La trattativa Stato-mafia e le banalità dette da Mario Monti

Il presidente del Consiglio, professore Mario Monti, non tralascia occasione per ribadire che il suo rapporto con la politica si conclude con il mandato di governo tecnico, assunto per ovviare alle inadeguatezze della politica economica seguita dai precedenti governi. L’aprile del prossimo anno dovrebbe segnare il traguardo della sua partecipazione alla gestione della cosa pubblica.

Sarà vero? Sino a prova contraria, siamo tenuti a credere alle sue dichiarazioni. Sono, però, i suoi comportamenti a farci dubitare, e parecchio.

Sull’esito della sua politica economica e dei risultati conseguiti abbiamo scritto recentemente e non ci torniamo, anche se questa è la ragione sovrana per la quale il professor Monti è stato distolto dai suoi impegni didattici e scientifici, per mettersi al servizio del Paese. In questa sede pensiamo di esaminare i suoi comportamenti politici per valutarne le implicazioni sul futuro politico del professor Monti.

La prima cosa che ci viene incontro è la sua dichiarazione alla rivista Tempi a riguardo dell’iniziativa intrapresa dal Presidente della Repubblica sul conflitto di attribuzione che riguarda le intercettazioni dell’ex Ministro Nicola Mancino nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria della trattativa Stato-mafia. Intercettazioni relative all’incriminazione dello stesso Mancino per false dichiarazioni al Publico ministero di Palermo.

Le intercettazioni di Mancino hanno colto quest’ultimo a colloquio con il dottor Loris D’Ambrosio – non con il Presidente della Repubblica – nel corso del quale veniva richiesto, da parte di Mancino, un intervento presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Palermo affinché l’inchiesta a suo carico venisse in qualche modo neutralizzata.

Stanti così i fatti, non si capisce dove sia lo scandalo, al punto da investire la Corte Costituzionale di una materia che di costituzionale non ha nulla. A questo proposito siamo andati a rileggere tutto il Titolo II della Carta Costituzionale, dall’articolo 83 all’articolo 91, per vedere dov’è scritto che il Presidente della Repubblica non può essere intercettato. Ebbene, non ne abbiamo trovato segno. La questione della quale si parla e si scrive riguarda l’interpretazione parlamentare operata con legge ordinaria riguardante il primo comma dell’articolo 90 nel quale è testualmente riportato questo principio costituzionale: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.

Da semplici cittadini, quali noi siamo, avendo riletto le norme costituzionali non riusciamo a capire quale nodo giurisprudenziale la Corte Costituzionale è chiamata a sciogliere. L’unico pronunciamento, ripetiamo da semplici cittadini e non da giuristi o costituzionalisti, riguarda la legittimità costituzionale della legge che traduce il principio costituzionale in norma cogente.

Questi i fatti in trattazione. Il presidente del Consiglio, tecnico prestato alla politica che ribadisce continuamente che per lui non c’è futuro in politica, dichiara alla rivista settimanale Tempi, un giornale legato alla associazione Comunione e Liberazione, che “…sono stati commessi abusi”, a proposito dei comportamenti della Procura della Repubblica di Palermo. L’abuso consisterebbe nel fatto che sulla trattativa Stato-mafia le indagini hanno scoperto altarini che invece debbono rimanere tabù. Da qui l’iniziativa montiana di fare presto con la legge bavaglio nei confronti della stampa e sui limiti da assegnare all’azione della magistratura, specialmente quando queste la portano a ledere l’impunità degli organi dello Stato ai vari livelli del potere politico. Come dire: “Al contadino non far sapere com’è buono il pane con le pere”.

Su questa vertenza la pubblica opinione sta dimostrando, con la raccolta di firme e con le motivazioni che danno alla loro adesione i cittadini, da che parte sta il Paese. Questo fatto preoccupa il Quirinale per cui la sortita del professore Monti, che oltre che di economia adesso è anche esperto di diritto e di procedure giudiziarie, tanto da indurlo ad esprimere giudizi di merito sul comportamento dei magistrati inquirenti. Mentre il governatore-tecnico, imparziale, equidistante dalle forze politiche in campo, o, forse, è meglio dire ‘equivicino’ ad esse, con le dichiarazioni rilasciate a Tempi e con la sua partecipazione all’apertura del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, dimostra abbastanza chiaramente da che parte tendono le sue preferenze, che non definiamo politiche ma culturali. E sono queste affinità ‘culturali’ che ci fanno ritenere il professore Mario Monti ancora a lungo protagonista della scena politica nazionale. Basti pensare al sostegno degno della migliore tifoseria da stadio che la sua iniziativa sulle intercettazioni ha suscitato nella file del Popolo della Libertà, nonché su Pierferdinando Casini, il novello progressista alleato del Partito democratico, per il futuro governo del Paese.

In conclusione, possiamo soltanto rilevare che l’iniziativa montiana non ha come obiettivo quello della riforma del sistema giudiziario, bensì una singola questione che, guarda caso, attiene ai comportamenti delle alte sfere politiche (Mancino) e questioni comportamentali di organi dello Stato nei rapporti con ambienti mafiosi.

Se non è interferenza questa, diteci voi cosa dobbiamo intendere per interferenza.

 


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