Storia di Samia, dalle Olimpiadi di Pechino alla carretta del mare inghiottita dal Mediterraneo

Gli sbarchi di questi giorni a Lampedusa di tanti disperati fanno tornare alla memoria la storia di Samia Yusuf Omar. Era la più grande di sei figli di una famiglia di Mogadiscio. La mamma gestiva un negozio di frutta. Il papà non l’aveva più: ucciso da un proiettile di artiglieria.

La storia di Samia (foto a sinistra tratta da attualita.tuttogratis.it), nata nel 1991, la racconta la scrittrice italiana di origine somala, Igiaba Scego, su ‘Pubblico’. Storia triste, amara. L’avventura di una ragazza della Somalia appassionata di atletica.

La sua figura ritorna oggi, in bilico tra Lampedusa – presa d’assalto da chi rischia la vita per sfuggire alla fame e, forse, alla morte – e le Olimpiadi di Londra. Direte: che c’entrano le Olimpiadi di Londra? C’entrano, centrano eccome!

Il pianto e il sorriso, il sorriso e il pianto. Perché la vita di questa ragazza dagli occhi malinconici, oggi, qualcuno la vede in parallelo con i grandi successi di un altro atleta somalo dal diverso destino: Mo Farah. Giunto in Inghilterra da rifugiato, Mo Farah è diventato oggi un eroe nazionale proprio per aver ‘firmato’, da protagonista, naturalmente a Londra, due straordinari successi sui 5 e i 10 mila metri.

Davanti al successo di Mo Farah, Abdi Bile, altro atleta-eroe per i somali, l’uomo che nel 1987, a Roma, ha vinto un oro nei 1500 metri, primo atleta somalo a farsi notare nell’atletica leggera mondiale, invita tutti a non dimenticare Samia.

“Siamo felici per Mo, è il nostro orgoglio – dice oggi Abdi Bile – ma non dimentichiamo Samia”.

Appena Abdi pronuncia queste parole, un grande silenzio avvolge i componenti del comitato olimpico nazionale. Lo sport unisce. Fatica, impegno, concentrazione, vittorie. Ma anche ricordi. Belli e, qualche volta, meno belli. Ma non meno intensi.

“Ricodiamoci di Samia Yusuf Omar…”. Parole che vanno dritte al cuore non soltanto di milioni di somali, ma anche di chi vede nello sport il trionfo della vita sulle difficoltà della stessa vita.

E’ Abdi che ricorda l’avventura di Samia che, nel 2008, appena quattro anni fa, piccola e gracile, partecipa alle Olimpiadi in Cina. Partecipa, naturalmente, per rappresentare il suo Paese, la Somalia. La piccola Samia prende parte alla gara dei 200 metri femminili di Pechino nel 2008.

Non vince. Anzi è ultima. Ma che importa? Per lei, arrivata da un Paese povero, piccola e gracile, essere a Pechino era già un grande successo.

Tornata a Mogadiscio è felice: “È stata – amava ripetere – un’esperienza bellissima. Ho portato la bandiera somala, ho sfilato con i migliori atleti del mondo”.

“Non dimentichiamo Samia”, dice Abdi, con le parole rotte dal pianto. Quattro anni dopo la vita di Samia è cambiata. Nel suo Paese non ce la faceva più. Troppe difficoltà. Troppa povertà. Così, come tante altre donne più giovani e più anziane di lei, come tanti uomini e come tanti ragazzi e ragazze della sua avara terra, Samia ha provato a raggiungere l’Occidente per ricostruirsi la vita.

Eccola su una ‘carretta del mare’. Pronta ad attraversare il Mediterraneo. Per raggiungere Lampedusa. O le coste della Sicilia. O la Puglia. Per salvarsi. Provando a lasciarsi alle spalle la disperazione. E forse la morte.

Ma il destino ha voluto – così si racconta – che la ‘carretta del mare’ sulla quale viaggiava Samia… Insomma, addio a questa splendida ragazza, inghiottita dal mare come tanti altri uomini e tante altre donne.

“Ricordamoci di Samia”. E non dimentichiamo mai che gli uomini e le donne che sbarcano in questi giorni a Lampedusa sono esattamente come noi e come Samia: uomini e donne che sognano e sperano in un destino migliore.

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