Autonomia siciliana? Astensione totale alle prossime elezioni…

La tarda stagione di Raffaele Lombardo declina penosamente verso l’epilogo, segna l’ennesimo fallimento della politica siciliana e sta esponendo tutti noi al disprezzo della comunità nazionale e internazionale.

Si tratta di un sentimento generale che nei confronti dei siciliani rilegittima l’opinione di un popolo passivo, sempre in cerca di un padrone a cui inchinarsi, servile, affidandogli non un mandato istituzionale bensì “le chiavi del regno” nel permanente desiderio di ricavarne piccoli o grandi vantaggi personali, di famiglia, di clan, di lobby politica o economica.

Un “regno” popolato da sicofanti, faccendieri, politici di terzo e quart’ordine, spesso incapaci di articolare in corretto italiano un pensiero, una visione, una semplice idea capace di generare futuro.

Ancora una volta l’inquietante psichiatra che si nasconde, molto maldestramente, dietro l’aspirante agricoltore, si è inserito nella storia di questa terra e, in assenza della pratica romana della “damnatio memoriae” che cancellava ogni traccia di chi aveva recato gravissimo danno alla collettività, Lombardo lascerà comunque traccia di sé in atti parlamentari, in riforme discutibili, in diffuse ed ambigue clientele che, comunque, seguiranno ogni sua indicazione anche nei tempi a venire, memori dei vantaggi ricevuti in questi anni e che nella Sicilia della disperazione assoluta non saranno dimenticati.

Il primo presidente della Regione eletto a suffragio universale e diretto si è rivelato un criminale. Oggi è ristretto a Rebibbia, ma continua a suscitare preoccupanti controversi commenti divisi tra pietà ed (malcelata) ammirazione.

“Avvenire, 18 settembre 2011

La rieducazione del detenuto Totò Cuffaro, classe 1958, procede bene. Lo promuovono anche i comunisti, e a pieni voti. “Mi sono messo a studiare Giurisprudenza e sono già al secondo 30. Dopo diritto costituzionale, il 28 luglio ho superato anche istituzioni di diritto romano con Oliviero Diliberto (sì, proprio l’ex ministro della Giustizia) nelle vesti di docente alla Sapienza. Mi ha chiesto della manomissione, la procedura di affrancamento degli schiavi, chissà se era un’allusione… Ho risposto a tutto, alla fine ci siamo anche abbracciati”.

Roberto Puglisi su Live Sicilia, ottobre 2011

«Ci sono moltissimi siciliani che amano Cuffaro perché lo ritengono il modello ideale. Perché pensano che la politica sia ipocrita – specialmente nella terra nostra – quando promette di curarsi dei destini collettivi. Dunque, fra tanti fasulli mascheroni di benefattori della salute pubblica, altrimenti rapaci, meglio la concretezza del clientelismo che si fa pane e companatico. Meglio l’illusione – sì l’illusione – del rapporto personale col sovrano. Meglio stare accucciati ai piedi del trono. A seguire, ci sono i siciliani “liberi” che condannerebbero in ogni dove un simile atteggiamento. Ma lo perseguono senza rossore nel convento della propria coscienza. Ecco perché Cuffaro piace agli uni e affascina, in segreto, gli altri».

Del secondo Presidente ancora non è certo il destino personale, ma abbastanza sicura la fine istituzionale nel volgere di ore e c’è da chiedersi se un giorno leggeremo analoghe riflessioni oppure un saggio sulla coltivazione degli ortaggi, magari annotato a margine da qualche eminente opinion leader pronto a celebrarne le lodi quale l’uomo che liberò (sic!) la Sicilia dal cuffarismo.

Siamo veramente nel mondo dell’assurdo, quell’assurdo “reale” tanto amato da Luigi Pirandello  (foto sotto a destra tratta da timerime.com) e che è sempre stato proposto come la chiave per comprendere (?) e giustificare la Sicilia e i siciliani.

L’unica regione al mondo veramente “eccentrica” come ebbe a ricordare molti anni fa Stefano Malatesta nel “Il cane che andava per mare” (Neri Pozza, Vicenza 2006), scusandosi dell’affermazione, non essendo siciliano e come non si stancava di sottolineare Leonardo Sciascia, evocando “la corda pazza”.

Ecco finalmente la corda è stata srotolata sul lettino dello psichiatra e si è rivelata intrecciata di serpenti e di menzogne che hanno condotto la Sicilia alla rovina economica e morale.

Ma com’è potuto accadere tutto questo? Perché, ancora una volta, il “sonno della ragione ha generato mostri” e l’ammonimento di Goya è rimasto inascoltato? Com’è possibile che cinque milioni di siciliani, molti dei quali colti, sensibili, attenti e sofisticati, alcuni “di scoglio”, altri “di alto mare”, non siano riusciti ad avvisare del rischio, non abbiano levato alta la propria voce per gridare al mondo intero cosa stava accadendo nella terra “dove fioriscono i limoni”?

Proviamo ad azzardare alcune ipotesi, pur rasentando il bordo dell’incubo e dell’allucinazione.

E’ possibile che anche i più illuminati abbiano creduto veramente che Raffaele Lombardo potesse rappresentare una svolta e, se ciò dovesse essere apparso vero, è possibile che il partito di riferimento (almeno sino a un paio di anni fa) della maggior parte degli “intellettuali” abbia avuto un ruolo attivo e pesantissime responsabilità in tutto ciò? E’ possibile che l’illusione di “controllare” il Golem si sia rivelata, come sempre, presuntuosa e fallace? Potrebbe darsi il caso che prebende, finanziamenti, qualche assessorato, abbiano tacitato docenti universitari, editori, qualche scrittore o giornalista? Si può ipotizzare che gli iniziali, e in qualche caso, perduranti idilli con esponenti della Magistratura e della cosiddetta Antimafia abbiano rallentato il processo di consapevolezza?

Quando si giunge ai risultati che oggi sono sotto i nostri occhi nessuno è immune da responsabilità e, sommamente, coloro che sono affrancati dal bisogno elementare della sopravvivenza e hanno il privilegio di possedere gli strumenti della cultura e del pensiero libero.

E allora, ancora una volta, “che fare”? Andare alla ricerca di un altro re? Rispolverare qualche esponente politicamente insulso e precocemente invecchiato facente parte della schiera dei parenti delle Vittime della mafia? Utilizzare, come sempre, la Sicilia come laboratorio per esperimenti (nucleari) che a noi lasciano solo scorie e deserto politico e sociale? Ricorrere ad un tecnico senza anima che venga a conquistarsi in Sicilia un qualche riconoscimento accademico o una prestigiosa carica internazionale sulla pelle dei soliti siciliani “sedotti e abbandonati”? O ad un paladino che nasconda dietro i lustrini dell’armatura le mire personali che, come fili inossidabili, lo governano? Individuare una personalità “istituzionale” esponente magari di quello Stato che – come i soldati che ai piedi della Croce si disputarono a dadi le vesti del Condannato – si è reso responsabile del martirio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino?

Domande, solo domande, ma esse sono l’unico modo che conosco per fare girare il cervello a fronte di risposte che lo anestetizzano progressivamente.

Di una cosa però sono certo. Non c’è cambiamento senza sangue. Nella terra delle mille rivolte e di nessuna vera rivoluzione, non potremo mai cambiare nulla senza operare una profonda palingenesi che esige che alcuno degli attuali componenti dell’Assemblea regionale siciliana e del Governo regionale abbia l’ardire di ripresentarsi al cospetto di quegli elettori, tutti traditi – a destra e a sinistra – in nome dell’unica volontà di potenza – che non conosce distinguo né schieramento – per sé e per i propri traversali tragici accoliti.

L’alternativa sia la più massiccia astensione che la storia della Repubblica e dell’Autonomia siciliana abbiano mai conosciuto. Un’astensione motivata dall’impossibilità di esprimere una classe dirigente che non sia pallido clone di ciò che è già stato. Un’astensione che risuoni nel mondo intero come solo il silenzio sa fare e sia il grido d’agonia di una Sicilia che non ha più nulla da dire e da dare, se non i più brillanti giovani da porre in salvo altrove prima dell’apocalisse istituzionale, politica, economica e sociale.

Nessuno osi, con farisaica sufficienza, tuonare ipocritamente contro tale forma estrema di protesta se non perché è in grado, in prima persona, di proporre uomini, donne, idee, visioni di futuro che siano in grado di far dimenticare – non a noi purtroppo né ai nostri figli – almeno alle generazioni future gli anni di un sonno durato troppo a lungo.

Una notte della coscienza, un’oscurità così fitta e così profonda da essere vissuta come un incubo che nessuna luce del giorno è venuta finora a scacciare.

Che Dio, quale sia il nome che amiamo dargli, aiuti tutti noi.

Foto di prima pagina e in alto a sinistra tratta da messinesitudine.blogspot.com

 

 

 

 

 

 

 

 


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