La conchiglia venata di rosa

di Dario Conti 

Il sole aveva iniziato a salire sopra l’orizzonte mentre i primi tenui raggi del nuovo giorno coloravano il cielo e le nuvole di rosa, quasi fossero tanti batuffoli di zucchero filato pronti ad essere presi da un bambino goloso ad una fiera di paese. Una leggera brezza agitava dolcemente quel grandioso spettacolo del mareall’alba, mentre un gruppo di delfini giocava tra i riflessi luminosi delle onde. E lì, persa nell’immenso, un’isola.

Gran parte dell’isola era ricoperta da una fitta vegetazione così che, col sole alto nel cielo e i riflessi che scolpivano le verdi chiome degli alberi, si aveva la sensazione di un meraviglioso smeraldo in una distesa di luce. Nella parte più a sud dell’isola c’era una grande baia, di fronte alla quale due immensi faraglioni emergevano dalle acque del mare, guardiani silenziosi e imperscrutabili, abitanti forse di un mondo che più non è. Estranei, diversi, soli. E sulle bianche sabbie di quel piccolo angolo di paradiso una piccola figura giaceva immobile, svenuta.

Il sole era già alto nel cielo quando riprese conoscenza, e un forte vento di libeccio aveva preso il posto della brezza mattutina. La ragazza si mise in piedi e si guardò attorno, confusa. Non aveva idea di dove fosse, come fosse finita lì e soprattutto chi fosse. Il vento le scompigliava in maniera disordinata i lunghi capelli biondi che al sole assumevano degli splendidi riflessi dorati. Indossava un semplice vestitino bianco ed era a piedi nudi, così che si accorgeva della meravigliosa sensazione di camminare sulla sabbia umida: scoprì che le piaceva immensamente farsi bagnare le dita dalle fresche onde che arrivavano sulla riva. S

i accorse di portare al polso un bracciale. Lo esaminò attentamente, notando così un ciondolo sopra il quale era inciso un nome: Leola. “Di chi è questo bracciale? Non ricordo di chiamarmi così. Non ricordo nulla!!!” pensò la ragazza mentre guardandosi attorno si accorse di essere circondata dai resti di quella che doveva essere un imbarcazione. Tra la sabbia calda svettava quello che con tutta probabilità doveva essere l’albero della barca, sopra il quale una bandiera azzurra strappata si agitava mossa dal vento.

La ragazza, Leola secondo il bracciale, era spaventata, confusa, disperata. Non aveva punti di riferimento, non aveva ricordi… Solo vaghe sensazioni di amarezza, tristezza, paura. Si sentiva morire mentre l’angoscia di rimanere per sempre su quell’isola iniziava lentamente a prendere il sopravvento sulla sua razionalità. Intanto la temperatura saliva e Leola sentiva il disperato bisogno di bere un po’ di acqua. Le labbra si screpolavano e la gola raschiava mentre urlava invocando aiuto, cercando dell’acqua tra i resti della barca sparsi sulla spiaggia.

Dopo un’infruttuosa ricerca Leola fu attirata da un luccichio proveniente dalla parte di spiaggia che lasciava il posto alla oscura e fresca foresta. Inerpicandosi tra le dune giunse alla fonte del luccichio, che si rivelò essere una magnifica conchiglia bianca a spirale, con delle piccole venature rosa che si congiungevano al centro della spirale. Leola, guardandola, rimase ammaliata dalla sua bellezza e improvvisamente sentì la forte attrazione di portarsela all’orecchio per ascoltarla.

Non capiva bene il perché, ma sentiva di doverlo fare. Non appena avvicinò la conchiglia al suo orecchio accadde una cosa incredibile: dall’interno della conchiglia Leola non udiva il tipico suono dello sciabordare del mare bensì una musica forte e chiara, ipnotizzante. Sembrava un insieme tra tutte le sinfonie più belle del mondo, mentre un calore forte, intenso, rassicurante riscaldava lo stomaco di Leola e saliva fin su alla testa, colorando lesue guance di un piacevole rossore, mentre un ampio sorriso distendeva le dolci pieghe del suo volto.

Ascoltando quella musica si sentiva al sicuro, come se tutte le paure e le preoccupazioni che fino a poco prima la stavano facendo impazzire, adesso sembravano essere state spazzate via, lasciando il posto a una leggerezza e un benessere che mai prima d’ora aveva provato. E solo adesso si accorgeva della magia di quel luogo. Solo adesso si accorgeva di come il tempo su quell’isola scorresse in relazione alla felicità di chi vi approdava.

Volava quando si era tristi, si dilatava quando il cuore era pieno di gioia. Sembrava un luogo dove ogni sogno poteva realizzarsi, dove ognuno poteva trovare ciò che cercava, ciò di cui aveva bisogno per essere felici. La sete, la fame, il sonno, la stanchezza: tutte sensazioni che non sembravano più appartenere a lei. Adesso apparivano come dei vaghi ricordi seppelliti nel passato, mentre tutto quello che importava era la musica, la pace, la felicità. Sembrava fosse passata un’eternità quando la musica mutò, cominciò a farsi sempre più metallica e corposa fino a trasformarsi in mille voci che si ricongiungevano in un’unica voce forte e possente.

Era la voce di suo padre, la voce di sua madre, la voce di un bambino che una volta aveva aiutato a salire su un’altalena, la voce di un amico passato, la voce di un amico futuro. Una voce che la incuriosiva ma che allo stesso tempo la spaventava. Come un qualcosa di estraneo a lei, ma non del tutto. La voce la spingeva verso la foresta, fonte di un sapere nascosto, forse custode del perché si trovasse in questo meraviglioso quanto strano luogo. E la foresta la chiamava, con un alone di mistero che l’avvolgeva e con i fantastici giochi che la luce filtrata attraverso le fronde formava.

E come Dorothy sulla strada di mattoni gialla, così Leola si incamminò lungo il sentiero che si inoltrava nella foresta, forse per trovare un senso a tutto ciò che le stava capitando, forse per poter tornare a casa. L’aspetto esterno della foresta tradiva la natura dell’ambiente interno, che si presentava alquanto surreale. Alberi di mille colori costeggiavano il sentiero mentre le lunghe e possenti radici che sporgevano dal terreno sembravano quasi di fumo. Strani richiami e tenebrosi versi riecheggiavano tutto intorno, ma la curiosità, e anche un pizzico di incoscienza, spingevano Leola a proseguire il suo cammino.

Un senso di eccitazione e di impazienza nasceva in Leola man mano che gli alberi diventavano sempre meno fitti, fino a lasciare il posto a un’immensa radura, al centro della quale sembrava esserci scavato un immenso anfiteatro. I gradoni che portavano alla scena erano ricoperti da un’edera rossa. Sul palco, quattro figure di pietra senza volto si ergevano immani, volgendo lo sguardo al centro.

La curiosità di Leola davanti a tutto ciò prese il sopravvento. Aveva raggiunto la meta del suo viaggio, non poteva sbagliarsi. Mentre si caracollava giù per le scale, gli spalti cominciarono a riempirsi di gente, di sagome incorporee, che a mano a mano che apparivano assumevano forme sempre più familiari. E allora ecco che Leola vide spuntare i suoi genitori, tutti i suoi amici, i suoi amori… Ogni persona che era stata importante nella sua vita adesso era lì, a guardarla annaspare per raggiungere il centro del palco. E mentre scendeva tutta la sua vita le tornò in mente, seppe chi era, da dove veniva.

Tutto era limpido e chiaro nella sua mente, ogni ricordo, ogni momento passato nella sua vita tornava vivido e forte, come un caleidoscopio. L’adrenalina scorreva in lei mentre prendeva posto tra quelle alte figure senza volto. Il teatro era pieno. Il silenzio era padrone di quel luogo mentre tutta l’attenzione era concentrata su Leola, che adesso si sentiva piccola e indifesa, di fronte a quella folla oceanica e mastodontica, mentre l’aria era quasi elettrizzante. Improvvisamente la musica della conchiglia iniziò a riecheggiare da lontano fino a riempire ogni singolo cantuccio di quel teatro, mentre un vento caldo avvolse le quattro sagome trasfigurandone i volti. Leola, terrorizzata, si era accucciata verso il terreno, perciò quando aprì gli occhi dopo che il vento cessò di soffiare, non poteva immaginare la scena che si sarebbe trovata davanti.

I quattro simulacri di pietra si erano trasformati in immagini di lei corrispondenti a quattro periodi della sua vita, passati e futuri: Leola bambina, Leola adolescente, Leola matura, Leola anziana. Riusciva a riconoscersi in ogni singolo lineamento, in ogni piega del volto e in ogni sorriso che quelle statue sfoggiavano. L’aspetto che più la affascinava era che il sorriso che accomunava quelle statue diventava più grande soprattutto in quelle due copie del futuro, quasi che il tempo e le vicissitudini della vita non avessero intaccato, ma anzi ampliato, quello spirito puro e solare che l’aveva accompagnata per tutta la sua infanzia. E soffermandosi su quel particolare, come un fulmine a ciel sereno, il senso di quella strana avventura le fu chiaro nella mente.

Il teatro, le persone sugli spalti, la musica: la vita è come un’opera d’arte, come un dramma, dove noi siamo gli attori principali, che recitiamo la parte più difficile: essere noi stessi; i nostri sentimenti sono la colonna sonora e le persone care a noi, con il loro calore e il loro affetto, sono il pubblico entusiasta, che con il loro applauso ci rende la vita degna di essere vissuta. E così bisogna andare avanti sempre con un grande sorriso, senza paura e senza remore.

Finalmente aveva capito: la vita è un palcoscenico e spetta a noi renderla uno spettacolo meraviglioso. E intanto rideva, rideva, e il cuore le scoppiava di gioia. Un grande applauso scoppiò tra le fila del pubblico, mentre coriandoli presero a vorticare dappertutto, fino a che…

Leola aprì gli occhi: era al sicuro nel suo letto. Una piccola lacrima le solcava il viso mentre un ampio sorriso la illuminava splendidamente. Era felice. Era stato il sogno più bello e realistico che avesse mai fatto. Ricordava ancora la sensazione di quella sabbia umida sotto i piedi e la melodia di quella musica meravigliosa, quasi risuonasse ancora dentro di lei. La delusione di aver lasciato quel luogo magico, irraggiungibile e irreale la crucciava leggermente ma il ricordo della lezione che aveva imparato bastava a metterla in luce, caricandola di un’energia che mai aveva provato prima d’ora.

Presa dall’euforia di quel sogno non vide, appena scesa dal letto, che il pavimento della stanza era coperto di orme di sabbia. Quando uscì dalla porta, si rese conto di tenere in mano la conchiglia venata di rosa.

 

 


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