Palermo, “sì” a Imu e addizionale Irpef

Qualche ora fa il consiglio comunale di Palermo ha approvato sia il raddoppio dell’addizionale Irpef, sia l’Imu. Quest’ultima è l’imposta che reintroduce l’Ici sulla prima casa. Il 50 per cento dell’Imu andrà allo Stato, mentre il restante 50 per cento andrà a rimpinguare le ‘casse’ del Comune.

Per il Comune di Palermo è una sostanziosa boccata di ossigeno. Che consentirà di riequilibrare il bilancio. Con riferimento al solo bilancio del Comune e non a quello delle società municipalizzate. Di fatto, se il Comune dovesse misurarsi con il cosiddetto bilancio ‘consolidato’ (cioè il bilancio che mette insieme Comune e società collegate allo stesso Comune, il ‘buco’ rimarrebbe immutato, perché le perdite più gross riguardano le municipalizzate e, in particolare, lAmia).

Per i cittadini e per le imprese della città è una bella ‘botta in testa’. Ma era l’unica via d’uscita per un Comune che sembrava ormai avviato verso la dichiarazione di dissesto finanziario.

Il voto del consiglio comunale di Palermo – è una casualità? – è arrivato proprio mentre a Montecitorio il ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, rispondeva a un’interrogazione parlamentare proprio sulla situazione finanziaria del Comune di Palermo, come riferiamo in altra parte del giornale.

Questo giornale, almeno tre settimane fa, ha sollevato il tema del dissesto finanziario del Comune di Palermo, con riferimento alla situazione delle società collegate al Comune. Il tema è complesso ed è legato a scelte politiche e amministrative adottate dalle passate amministrazioni comunali di centrodestra.

Come abbiamo più volte scritto, negli uffici del Comune di Palermo, al 31 dicembre 2001, operavano circa 10 mila dipendenti. Quando Diego Cammarata si è dimesso da sindaco di Palermo – e questo è avvenuto qualche mese fa – tra dipendenti del Comune, dipendenti delle società municipalizzate e altri precari non stabilizzati (il riferimento è ai mille e 800 precari della Gesip) i dipendenti sono diventati circa 19 mila.

Questa cifra, grosso modo, è il frutto di nostri calcoli. Che sono stati confermati dall’Arcivescovo di Palermo, Cardinale Paolo Romeo, in un’intervista pubblicata qualche mese fa dal Giornale di Sicilia. Di questi 19 mila, meno di 10 mila dovrebbero essere gli impiegati che erano già al Comune nel 2001 (dal calcolo vanno tolti coloro i quali, in questi dieci anni, sono andati in pensione). Il resto sono ex precari che, in minima parte, sono stati stabilizzati negli uffici del Comune e, in massima parte, nelle società municipalizzate.

Dalla stabilizzazione sono rimasti fuori solo i mille e 800 precari della Gesip. I quali sono gli unici senza una copertura ‘giuridica’. Per completezza d’informazione, va detto che la stabilizzazione (che non ha riguardato il solo Comune di Palermo, ma, in varia misura, tanti Comuni della Sicilia) è stata effettuata in applicazione di una legge regionale. Un provvedimento che, forse, il parlamento dell’Isola non avrebbe dovuto approvare.

Il costo di 19 mila dipendenti non è semplice da sostenere finanziariamente. Nell’ultimo anno e mezzo l’ex sindaco Cammarata è riuscito a pagare tutti i precari grazie al governo Berlusconi. Che, invece di destinare le risorse del Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate) alla realizzazione di infrastrutture, come prevede la legge, ha utilizzato queste risorse per pagare i precari ‘stabilizzati’ dalla giunta comunale di Palermo.

Tutto questo è avvenuto grazie a quattro cinque interventi finanziari a ‘babbo morto’, cioè a perdere.  Berlusconi interveniva ogni cinque-sei mesi ora con un contributo di 50 milioni di euro, ora con 40 milioni di euro e via. Una follia che si è rivelata solo un grande spreco di risorse pubbliche.  Quando alla guida del governo del nostro Paese si è insediato Mario Monti, Diego Cammarata è sostanzialmente ‘fuggito’, rassegnando precipitosamente le dimissioni, perché ha capito che da Roma non sarebbe più arrivato un euro.

La patata bollente è passata nelle mani del commissario straordinario del Comune di Palermo, Prefetto Silvia Latella. Che, pur in presenza di una situazione finanziaria che definire tragica è poco (nessuno sa a quanto ammonti realmente il deficit del Comune di Palermo: c’è chi, mettendo assieme Comune e Municipalizzate, ipotizza un ‘buco’ di 530 milioni di euro: ma il ‘danno’ potrebbe essere anche maggiore), si è sempre dichiarata contraria alla dichiarazione di dissesto (che, in ogni caso, dovrebbe essere votata dal consiglio comunale).

Così siamo arrivati ai giorni nostri. Con il consiglio comunale che, fino ad oggi, si era sempre rifiutato di approvare il raddoppio dell’addizionale Irpef e l’introduzione dell’Imu. Ma davanti allo sciopero dell’Amia – con la città ammorbata dai rifiuti non raccolti – e davanti alle manifestazioni, ormai giornaliere, dei precari Gesip, l’assemblea di Sala delle Lapidi prima – e cioè ieri – ha approvato un trasferimento di 2 milioni e mezzo di euro dall’Amap (la società che si occupa delle gestione idrica) all’Amia e poi – cioè oggi – ha votato di corsa addizionale Irpef e Imu.

Come mai questa fretta? La domanda non è oziosa. Perché in queste ore – lungo l’asse Roma-Palermo – comincia a circolare l’ipotesi di dissesto finanziario. Tutto questo succede -è un caso anche questo – mentre la Regione si accinge a varare una manovra economica in contrapposizione con le indicazioni di contenimento della spesa formulate dal governo Monti. con il rischio, tutt’altro che remoto, di un’impugnativa.

Insomma: che sta succedendo?
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