Grasso: su Falcone anche i grandi appalti

Evidentemente, per capire come vanno le cose in Sicilia bisogna aspettare almeno vent’anni. E, infatti, vent’anni dopo, improvvisamente, c’è chi ritrova la memoria e c’è anche chi prova a fare un po’ di analisi politica e giudiziaria. E’ il caso di Piero Grasso, oggi Procuratore nazionale antimafia, per anni magistrato di punta al Tribunale di Palermo dove ha anche ricoperto il ruolo di Procuratore della Repubblica.

In un’intervista al Corriere della Sera Grasso rievoca i giorni bui della primavera e dell’estate del 1992, quando saltavano in aria prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino insieme con le rispettive scorte.“Certamente Falcone, come Borsellino, erano dei nemici da bloccare per quello che potevano continuare a fare – dice Grasso -. Ma l’attentato di Capaci, per le modalità non usuali per ‘cosa ‘ostra’, fu anche un messaggio di tipo terroristico non tanto eversivo quanto conservativo per frenare le spinte che venivano fuori da Tangentopoli contro una politica che era in crisi”.Nelle parole di Grasso, che non è certo l’ultimo arrivato, sulle stragi del 1992 torna ad aleggiare la lugubre stagione di Tangentopoli. Che in Sicilia prenderà il nome di ‘Mafiopoli’, se è vero che i grandi appalti, nella nostra Isola, passavano – e passano ancora oggi – dal ‘vaglio’ di ‘cosa nostra’.

“Per noi – dice sempre il Procuratore nazionale antimafia – è lacerante intuire ma non potere ancora dimostrare che la strategia stragista sia iniziata prima di Capaci e cioè con l’omicidio Lima (Salvo LIma, europarlamentare del,Dc, all’epoca uomo forte di Giulio Andreotti in Sicilia ndr). E’ lì che scatta un segnale per cui lo stesso Falcone mi disse: Adesso puo’ succedere di tutto”. Le considerazioni di Piero Grasso ci riportano a un’inchiesta effettuata tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 dal Ros, il Reparto operativo speciale dei Carabinieri. E’ un’indagine dettagliata che riguarda i grandi appalti in Sicilia. E’ una storia tremenda che è stata seppellita dall’oblìo. Un peccato, perché è uno spaccato interessante dal quale emergono almeno quattro elementi.

Il primo elemento è il ruolo esercitato dalla mafia siciliana. Che decide come, dove e quando debbono essere effettuate le opere pubbliche in Sicilia. Imponendo ‘pizzo’ e, spesso, ditte subappaltatrici. E, naturalmente, stabilendo ‘a tavolino’, chi deve vincere questa e quell’altro appalto.

Il secondo elemento è il numero di uomini politici dell’epoca coinvolti nel vorticoso giro di affari. Sono politici di caratura regionale e nazionale, siciliani e non.

Il terzo elemento è rappresentato dai gruppi imprenditoriali coinvolti. Questo è un dato importante che si lega a doppio filo al quarto elemento di cui ora diremo. Nella Sicilia di quegli anni il ruolo preponderante, in Sicilia, era esercitato da grandi gruppi imprenditoriali nazionali. Con l’eccezione dell’Impresem dell’imprenditore agrigentino, Filippo Salamone (scomparso di recente), gruppo che, proprio alla fine degli anni ’80 era diventato il più importante dell’Isola, buona parte dei grandi appalti veniva gestita o da gruppi nazionali, o da associazioni di imprese nelle quali un gruppo nazionale esercitava il ruolo di mandatario, con accanto gruppi siciliani.

Il quarto elemento era rappresentato dall’enorme – e incontrollato – flusso di denaro pubblico che era stato messo in moto dalla politica dell’epoca. E’ interessante soffermarsi sugli ingenti finanziamenti arrivati in quegli anni nel Sud d’Italia in generale e in Sicilia in particolare. E sulle modalità di gestione di questo impressionante fiume di denaro.

Ricordiamo che nei primi anni ’80 era stata soppressa la vecchia Cassa per il Mezzogiorno. Un colosso che, in termini di progettazione e, in parte, anche di gestione era servito più alle imprese del Nord che al quelle del Sud. Le proteste che accompagnavano, per tutti gli anni ’70, la gestione della vecchia  Cassa per il Mezzogiorno riguardavano il fatto che, spesso, i progetti venivano ‘calati’ dall’alto e non avevano legame alcuno con i territori meridionali.

Con la nuova legge per il Sud – la legge nazionale numero 64 del 1986 per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno – la progettazione delle opere passerà agli enti locali del Sud. Lo stanziamento – per quegli anni – è impressionante: 120 mila miliardi di vecchie lire. Più di metà di questa somma verrà gestita con grandi appalti (l’altra parte verrà erogata come sostegno alle imprese, spesso non meridionali). Ma se la progettazione sarà compito delle regioni del Sud – che in molti casi non erano nemmeno pronte per un compito così complesso – non altrettanto sarà per la gestione. Che invece verrà in buona parte ‘colonizzata’ dai grandi gruppi imprenditoriali del Centro Nord Italia.

In Sicilia la presenza dei grandi gruppi nazionali sarà un fenomeno vistoso e prevalente. Anche perché, nei primi anni ’80, era iniziata la criminalizzazione di alcuni grandi gruppi imprenditoriali siciliani. con particolare riferimento ai Cavalieri del lavoro di Catania. Una criminalizzazione in parte giustificata e in altri casi un po’ forzata. Se non altro perché i gruppi nazionali che li sostituiranno in Sicilia non si comporteranno diversamente da come si comportavano i gruppi siciliani. Anzi. Sia chiaro: i grandi gruppi imprenditoriali del Nord, quando scendevano al Sud, per non avere fastidi non trovavano affatto ‘disdicevole’ accordarsi con la mafia in Sicilia e con altre associazioni criminali in altre regioni del Meridione. Come hanno del resto spiegato nelle motivazioni della sentenza dell’Utri i giudici della Cassazione a proposito di Berlusconi. Ma in quegli anni il fenomeno è più vistoso. Anche perché di soldi pubblici, in Sicilia, ne arrivavano davvero tanti. Oltre alla massa impressionante di miliardi di vecchie lire – svariate migliaia di miliardi di vecchie lire – c’erano fondi regionali, allora copiosi; poi altri fondi nazionali (per esempio, il Fondo investimenti occupazione); e i fondi europei. Nel Rapporto del Ros si parla abbondantemente di questi appalti. Con tanto di nomi e cognomi. Politici, imprenditori, mafiosi: di tutto e di più.

Giovanni Falcone si interessava di grandi appalti in Sicilia quando era già a Roma con l’allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli? La tesi non è improbabile. E di grandi appalti s interessa anche Paolo Borsellino nelle settimane precedenti alla strage di via d’Amelio, dove perderà la vita insieme con uomini e donne della sua scorta. Perché questa indagine è stata archiviata all’indomani della strage di via D’Amelio? Questo è un interrogativo al quale sarebbe opportuno dare una risposta. Ora arrivano le dichiarazioni di Piero Grasso. Che sono molto importanti. Chissà, magari si comincerà a capire qualcosa in più di quegli anni. Anche se ciò, oggi, rischia di avere un valore meramente storico.

“Falcone ucciso per bloccare tangentopoli”



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