L’astronave Sicilia degli 80 mila precari e del Muos di Niscemi come la Grecia? Sì, ma senza rivolte sociali (o quasi…)

LA CHIUSURA DEL CERISDI NON E’ UN FATTO AMMINISTRATIVO, MA LA DIMOSTRAZIONE DEL FALLIMENTO CULTURALE E FINANZIARIO DELLA REGIONE

Ieri il presidente del Cerisdi, professore Adelfio Elio Cardinale, ha rassegnato le dimissioni. L’ha fatto con grande dignità istituzionale. Senza risorse finanziarie, peraltro già ridotte al minimo, non si può andare avanti (una delle caratteristiche dell’ultima Tabella H, approvata lo scorso anno, è quella di aver previsto il contributo, ma di non averlo erogato, negando, di fatto, la sacralità di una legge).

Alla lettera di grande spessore istituzionale, politico e culturale del professore Cardinale, il Governo della Regione ha risposto in modo scomposto, dimostrando, ancora una volta, che la crisi economica di una comunità è sempre anticipata da un deficit culturale.

Nella risposta sopra il rigo del presidente Rosario Crocetta al professore Cardinale c’è tutto il dramma di una Regione siciliana con una guida inadeguata e ormai preda di una crisi forse irreversibile. Nel linguaggio istituzionale la decadenza della forma annuncia sempre una crisi di sostanza.

Già, la crisi. Anche nella vicenda Cerisdi prosegue la commedia degli inganni. Non da parte del professore Cardinale, che anzi è andato al cuore dei problemi, parlando della crisi finanziaria e di quello che la sua gestione ha fatto, negli ultimi tempi, per fronteggiarla.

A nascondere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi, è il presidente della Regione, Crocetta, che continua a recitare una commedia che, come ora cercheremo di spiegare, con molta probabilità, è concertata con Roma e con i criminali della finanza e dell’economia che, ormai da oltre un decennio, si sono impadroniti dell’Unione Europea.

La sceneggiata, piuttosto stucchevole, del presidente Crocetta sul Cerisdi, vicenda inquadrata come un fatto di cattiva amministrazione, è solo uno dei tanti capitoli di un castello di menzogne propinate ai siciliani da nove mesi a questa parte.

Il Governo e, per certi veri, anche l’Assemblea regionale siciliana, continuano a nascondere ai cittadini la reale portata della crisi finanziaria della Regione.

Quando, nei mesi scorsi, il Governo e l’Ars hanno abolito gli organi elettivi delle nove Province regionali, anche noi, sul momento, abbiamo pensato alla volontà di applicazione dell’articolo 15 dello Statuto. Quando, però, abbiamo ascoltato il presidente e gli assessori pronunciarsi su tale argomento, ci siamo resi conto che questi signori non conoscevano nemmeno l’esistenza dell’articolo 15 dello Statuto. Basti dire che, ancora oggi, il Governo è convinto che i liberi Consorzi di Comuni debbano essere istituiti con legge dall’Ars, negando, di fatto, ai Comuni la libertà di costituirli.

E’ stato in quei giorni che abbiamo cominciato a comprendere la natura raffazzonata, arrogante e un po’ ignorante di questo governo regionale. Ipotizzando – e i fatti ci stanno dando ragione – che entro quest’anno non ci sarebbe stata la riforma delle Province, ma il proseguimento della gestione commissariale.

Gli organi elettivi delle Province non sono stati aboliti per attuare una riforma, ma per risparmiare, in modo rozzo, risorse. Tant’è vero che, accanto al taglio dei fondi per gli organi elettivi, sono stata tagliate altre risorse finanziarie: quelle per il personale e quelle per le scuole.

Incredibile quello che sta succedendo con i Comuni. Massacrati da una gestione dei rifiuti costruita a tavolino per svuotare, contemporaneamente, le ‘casse’ degli stessi Comuni e le tasche dei cittadini, e da una gestione idrica ideata su misura per favorire i privati, i Comuni siciliani – ai quali sono stati ridotti anche i trasferimenti pubblici – sono, oggi, oggetto di un’altra riforma-truffa da parte del Governo della Regione. Invece di affrontare i nodi strutturali – che sono finanziari – si prospetta una ridicola istituzione senza soldi (anzi, al risparmio!) delle tre Aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina e la scomparsa di oltre 200 Comuni (tutti quelli con un numero di abitanti inferiore a 5 mila unità), con accorpamenti selvaggi, aumenti della tasse e riduzione dei servizi.

Tutto questo, lo ricordiamo, mentre lo stesso Governo annunciava la costituzione dei “liberi Consorzi di Comuni”, previsti dall’articolo 15 dello Statuto, che ovviamente è stata ritirata. Insomma, dire che quest’esecutivo regionale, in materia di enti locali, procede all’insegna della confusione è poco.

La verità è che nessuna di queste cose è una ‘riforma’, ma si tratta solo di provvedimenti scomposti adottati da un governo senza idee, senza una guida giuridica, che procede a tentoni sulla pelle delle istituzioni e dei cittadini siciliani.

Lo stessa cosa avviene nella sanità pubblica. Dove si procede a tagli di posti letto, di Punti nascita, di personale medico e infermieristico (ormai è prassi che quando un medico ospedaliero va in pensione non si sostituisce, appesantendo il lavoro di chi resta, per non parlare degli infermieri con contratto a tempo determinato che il governo vuole licenziare).

Altri tagli scriteriati stanno colpendo le attività sociali, quasi del tutto scomparse in molti Comuni nei quali, in assenza della Chiesa Cattolica e, in generale, del volontariato, i poveri i diseredati sarebbero, di fatto, abbandonati lungo le strade.

Lo stesso discorso vale per le attività culturali, ormai affidate ai mecenati e ai privati.

Siamo solo all’inizio, perché ancora nessuno dice come stanno realmente le cose. A raccontare la verità sul precariato della Sicilia ha provato il ministro della Pubblica amministrazione, il siciliano Gianpiero D’Alia. Ma è stato sommerso dalle critiche. Tanto che oggi, anche lui, supponiamo di malavoglia, si è accodato alla recita che dovrebbe tenete ‘buono’ il precariato siciliano, annunciando ‘stabilizzazioni’ impossibili.

La bugia più grossa che si racconta in queste ore è che i precari non potrebbero essere ‘stabilizzati’ nei Comuni non perché negli stessi Comuni non c’è più un euro, ma perché lo vieterebbe il ‘Patto di stabilità’. Modificando il ‘Patto di stabilità’ – leggiamo a destra e a manca – i 23 mila precari degli enti locali potranno essere ‘stabilizzati’. Con quali soldi? Questo non lo dice nessuno.

Però il presidente della Regione, forse non rendendosi conto della contraddizione in termini che espone, dice: “Il problema del patto di stabilità può essere risolto accompagnando la stabilizzazione a un piano di rientro dal deficit”.

Insomma: rientro dal deficit e stabilizzazione: e il bello è che nessuno coglie questa contraddizione. Nessuno che dica a questi signori che in Sicilia non ci sono solo i 23 mila precari degli enti locali: a questi, infatti, ne vanno sommati almeno altri 60 mila.

Di fatto, a partire dall’1 gennaio sarà impossibile pagare tutti questi precari. Ma l’obiettivo del Governo regionale sembra quello di far approvare il Bilancio 2014 entro il 31 dicembre di quest’anno, sperando che migliaia e migliaia di siciliani accentino quella che, di fatto, si annuncia come una “via greca” senza lamentarsi troppo.

Superfluo dire che a rischiare non sono solo i circa 80 mila precari, ma anche i 25 mila forestali (i quali, non a caso, vengono in queste ore accusati di appiccare gli incendi nei boschi siciliani, quasi a preparare la tesi in base alla quale si dovrebbe anche fare a meno di loro) e, in generale, interi settori dell’Amministrazione regionale che, nel bilancio 2014, sono a zero euro.

Qual è, allora, il progetto? Noi un’idea ce la siamo fatta. Se questo governo regionale ignora l’applicazione di alcune leggi (decreto legislativo n. 30 di quest’anno) è perché, evidentemente, gode di particolari coperture che, di solito, si assicurano ai ‘commissari’ chiamati a fare il ‘lavoro sporco’.

La nostra sensazione è che la Sicilia, già a partire dal gennaio del prossimo anno, si avvii verso uno scenario greco. La ‘bravura’ dei governanti e di quelli che verranno chiamati ad occuparsi dell’ordine pubblico nella nostra martoriata Isola dovrà consistere nel ‘convincere’ i migliaia di siciliani a vivere da poveri, con servizi sempre più carenti (vedi la scomparsa di certi servizi sociali) e sostanziale abolizione di alcuni diritti soggettivi (vedi i tagli alla sanità pubblica), senza prospettive (gli 80 mila precari nell’incertezza), senza riferimenti istituzionali (l’abolizione di oltre 200 Comuni), con tasse sempre più elevate (vedi la Tarsu chiesta ai cittadini siciliani che, già da due anni, vivono con l’immondizia nelle strade), con ‘pezzi’ di Sicilia ceduta a varie potenze straniere sulla base di accordi, forse anche di natura economica, che i siciliani non conoscono (vedi Muos di Niscemi).

Oltre 5 milioni di siciliani trattati come ‘cavie’ in un sistema che non consentirà nemmeno la dichiarazione di default della stessa Regione siciliana, perché questo farebbe schizzare all’insù lo spread. Condannati alla povertà, con un Governo – quello di Rosario Crocetta – che, nel suo complesso, fa solo gli interessi di Roma e di un gruppo di presunti industriali che si stanno impossessando di tutto.

Ci sbagliamo? A gennaio vedremo quanto precari avranno ‘stabilizzato’ il presidente Crocetta e il ministro D’Alia. E vedremo, soprattutto, fino a che punto, tra povertà e Muos, Governo e poteri forti riusciranno a non far esplodere ula questione sociale.

 


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