Trattativa Stato-mafia o grande intrigo? Parla Calogero Mannino

La trattativa – o le trattative – tra mafia e Stato. Giovanni Falcone a Paolo Borsellino. Cosa nostra e il 1992. L’azione della Dc nella Sicilia di quegli anni. Il ruolo ancora per certi versi oscuro di Vito Ciancimino. Il maxiproceso di Palermo e le rivelazioni di Tommaso Buscetta. La ‘primavera’ siciliana e il Governo Nicolosi. I retroscena del 41 bis. Il Governo Andreotti. Oscar Luigi Scalfaro e l’eliminazione di Dc e Psi. Giovanni Conso e la revoca di alcuni provvedimenti.

Fatti personaggi e cose rievocati da Calogero Mannino, esponente di primo piano della Dc, più volte ministro della Repubblica, oggi parlamentare nazionale, chiamato in causa dalla magistratura, insieme ad altri esponenti politici di quegli anni, per la trattativa, vera o presunta, tra mafia e Stato.

Una chiacchierata a trecentosessanta gradi su un tema che in questo momento fa molto discutere.

– Il professore Giovanni Fiandaca, giurista eminente, fa un ragionamento. Se non abbiamo capito male, il docente universitario dice che, tra i poteri del Governo, c’è anche quello di revocare certi provvedimenti come, ad esempio, il 41 bis.

“Apprezzo il professore Fiandaca sotto il profilo giuridico – dice Mannino -. Il vero problema, oggi, è lo slittamento dal canone. Mi riferisco, ovviamente, al fatto compiuto con dolo. Fiandaca richiama al vincolo di questo canone. E tuttavia, per quello che mi riguarda, non ho interesse ad approfondre questo argomento. A me preme sottolineare la verità. Ed è quella che riguarda me”.

– Cioè?

“E cioè che non ho mai indotto, meno che mai partecipato e meno ancora sono stato minimamente coinvolto nella trattativa – o nelle trattative – che si sono svolte a cavallo della conclusione, in Cassazone, del maxiprocesso di Palermo e delle stragi del 1992. Per andare oltre sulla trattativa – o sulle trattative – che si sono svolte (perché criterio della ricostruzione storica è l’analisi delle relazioni causa-effetto), va detto che storicamente si sono svolte per colpire, oltre che le vittime gloriose come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e altri ancora – ma ne difetta sempre qualcuno indicato come possibile vittima di progetti omicidiari di Cosa nostra – per colpire, dicevo, me e quello che rappresentavo nella Dc del 1992”.

Si riferisce al ruolo della Dc nella Sicilia degli anni ‘80?

“Vengo al punto fondamentale. Sotto il mio segno politico la Dc siciliana, nei confronti del problema mafia, ha compiuto alcune scelte fondamentali. La prima nel 1983, con il congresso regionale di Agrigento e l’esclusione dal partito di Vito Ciancimino. Non una deliberazione capricciosa e personale, ma il consolidamento della convinzione relativa alla posizione di Ciancimino rispetto a Cosa nostra. La seconda scelta è lo scioglimento degli organi provinciali della Dc di Palermo e della Dc regionale alla fine del 1984. Con la nomina di Sergio Mattarella a commissario del partito a Palermo e provincia e la mia nomina alla guida della Dc siciliana”.

– Prima di arrivare al congresso di Agrigento ci sono, se non ricordiamo male, alcuni passaggi importanti.

“Certo. C’è il convegno antimafia promosso dalla Dc siciliana, preceduto dal convegno della sinistra Dc di Forze Nuove introdotto da una relazione del dottor Rocco Chinnici. All’atto del commissariamento della Dc siciliana un lungo cammino era stato percorso dal gruppo dirigente dell’Isola. Nel discorso introduttivo della mia gestione avevo detto esplicitamente: se i democristiani lottando apertamente sul piano del sostegno ad una vigorosa iniziativa giudiziaria di repressione contro la mafia credono di perdere un punto elettorale, quel punto lo guadagneranno. Si veniva ad infrangerei quel luogo divenuto comune che con la mafia, entro i limiti dei propri confini, si potesse convivere. Questo era il criterio consolidato dal dopoguerra quando la mafia – novella fenice – era risorta dall’apparente repressione radicale compiuta dal prefetto Mori, cioè dal fascismo. Ma nel dopoguerra la mafia era risorta come organizzazione, oltreché come fenomeno sociale, per il ruolo ed i collegamenti che aveva realizzato con lo sbarco degli alleati in Sicilia. Ruolo purtroppo protrattosi in modo oscuro nel tempo. E che, dopo le aggressioni agli uomini della politica e dello Stato – aggressioni che si compendiano nella lunga catena degli assassini di Terranova, Reina, Mattarella, Costa, Mario Francese, Pio La Torre, Dalla Chiesa ed altri ancora – imponeva una risposta. Per dirla in modo ancora più chiaro, la sfida allo Stato rappresentata dalla violenza criminale di Cosa nostra andava affrontata apertamente. La scelta del congresso di Agrigento, la nomina di Mannino al regionale e Mattarella al provinciale della Dc è il modo di avviare a resistenza e la sfida a Cosa nostra”.

– Cosa ricorda di quegli anni?

“Ricordo che Mattarella viene nominato nel novembre del 1984, mentre io accetto il mandato alla fine di dicembre dello stesso anno. La mia nomina diventerà esecutiva l’8 gennaio del 1985. Questa differenza temporale viene determinata da esitazioni che avevo personalmente nei confronti di una simile responsabilità”.

Poi, però, alla fine, accetterà l’incarico.

“Ho superato tali esitazioni da una parte per le sollecitazioni e gli incoraggiamenti che ho ricevuto, in particolare, da un magistrato”.

Il nome di questo magistrato?

“Non ho intenzione di fare il suo nome. Almeno oggi”.

E oltre a questo magistrato chi l’ha incoraggiata?

“Oltre agli incoraggiamenti di questo magistrato c’è stato anche l’impegno morale e politico che i capi delle correnti più importanti della Dc siciliana assumono davanti a me e a Ciriaco De Mita. L’impegno riguarda la lealtà, la certezza, la costanza delle scelte di sostegno al pool antimafia del Tribunale di Palermo”.

– E quindi del sostegno al maxi processo.

“Certamente. Senza mitizzazioni a posteriori, ma anzi per una sicura constatazione storica, il maxiprocesso di Palermo è stata la vera, si potrebbe dire unica operazione antimafia che lo Stato italiano abbia compiuto. Tutte le altre operazioni di polizia giudiziaria successive ne sono soltanto la conseguenza”.

– Allora si diceva che il maxiprocesso colpiva solo una parte della mafia.

“Non è così. Con il maxiprocesso si colpivano tutti, esponenti della vecchia e della nuova mafia, secondo l’ordine delle responsabilità personali e di cosca”-

– Quindi lei non crede che Tommaso Buscetta decide di parlare per colpire i Corleonesi?

“No. Buscetta non ha ridotto o fatto sconti a nessuno, da quello che risulta dagli atti del maxiprocesso. Buscetta non è stato il pilastro esclusivo. Nel senso che delle sue dichiarazioni sono stati fatti esami e verifiche in termini concreti e severi”.

– In quegli anni, in Sicilia, da una parte c’era il maxiprocesso a Cosa nostra, dall’altra parte ci sono state importanti svolte politiche.

“Senza l’impegno della Dc siciliana non ci sarebbe stato il quadro politico per quella svolta chiamata ‘Primavera’.

Si riferisce alla ‘Primavera’ di Leoluca Orlando al Comune di Palermo?

“Mi riferisco alla ‘Primavera’ della Sicilia. Al Governo regionale presieduto da Rino Nicolosi. Sul piano sociale è stata la presa di coscienza, di larga parte della Sicilia, del dovere di contrasto alla mafia e della coerenza degli impegni. Su questo piano, se registriamo concreti risultati oggi, è perché c’è stato quell’inizio”.

– Bene. Gli anni ‘80 volano via. Arriviamo al 1991, al 1992. C’è Stata o no la trattativa tra Stato e mafia?

“A una domanda del genere bisogna rispondere con la conosenza di dati precisi. Ho il dubbio, per esempio, che di trattativa ce ne possa essere stata più di una. L’unico dato certo è quello delle sentenze di Firenze e Caltanissetta”.

– Ovvero?

“Con il Governo presieduto da Ciampi sono stati adottati provvedimenti di revoca del 41 bis. Su questo punto, in giro, si fa parecchia confusione. E allora cominciamo col precisare che il 41 bis per i mafiosi è stato introdotto con un decreto legge dal Governo Andreotti. Che la discussione su tale decreto è andata avanti con l’evidenziazione di un’opposizione della sinistra. Una parte di questa sinistra, poi, ha votato contro. Mentre un’altra parte si è astenuta. La discussione è anche passata per riflessioni giuridico-costituzionali all’interno del gruppo di maggioranza. Poi Dc e Psi – relatore l’onorevole Giuseppe Gargani – hanno votato a favore della conversione in legge del decreto numero 308. Questo avviene il 4 agosto del 1992”.

– Lei che ruolo ha avuto in questo dibattito sul 41 bis?

“Per quello che mi riguarda, all’interno della Dc ho avuto un ruolo di sostegno assoluto nell’introduzione del 41 bis. Ne potrebbe fare fede l’onorevole Gargani se non fosse stato intercettato dalla signora Amurri. Ma ne faranno fede altri”.

– Cosa pensa dell’ex ministro della Giustizia, Giovanni Conso?

“Una grande presona per bene. Un giurista fine. Si è assunto la responsabilità politica degli atti che ha compiuto. Non ha avuto bisogno di appellarsi a corresponsabilità. Sul piano politico, però, un giorno, carte, atti e documenti alla mano, la storiografia si dovrà occupare di Oscar Luigi Scalfaro”.

– In che senso?

“Ci si dovrà occupare della missione politica che Scalfaro ha compiuto: archiviare la Dc e il Psi”.

– Nel corso degli anni lei si è più volte scontrato con Ciancimino. Parliamo degli anni ‘70 del secolo passato, per esempio.

“Del 1971, per l’esattezza. Quando, insieme con Rosario Nicoletti, fummo protagonisti del rovesciamento di Vito Ciancimino, che allora era Sindaco di Palermo”.

– L’ombra di Vito Ciacimino si allunga anche sulla rattativa tra Stato e mafia.

“Per quello che mi riguarda, la parola trattativa non esiste. Esiste, invece, la parola intrigo. Ma questo è un altro discorso”.

Foto di Calogero Mannino di prima pagina tratta da eleutero.it

 

 

 

 

 

 


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