1978: da Aldo Moro a Giovanni Paolo II

Esattamente un anno fa, nel recensire il libro ‘Gli italiani di New York’, avevamo scritto dell’autore, il giornalista Maurizio Molinari, che a nostro giudizio era il più bravo corrispondente italiano dagli Stati Uniti. Dopo aver finito di leggere ‘Governo Ombra. I documenti segreti degli Usa sull’Italia degli anni di piombo (Rizzoli 2012)’, ci preme aggiungere che il corrispondente de “La Stampa” oltre che un eccellente giornalista, è anche uno storico di spessore.

Molinari analizza i documenti diplomatici inviati dall’Ambasciata statunitense a Roma – e dai vari consolati Usa sparsi per l’Italia – nel fatidico anno 1978. E’ l’anno del rapimento di Aldo Moro (foto a sinistra tratta da follett.it) e dell’uccisione del leader democristiano da parte delle Brigate Rosse; delle grandi tensioni politiche che sembrano annunciare la realizzazione del “compromesso storico” e l’entrata dei comunisti al governo; dell’ascesa del nuovo socialista Bettino Craxi e dell’elezione del vecchio socialista, Sandro Pertini, al Quirinale e, infine, dei sommovimenti epocali che si annunciano anche al Vaticano alla morte di Paolo VI. Siamo quindi nell’anno forse più importante della storia d’Italia durante la Guerra Fredda.

Molinari con la sua ricerca (I documenti gli sono stati rilasciati dal Dipartimento di Stato grazie al “Freedom for Information Act”) mette in vetrina giudizi, aspettative, preoccupazioni e speranze della potenza Usa nei confronti di un Paese che, alla fine della lettura, attraverso l’acuta lente di Foggy Bottom, ci appare ancora più strategicamente importante di una semplice “portaerei nel Mediterraneo”. L’Italia diventa infatti il Paese chiave della strategia del Containment degli Usa sull’Unione Sovietica. Una strategia che lo stesso teorico della “dottrina” più famosa, l’ex diplomatico George Kennan, aveva infatti immaginato più come contenimento “culturale” che “militare”.

La Guerra Fredda cioè che sarebbe stata vinta non spaventando il nemico solo con l’imponente superiorità militare, ma soprattutto sbaragliandolo nel trasmettere ai popoli d’Europa la superiorità dei valori della democrazia liberale sul totalitarismo comunista di stampo sovietico. E’ per questo che, infatti, l’Italia ci appare il Paese più importante per gli Stati Uniti. Non solo perché ci sono le basi Nato, ma perché c’è il più grande Partito comunista dell’Occidente fino a quel momento in inarrestabile ascesa.

Le analisi nei documenti provenienti dall’Italia vistati dall’ambasciatore Richard Gardner, sono scritti da uno svariato gruppo di diplomatici di carriera, come è l’acuto numero due dell’ambasciata, Allen Holmes, ma anche da intellettuali e professori di università “assoldati” dal Dipartimento di Stato per quella missione così strategicamente importante a Roma, accademici come Joseph La Palombara e Stanton H. Burnett, autori anni dopo di autorevoli saggi sull’Italia. E, come hanno recentemente dimostrato i documenti che Wikileaks ha svelato al mondo, lo staff del Dipartimento di Stato si dimostra sempre all’altezza del compito, con una incredibile capacità di analisi sui Paesi in osservazione. Già, erano bravi questi diplomatici a intuire e capire prima degli altri. Ma quanto saranno ascoltati dall’inquilino della Casa Bianca? (a sinistra, raffigurazione della ‘Guerra Fredda’ foto tratta da diegocare.wordpress.com) 

George Kennan, che come abbiamo detto alla fine degli anni Quaranta diventerá il famoso teorico della strategia del Containment della Guerra Fredda, negli anni Trenta era un diplomatico di carriera che dall’ambasciata di Mosca scriveva lunghi dispacci sul terrore e le purghe staliniane, mettendo in guardia l’amministrazone di FDR dal perseguire una politica di collaborazione con i sovietici. Invece la Casa Bianca ignorò del tutto quei telegrammi, continuando a perseguire l’intesa con Stalin in funzione anti Hitler. Per fortuna, potremmo dire col senno di poi. Ma l’analisi dei diplomatici americani dell’Italia del 1978, come influenzava Washington?

Vale la pena leggere “Governo Ombra”. Intanto qui vi proponiamo la nostra intervista con l’autore Maurizio Molinari.

Quale è stata la maggiore sorpresa che hai trovato nei documenti americani? C’era qualcosa che proprio non ti aspettavi?

“Le sorprese sono state tre. La prima è data dal numero di funzionari del Pci che parlavano con gli americani. Se le mie ricerche svolte in altre occasioni su documenti americani relativi all’Italia avevano già appurato il forte interesse con cui gli Stati Uniti hanno sempre guardato al Pci, questa è la prima volta che mi sono trovato di fronte alla prova concreta che era un interesse corrisposto. Se gli Usa guardavano al Pci con un misto di timore e stima era vero anche l’esatto contrario. L’altra sorpresa è che questi documenti per la prima volta attestano con chiarezza quanto Washington riteneva cruciale negli anni Settanta il ruolo del Vaticano come puntello dello schieramento occidentale dell’Italia, vista l’inaffidabilità della Dc. E infine il terzo tassello: un episodio goffo al punto da sembrare la trama di un film di Alberto Sordi. Nel bel mezzo del rapimento Moro il segretario della Dc, Zaccagnini, recapita con un proprio uomo all’ambasciata Usa un palesemente documento contraffatto per tentare di coinvolgere il Pci nella responsabilità dell’atto terroristico. Gli americani lo liquidano in poche ore come un falso, ma il fatto che Zaccagnini abbia giocato una simile carta evidenzia lo stato di sbandamento in cui versava la Dc”. (sopra, a sinistra, foto di Enrico Berlinguer tratta da notizialternativa.com) 

Nel 1978 quanto poteva contare a Washington il giudizio di questi analisti americani che a Roma osservavano la Dc e il Pci? Quanto poteva condizionare l’effettiva politica Usa di quegli anni nei confronti dell’Italia?

“Contava molto perché nel sistema di operare del Dipartimento di Stato le informazioni sulla base delle quali si prendevano le decisioni arrivavano dalle ambasciate. I diplomatici ‘antenne’ e ‘occhi’ del Dipartimento di Stato sul terreno forniscono la materia prima che consente a Washington di decidere cosa fare, anche se spesso i disaccordi sono forti e il Dipartimento di Stato fa di testa propria. Ma, ad esempio, i documenti del libro dimostrano che fu l’ambasciatore Richard Gardner, con i suoi telegrammi, a spingere l’amministrazione Carter (foto a destra, tratta da tokeofthetown.com) a prendere nettamente, e pubblicamente, posizione contro l’entrata del Pci nel governo nel gennaio 1978. Senza quelle pressioni di Gardner, ripetute e massicce, Washington non sarebbe intervenuta e a Roma avrebbero così continuato a circolare liberamente le voci su una inesistente apertura di Carter a Berlinguer”.

Il titolo del libro, “Governo ombra”, suggerisce un governo parallelo americano in Italia, ci fa pensare quasi che gli americani potessero decidere e condizionare a loro piacimento gli eventi. Ma, nelle preoccupazioni che emergono dai documenti, non sembra affatto così, anzi a volte la crisi italiana del ‘78 appare assolutamente fuori dal controllo degli Usa…

“Il titolo “Governo Ombra” intende fotografare la vastità dei rapporti che gli americani avevano in Italia. Parlavano con tutti i maggiori attori politici, istituzionali ed economici del Paese così come a livello locale incontravano sindacati, imprenditori, amministratori e esponenti del clero. L’impegno di risorse umane ed economiche per tastare il polso all’Italia, ogni singolo giorno dell’anno, ha dimensioni significative. Se poi le informazioni raccolte servirono davvero a Washington per operare come un “Governo Ombra” è tutt’altra storia: spesso ciò non avvenne a causa di gravi errori di analisi, come ad esempio quelli commessi sul Psi di Bettino Craxi nel 1978″.

Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, il grande test per l’Italia nel 1978 e forse per l’intera storia della Repubblica. Come se la cavano i diplomatici Usa nell’analizzare gli eventi? Quanto, col senno di poi, capiscono di quello che avviene? Gli americani sembrano non saper nulla di chi ci sia dietro le Brigate Rosse per riuscire a compiere un’impresa così enorme… E’ più il Vaticano, molto ascoltato dagli americani, che indica legami internazionali…

“I documenti descrivono gli americani del tutto colti di sorpresa dal rapimento di Moro, dall’efficienza delle Br, dallo sbandamento politico della Dc e soprattutto dalla prontezza con cui il Pci riesce a sfruttare la crisi per rafforzarsi in termini di credibilità sulla difesa delle istituzioni. Quando i diplomatici Usa vedono che le prime manifestazioni anti-Br, dopo il rapimento Moro, sono guidate dal Pci con la Dc obbligata a unirsi, seguire, accodarsi si percepisce con chiarezza una sensazione di shock diffuso. Ebbero l’impressione che l’Italia filo-occidentale potesse implodere da un momento all’altro. Anche per questo il Vaticano si confermava un partner di valore inestimabile. Sono gli inviati e i più stretti collaboratori di Paolo VI (foto a sinistra tratta da blogstoria.it) a rassicurare, settimana dopo settimana, Washington sulla tenuta politica del governo e dunque sullo schieramento internazionale del nostro Paese”.

Il compromesso storico, i comunisti vicini al potere: i diplomatici americani ne parlano con politici, imprenditori, intellettuali, giornalisti e per tutti l’argomento Pci è l’ossessione di quel 1978. Ma la paura dei comunisti, alla fine sembrano averla piú gli italiani intervistati dagli americani che viceversa.

“Gli americani più che paura hanno interesse per il Pci. A tale riguardo uno dei documenti di maggior valore è quello che John Holmes, numero due dell’ambasciata Usa a Roma, firma nel febbraio 1978 scrivendo a Washington che bisognava aprire a Botteghe Oscure perché era nell’interesse non solo dell’Italia ma anche degli Stati Uniti”. (sotto, a destra, foto dell Casa Biancatratta da lefoto.it)

Uno dei documenti infatti che appare straordinario, è proprio il messaggio di Holmes che in sostanza include anche che non sarebbe la fine del mondo se i comunisti finissero per andare al governo in Italia e la facessero uscire dalla Nato… Ma quanto un’analisi così “rivoluzionaria” poteva contare a Washington? Era solo l’analisi azzardata di un diplomatico che sarebbe stata perduta tra le centinaia di miglia di documenti del Dipartimento di Stato o a Washington c’era qualcuno disposto a mettere in conto l’eventualità che la NATO avrebbe anche potuto “perdere” l’Italia?

“Il documento di Holmes ha valore perché alza il velo sul dibattito interno all’amministrazione Carter. Holmes lo intitola ‘Opinione in dissenso’ perché l’intenzione dichiarata è di smontare sistematicamente tutte le convinzioni americane di allora. E’ la presenza di questo livello di dibattiti dentro l’amministrazione Usa che, in ultima analisi, spiega la maggiore forza e consistenza degli Stati Uniti rispetto all’Urss. L’amministrazione Usa pur rimanendo fedele alla scelta di bloccare al Pci l’entrata al governo al suo interno si confronta in maniera concreta con un tale scenario. E a dimostrarlo c’è anche il fatto che Holmes, dopo quello scritto, resta al suo posto come il diplomatico più importante di Washington in Italia in quanto, come sappiamo, Richard Gardner non era un ambasciatore di carriera ma frutto di una nomina politica”.

Durante il rapimento Moro, come accennato da te prima, c’è un momento che gli americani riconoscono come falso un documento del Pci fornito all’Ambasciata dalla Dc di Zaccagnini e ciò che accende subito il loro sospetto é il cattivo stile grammaticale… Potrebbe essere che il documento “sia il frutto del tentativo di un conservatore di imitare un comunista” scrivono in un loro messaggio a Washington. Gli americani che riconoscono ai comunisti non solo una superiorità organizzativa ma anche culturale sui democristiani?

“Come ti dicevo questo documento è uno di quelli che più mi ha colpito. Nel momento di maggiore crisi istituzionale della Repubblica cosa fa il segretario della Dc? Si affida a un falso, immaginando di trarre in inganno l’amministrazione Carter. E’ un errore culturale, prima che politico, che porta Washington a consolidare la valutazione strategica sulla debolezza strutturale della Dc. Ciò spiega la mole di documenti in cui si descrivono nei dettagli le liti intestine alla Dc, trasmettendo a Washington l’immagine di un partito in preda alla faide, oramai incapace non solo di governare ma di interpretare la volontà popolare. Il fattore ‘culturale’ che tu sottolinei è confermato dall’attenzione con cui Washington segue i primi passi del pontificato di Giovanni Paolo I (foto a sinistra, tratta da papaluciani.com) soprattutto per quanto riguardo la sua intenzione di rinvigorire le associazioni giovanili cattoliche. Washington ritiene che la vulnerabilità della Dc nasca dall’indebolimento del legame con la Chiesa di base, popolare”.

Nel corso del libro i rapporti tra il Pci e i diplomatici americani appaiono sempre più intensi e alla fine portano all’episodio del visto a Giorgio Napolitano, con i diplomatici americani determinanti nel rendere vani i veti democristiani al viaggio del primo dirigente del Pci negli Usa. C’è una sfilza di comunisti sempre pronti ad avere conversazioni con i diplomatici dell’Ambasciata. Perché sono sempre così scattanti nell’ ‘informare’ delle loro faccende il ‘nemico’? Quanta sincerità c’era in quei colloqui? Perché i comunisti andavano a raccontare i loro ‘panni sporchi’ agli americani?

“Difficile dire oggi quanta sincerità ci fosse da parte dei comunisti che parlavano con i diplomatici Usa, di certo però c’era l’interesse a continuare e consolidare tali rapporti. A volte l’impressione è che si tratti di scelte di singoli funzionari, che hanno interessi personali assai concreti a continuare a vedere gli americani, ma in altri casi si percepisce con chiarezza che gli alti funzionari del Pci recapitano a Washington messaggi tesi a illustrare, motivare e dettagliare le politiche del segretario Enrico Berlinguer. Da qui l’ipotesi che Berlinguer fosse ben al corrente di quanto avveniva e stesse cercando, in qualche maniera, di costruire un legame con l’amministrazione Carter in vista del giorno in cui il Pci avrebbe assunto responsabilità di governo. Ci fu senza dubbio una strategia comunista di dialogo con Washington. E’ un tema sul quale sappiamo ancora troppo poco e che potrebbe riservarci sorprese”.

Gli americani scelgono alcuni giornalisti per cercare di capire meglio la situazione in Italia. In particolare uno appare il più pessimista di tutti, il decano del giornalismo italiano, Indro Montanelli (foto a destra, tratta da iroby.it) . Il direttore-fondatore del Giornale dirà agli americani che uno scenario più auspicabile per l’Italia che l’arrivo al governo dei comunisti, sarebbe la soluzione “cilena”… Ma quanta considerazione veniva data dai diplomatici alle opinioni dei giornalisti?

“Una delle costanti dell’operato dei diplomatici americani è individuare come si forma l’opinione degli italiani. Vanno dunque dai giornalisti che ritengono più in vista o meglio informati per tentare di comprendere la genesi di un fenomeno più vasto. Gaetano Scardocchia è il giornalista che parla più spesso con Berlinguer e dunque vi individuano una fonte potenziale di comprensione dell’operato del Pci così come Indro Montanelli a Milano è condiderato il più in sintonia con un nord conservatore, anticomunista e disposto a battersi per scongiurare il compromesso storico sostenuto da Moro e Andreotti. Ciò che spinge Gardner e i suoi consiglieri ad andare così spesso a incontrare i giornalisti è la convinzione che siano le fonti migliori per comprendere l’Italia. Migliori degli stessi giornali che scrivono e confezionano perché i diplomatici Usa li leggono ogni giorno, esprimendo però costante sconforto per come descrivono i fatti, paludandoli in continuazione”.

Il Vaticano, che non ha ancora neanche relazioni diplomatiche con gli Usa, sembra a Roma l’interlocutore più di fiducia per l’ambasciata. La Santa Sede è una fonte preziosa di suggerimenti e analisi. Il suo “ministro degli esteri”, il cardinale Casaroli, influenzerá i dispacci dell’ambasciatore Usa a Roma…

“Il Vaticano dai documenti emerge come un alleato cruciale per Washington, che lo sfrutta per mettere sotto pressione la Dc, scongiurando il compromesso storico. L’attenzione per il Vaticano è la cartina tornasole della sfiducia nella Dc”.

Craxi (nella foto a sinistra, tratta da riviera24.it) chiede soldi agli americani per le imminenti campagne elettorali, ma gli rispondono picche. Sappiamo che il Pci ha ricevuto da Mosca soldi fino al 1989… Niente finanziamenti al Psi perché gli americani effettivamente non possono darli? Craxi non viene sottovalutato dagli americani, effettivamente Via Veneto sembra capire abbastanza presto che “Benedetto” Bettino Craxi andrà molto lontano…

“Quando il Psi suggerisce il dialogo con le Br, con il possibile negoziato sui brigatisti sotto processo a Torino, Washington lo taccia di essere filo-terrorista, ma il ripensamento è veloce quando, dopo il rapimento Moro, la strategia del Psi paga alle amministrative svuotando di voti il Pci. Da quel momento l’ambasciata in Via Veneto considera Craxi come alleato contro il Pci, più solido e credibile della Dc”.

Oltre al rapimento Moro, abbiamo le dimissioni di Leone e l’elezione di Pertini al Quirinale (con gli americani che non si fidano del vecchio partigiano). Inoltre la morte di Paolo VI e l’elezione di Albino Luciani e poi Karol Woityla. Insomma c’è molta carne al fuoco in quel 1978 per i diplomatici dell’ambasciata Usa. Come se la cavano?

“Nel complesso, i documenti descrivono una ripresa di fiducia nella stabilità italiana a causa dell’indebolimento del Pci da parte di Craxi. E’ l’inizio di un periodo che vedrà Washington arrivare a considerare Craxi come il leader politico decisivo in Italia. Anche questo è un risvolto della sfiducia nella Dc”.

Non hanno un buona impressione della Dc gli americani che si trovano all’ambasciata di Roma nel 1978. Ma tra Andreotti, Cossiga, Fanfani, Zaccagnini, Forlani… Tra le “vecchie volpi” della Dc, c’è un favorito degli americani? Chi è ritenuto il più capace?

“Alla fine ad emergere è Andreotti. Il motivo è che Andreotti dà garanzie sul fronte delle riforme economiche e assicura di non volere più creare un governo con il Pci. Il 1978 è anche l’anno in cui il ruolo di Andreotti si trasforma: all’inizio è lui a voler spiegare agli americani la necessità del compromesso storico, ma dopo la morte di Moro è il più veloce ad adattarsi alla nuova situazione. Non è un caso che Craxi, nell’intento di diventare il più importante alleato di Washington, scelga Andreotti come bersaglio nella Dc”.

Può servire il tuo libro a insegnarci anche qualcosa sui rapporti attuali tra Usa e Italia?

“Da questo libro comprendiamo quanto l’Italia sia elemento centrale per la proiezione del potere americano in Europa. Rispetto ad allora tutto è mutato – leader politici, quadro internazionale, cornice economica – tranne il fatto che la centralità dell’Italia per Washington rimane”.

Attraverso quei dispacci, quei “long telegram” degli americani sull’Italia del 1978, possiamo forse capire meglio anche quali siano oggi certe debolezze ma anche punti di forza del nostro Paese? Insomma, capire meglio l’anno 1978, può aiutarci ad affrontare la crisi e i pericoli di questi ultimi mesi o quell’Italia non c’é proprio più?

“C’è una lezione del 1978 che resta valida fino ad oggi. Gli Stati Uniti continuano ad investire importanti risorse per studiare il nostro Paese, leggendone da vicino ogni evoluzione politica ed economica. Il motivo è che l’interesse nazionale americano nel Mediterraneo è di avere un’Italia politicamente stabile ed economicamente florida. Non certo per altruismo, ma in quanto nessun altra nazione europea somma i tre elementi che distinguono l’Italia: legame umano diretto con milioni di cittadini americani, presenza di basi militari a ridosso delle aree di crisi, importanza della collaborazione nella lotta al crimine organizzato”.

Articolo pubblicato anche su America Oggi

 

 

 

 


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