi di queste strutture che assistono i minori arrivati con gli sbarchi.

In Sicilia, quando i Sindaci dell’Isola hanno scoperto che avrebbero dovuto pagare questi costi, è scoppiato un putiferio.

Questo perché, in questa fase storica, come già accennato, quasi tutti i Comuni della nostra Isola sono in dissesto finanziario. Basti pensare ai debiti dei Comuni siciliani verso gli Ato rifiuti, che superano il miliardo e 300 milioni di euro (e potrebbero essere di più secondo alcuni osservatori). O ai debiti, degli stessi Comuni, verso i privati che gestiscono il servizio idrico.

Quando i titolari di questi centri per l’assistenza ai minori, legge nazionale n. 328 modificata dal Governo Renzi, hanno cominciato a presentare il conto ai Comuni, è esploso il già citato putiferio. A Palma di Montechiaro, dove operano sei centri, il Comune, se avesse dovuto pagare, sarebbe andato in dissesto finanziario. 

Sono andate in scena più riunioni a Palazzo d’Orleans, sede del Governo della Regione. L’atmosfera, si racconta, era ‘elettrica’. Perché i Sindaci siciliani non sapevano come pagare questi centri. I cui titolari – sempre legge nazionale 328 tra le mani – si preparavano a presentare i decreti ingiuntivi (e, in qualche caso, l’hanno fatto).

Poi – a qualche giorno dal voto – è stata convocata la Conferenza Stato-Regioni. E lì, in un clima di ambiguità, è stato deciso che a pagare per i centri che assistono i minori arrivati con gli sbarchi non saranno più i Comuni siciliani, ma lo Stato e la Regione siciliana.

Questo accordo frettoloso siglato qualche giorno prima del voto per le elezioni europee se, da un lato, ha tranquillizzato i gestori di questi centri – che, ribadiamo, sono in massima parte privati – dall’altro non ha chiarito tutti i contorni di questa vicenda.

Questo perché la Regione siciliana, sotto il profilo finanziario, non è messa meglio dei Comuni siciliani. E siccome il costo di un minore, in Sicilia, è di 74 euro al giorno, non è chiara quale sia la ripartizione tra Regione e Stato.

Di più: l’accordo siglato a Roma vale per il presente e per il futuro e, forse, per i primi cinque mesi di quest’anno (anche se questo punto l’accordo non è chiaro: ma c’erano le elezioni europee di mezzo e bisognava sbrigarsi…). Ma chi pagherà per il 2013?

Su questi punti sarebbe bene fare chiarezza. Perché, intanto, queste strutture – quasi tutte private – lavorano e assistono i minori. E a queste la Regione siciliana non potrà dire di non avere soldi.

Non solo. Accanto a questi 300 centri, tutti occupati da circa 3 mila e 200 minori (in minima parte minori siciliani, in massima parte immigrati) si aggiungono altri 2 mila e 500 minori – che con i cento minori sbarcati oggi diventano 2 mila e 600 – alloggiati in strutture di fortuna: palestre, palazzetti dello sport, ex stazioni ferroviarie, ospedali dismessi, gestiti non da soggetti pubblici. Di fatto, altri centri in questo caso accreditati non con la Regione, ma con le Prefetture.

Visto che sono stati accreditati dai Prefetti – che dipendono dal ministero degli Interni – pagherà lo Stato o anche la Regione? Su questo punto il ministro Angelino Alfano dovrebbe fare chiarezza.  

Spiace scrivere queste cose, ma in questi giorni, in Sicilia – complice l’operazione Mare Nostrum – si registra una corsa alla costituzione di cooperative sociali e di centri per il ricovero di minori.

Il tutto senza una programmazione, in un clima di grande confusione. L’unico dato certo è rappresentato dagli sbarchi, che si susseguono a ritmo continuo. Sbarchi che, in Sicilia, alimentano le aspettative in questo settore.

Nelle ultime settimane è tutta una corsa a trasformare anche grandi ville di campagna e perfino agriturismi in centri di accoglienza per minori. Il settore è in crescita. Le cooperative sociali che operano nell’assistenza ai minori hanno bisogno di figure specializzate (per esempio, psicologi, assistenti sociali, ecc.). E assicurano comunque lavoro. Senza passare da concorsi pubblici, trattandosi di strutture private.

Anche se, in questa fase di incertezza finanziaria, queste cooperative sociali sono costrette a lavorare, in molti casi, con scoperture bancarie. Ma hanno la certezza he qualcuno pagherà. Non a caso operano con la coperture delle banche.

“Se proprio debbo essere sincero – ci dice Paolo Amenta, vice presidente dell’ANCI Sicilia (Associazione nazionale Comuni Italiani) – non posso non nascondere una certa preoccupazione. Mi auguro che l’accordo siglato a Roma venga rispettato. Perché i Comuni siciliani non hanno le risorse finanziarie per sostenere il pagamento di questi centri”.

Se è per questo, i soldi non li ha nemmeno la Regione siciliana. Una Regione che dovrebbe mettere in campo, tra qualche mese, una seconda manovra finanziaria per dare risposte alle categorie sociali siciliane rimaste senza risorse.

Non vogliamo nemmeno pensare che cosa succederebbe se Roma decidesse di non pagare le rette di questi minori. In questo caso a pagare potrebbero essere i siciliani con nuove tasse.

La cosa più corretta sarebbe quella di far pagare questi costi all’Unione europea. C’è da augurarsi che di questo si occupino i nuovi eurodeputati eletti in Sicilia. 

Tra l’altro, si tratta di un costo fisso. Perché si prevede che questi minori che arrivano in Italia siano a carico del nostro Pese fino al compimento del diciottesimo anno di età.

“A questo proposito – ci dice sempre Amenta – c’è un passaggio della legge che non mi convince. Nella legge c’è scritto che questi minori, raggiunto il diciottesimo anno di età, dovranno essere integrati. Mi chiedo e chiedo: ma una Regione come la nostra che già presenta il 50 per cento di disoccupazione giovanile, come farà a integrare questi futuri diciottenni?”.

Foto di prima pagina tratta da migrantitorino.it

 


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