Lucia Petrucci non sa che la sorella è morta Samuele, l’assassino ludico e freddo

Nel grande dolore che si è consumato due giorni fa a Palermo, con il brutale assassinio di Carmela Petrucci, la studentessa liceale accoltellata dall’ex fidanzato della sorella, ci sono tre drammi che danno la misura del male che oggi imperversa nel nostro tempo.

C’è, in primo luogo, il dramma di Carmela (foto a destra), strappata alla vita ad appena 17 anni. C’è il dramma della sorella Lucia – la ragazza che l’assassino, Samuele Caruso – avrebbe volto ammazzare: il dramma di una ragazza ferita gravemente da venti coltellate, per fortuna non mortali, che dal letto dell’ospedale dove è ricoverata chiede della sorella: il dramma di Lucia che ancora non sa che Carmela, sua inseparabile sorella, è morta. E’ c’è il dramma – agghiacciante – dell’assassino che confessa il delitto, la premeditazione di un atto che avrebbe tolto la vita ad un altro essere umano senza l’ombra di un’emozione. Possibile?

Su Carmela c’è solo il dolore di una città che, ieri, è scesa in piazza per dure “no” ai ‘femminicidi’: per dire “no” alle minacce che tante, tantissime donne ricevono ogni giorno da uomini possessivi, gelosi, malati e, purtroppo, talvolta anche delinquenti. “Non è più tempo di stare in silenzio”, li leggeva ieri nello striscione.

Già, il silenzio. Perché Lucia, la sorella sfuggita alla furia omicida di Samuele, da settimane, era oggetto di messaggi telefonici minacciosi. Ne aveva parlato con amici e amiche. Ne aveva parlato con il papà di una compagna di scuola che le aveva consigliato di sporgere denuncia. Aveva accennato delle sua paure a un cugino poliziotto. Ma la denuncia, da parte di Lucia Petrucci, non è mai arrivata. Chissà, forse in cuor suo non credeva che il suo ex ragazzo potesse arrivare a tanto. Ora, purtroppo, ha dovuto ricredersi.

“Non sapevo del suo dramma, avrei cercato di aiutarla”, dice stamattina in un’intervista a la Repubblica Vito Lo Scrudato, preside del Liceo Classico Umberto I (foto a destra), la scuola frequentata da Carmela Lucia.

La rabbia. La voglia di difendere le tante donne, giovani e meno giovani, ogni giorno oggetto di minacce. Accanto a questa voglia di dire “Basta Femminicidi” (questa un altra frase che campeggiava ieri in un grande cartellone durante la manifestazione) c’è anche la riflessione sul dolore.

Il dolore della famiglia. La forza della mamma e del papà di Carmela e Lucia che debbono andare avanti con la figlia che si è salvata dalle coltellate di Samuele. Non hanno ancora detto la verità a Lucia. A letto dopo l’intervento chirurgico eseguito all’ospedale ‘Vincenzo Cervello’ di Palermo dal dottor Giuseppe Termine, Lucia chiede della sorella. Le rispondono che anche lei è malconcia. Nessuno, in questo momento, se la sente di raccontare la verità.

C’è, infine, il terzo dramma sul quale, forse, dovrebbe interrogarsi la società nel suo complesso. E’ il dramma di Samuele: un dramma, lo ripetiamo, agghiacciante, stando a quanto viene fuori dall’interrogatorio. Al sostituto procuratore, Caterina Malagodi, che segue il caso, Samuele ha detto: “Sono uscito di casa con il coltello perché era mia intenzione uccidere Lucia se avesse ammesso il tradimento”.

Lucia e Samuele non stavano più insieme dallo scorso aprile. Era stata Lucia a troncare il rapporto. Ma l’assassino, leggiamo nelle cronache del suo interrogatorio, ripete ossessivamente la parola “tradimento”. Ripete questa parola, descrive in modo lucido l’omicidio che ha commesso e la sua fuga senza commozione. Freddo, gelido. Dice: “Venerdì mattina ho incontrato ho incontrato un amico dell’ex di Lucia. Mi ha visto depresso, mi ha chiesto se pensavo ancora a lei”.

Samuele risponde di non essere più interessato a Lucia. “A quel punto – racconta sempre l’assassino – mi ha mostrato una foto sul cellulare: si vedono Lucia e il suo ex fidanzato mentre si baciano. E’ una foto recente, ne sono sicuro. Allora sono corso a casa, ho aperto facebook, ho visto che quel ragazzo era tornato tra gli amici di Lucia. E ho capito”.

Ciò che impressione e fa pensare è che, nelle parole di questo ragazzo di 23 anni non c’è pentimento. Tutto ‘normale’. “Quando ho visto le ragazze arrivare – racconta al pubblico ministero – ho suonato il citofono. Ho detto che dovevo consegnare della pubblicità. Mi hanno aperto e mi sono nascosto nell’androne. Loro sono entrate e io mi sono avventato su Lucia. Tentando di colpirla. Lei si è accorta d me e si è parata con le braccia. Così il colpo è andato a Carmela. Ma io non volevo colpirla. Non volevo colpire Carmela”. (sopra, Samuele Caruso)

Poi le coltellate, una dietro l’altra. Con determinazione. Con freddezza. Due coltellate alla gola, forse, hanno già ucciso Carmela. L’ultimo colpo è per l’ex fidanzata, quando era già a terra in un lago di sangue. “L’ho colpita al fianco”, racconta Samuele.

Poi le grida che provengono da fuori. Qualcuno si è accorto di qualcosa.

L’assassino scappa. Anche la fuga è con raziocinio. Trova anche il tempo di nascondere l’arma del delitto. Sarà lui stesso qualche ora dopo, una volta preso dalle forze dell’ordine, a indicare agli inquirenti il punto dove ritrovare il coltello. Sembra un racconto di Dostoevskij. Invece è la realtà. 

Ora Samuele Caruso è nel carcere Ucciardone di Palermo. In isolamento. Il pubblico ministero contesta all’assassino l’accusa di omicidio premeditato. Con l’aggravante dei motivi futili e abietti. La Giustizia farà il suo corso.

Ieri, sul nostro giornale, ci siamo chiesti se, tra qualche anno, grazie alle leggi del nostro Paese – e grazie anche a chi le applica –  vedremo Samuele Caruso fuori dalla galera perché ‘recuperato’ alla società.

Non c’era, nelle nostre considerazioni, alcun accanimento contro chicchessia. Era soltanto una domanda. Tanto che oggi non esitiamo a definire questo giovane assassino come parte di un dramma.

Oggi invitiamo i nostri lettori a riflettere, insieme a noi, su come è possibile che un ragazzo di 23 anni possa compiere un delitto così efferato e ‘raccontarlo’ in questo modo, senza manifestare pentimento, senza emozione. Non è incredibile? Che sta succedendo nella nostra società?


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