Nel girone dantesco dell’Esatri

Mi è spesso capitato di vedere nei vari Tg delle code chilometriche, disumane ed estenuanti per eseguire un pagamento c/o i vari sportelli degli uffici di riscossione dei tributi o anche solo per esibire una ricevuta che attestasse l’avvenuto pagamento di una cartella esattoriale contestata. Ogni volta, ricordo, mi ritrovavo a fare un esame di coscienza per essere sicura di avere pagato tutto e, quindi, avere meno probabilità di ricevere sul collo una tale mannaia. Manzoni avrebbe detto che sono proprio i più onesti a fare per primi, su se stessi, un esame di coscienza per essere sicuri di non aver fatto male.
Esistono, inoltre, dei periodi più disgraziati in cui i Comuni, essendo sempre a corto di denaro, avvertono la necessità di ulteriori trasfusioni, non ematiche ma auree, nelle proprie ‘casse’ e, simili a vampiri assetati, si lanciano sui poveri contribuenti. Allora, mi hanno spiegato, trovano tutte le cartelle possibili in cui non risulti un riscontro di pagamento: ICI, TARSU (avete altre sigle da inventare?…Ah! le multe!) e le danno, in cambio di una percentuale sulla cifra complessiva da esigere, ad un ufficio di riscossione tributi (un ufficio riscossione crediti in grande stile).

A questo punto per i poveri malcapitati comincia una catena di eventi irrefrenabile. Le centinaia di cartelle si trasformano in centinaia di comunicazioni di pagamento che arrivano contemporaneamente a tutti . Infatti, spesso capita anche di trovarsi tra vicini nell’androne del condominio , tutti chiamati contemporaneamente, dallo stesso messo a ricevere cartelle di pagamento.

A quel punto un po’ come si faceva a scuola con le figurine, tutti si scambiano notizie sui pagamenti avvisati: “a me è arrivata una TARSU!… No , non ce l’ho – replica l’altro – io ho due multe! Solo che in questo caso non si possono scambiare (a volte non converrebbe). Dopo questa prima fase, che di solito accade alle 15 (orario di riposo o di fine pasto, giusto per creare un po’ di iperacidità gastrica), si passa alla fase della ricerca delle ricevuta.

Tanto per cominciare, non sempre nelle cartelle è specificato il tipo di tassa dovuta, e anche quando è specificato non è di facile lettura. Comunque, in qualche modo, il contribuente, ormai avvezzo, riesce a capire di cosa si tratta e a quel punto cerca la ricevuta. Ecco : quello è il momento in cui lo studiolo-stanza lettura sembra essere stato attraversato da un uragano nella spasmodica ricerca, che non ammette sconfitta, della ricevuta.

A volte il contribuente riemerge vittorioso dalla ricerca con la bramata ricevuta in mano, come un trofeo da esibire, a volte la ricevuta non si riesce più a trovare. In questo caso la responsabilità viene data in ordine al trasloco (vero o presunto), alla colf (sempre lei!), al tempo (effettivamente molti avvisi di pagamento arrivano dopo 5-6 anni). La verità è che, ancora oggi, non tutti sono abituati a conservare sempre e comunque le ricevute. A volte, semplicemente, il pagamento non è stato effettuato. La delusione è comunque talmente amara che il povero contribuente non riesce neppure a mangiare, perché nel budget di quel mese (lo stipendio o quel che ne rimane con i tempi che corrono), la suddetta spesa cade come un cavolo a merenda. Ma tant’è: dovrà pagare e basta. (nella foto, il futuro dei siciliani immaginato dai gestori delle esattorie).

Ecco, siamo arrivati a nòcciolo della questione. Il contribuente, trionfante se con ricevuta o tapino se con l’avviso di pagamento, si reca presso l’unica sede provinciale dell’ESATRI (in questo caso particolare parleremo della Provincia di Palermo), convinto che, al massimo, in un paio di ore avrà comunque risolto ed evitato gli ultimi strumenti di tortura esattiva (le ganasce fiscali, l’ipoteca sui beni personali), spesso non preavvisati, ma anzi proprio per questo più dannosi.

Appena entrato si trova dinanzi ad una scena che gli porta alla memoria le descrizioni dei gironi danteschi: confusione, anime in pena, esseri che camminano su e giù , alterchi, ma ha la possibilità di visionare anche lo Stige: non appena prende il proprio numeretto, cade nella più profonda disperazione. Soltanto duecentoquaranta utenti per potere arrivare all’agognato pagamento (e siamo ad inizio mattina)!

La prima reazione è di incredulità: quindi si rifà a mente il conto dei “fortunati Pagatori” prima di lui. Non c’è scampo sono proprio duecentoquaranta, anzi duecentoquarantadue. A questo punto inizia la ricerca di una sedia libera per potere riflettere con calma sulla propria sventura e sulle soluzioni: non ce ne sono. Riflessione in piedi: questa volta è arrivata una “intimazione di pagamento”, da espletare in cinque giorni (lavorativi, bontà loro). Non si può pagare con bonifico bancario o con bollettino MAV-RAV all’ufficio postale o alla banca (ormai l’utente conosce tutti i termini e le modalità di pagamento). Questo lo ha confermato anche il commercialista. Si accorge che esiste un numero verde al quale si potrà rivolgere per trovare ogni sorta di spiegazione e conforto, ed essendo mattina, prova a chiamare, per assicurare che vuole solo pagare, purché gli e ne diano il mezzo: il numero è disattivato.

A questo punto, rassegnato a saltare il pranzo (tanto non ha fame), aspetta. Il compagno di sventura accanto a lui gli dice che l’ufficio chiuderà alle 13 e riaprirà per un’ora di pomeriggio, ma con fila personale (senza numeretto): quindi gli toccheranno anche le catene. Sono le nove e vede che vengono chiamati circa 3-4 numeri l’ora. Ovviamente non ce la farà mai. Intanto si ricorda dell’ennesima inchiesta vista in Tv, proprio sul quest’ufficio: la fila per accaparrarsi il numeretto inizia alle cinque del mattino ed anzi, ci sono alcuni che ne prendono più di uno e forse lo rivendono pure. A quel punto sarebbe anche disposto a comprarlo, ‘sto benedetto numeretto, ma dopo l’inchiesta, grazie all’intervento delle forze dell’ordine, non si può più. (“Non mi poteva arrivare un mese fa questo avviso di pagamento?” pensa il malcapitato): è proprio vero , ha cominciato a sragionare!

Non è finita qui. Sempre il solito compagno di girone infernale gli dice che il pagamento è personale, e a quel punto riflette che la cartella è a nome del padre, che è invalido al 100 per cento (non per finta ma sul serio: non si alza neppure dal letto e non capisce più nulla). Con il penultimo residuo di forze si avvicina alla guardia giurata che funge anche da portiere smista-utenti, mezzo di contenzione, elargitore magnanimo di informazioni, visto che anche per l’informazioni il turno è lo stesso che per i pagamenti. La guardia giurata gli conferma che, senza una delega con fotocopia del documento dell’interessato, redatto anche su un normale foglio in bianco, non può pagare (figuriamoci se avesse dovuto riscuotere!), ma comunque di chiedere ulteriori chiarimenti presso gli sportelli appena sarà il suo turno (tra quecentotrentootto persone, visto che intanto è passata un’ora). Tutto questo anche se spiega che il padre è invalido e bla…bla…bla….

Decide allora di farsi una delega (il padre non potrebbe più farla viste le sue condizioni e non può rischiare di perdere il turno); esce e va alla copisteria di fronte per fare una fotocopia del documento di identità del genitore per comprare un foglio bianco.

Lì fa la fotocopia ma trova un’edotta proprietaria della fotocopisteria che gli chiede: “Il foglio bianco le serve per la delega?”, sì, risponde intimidito e complice l’utente; ebbene, aggiunge la proprietaria della fotocopisteria: “Allora le vendo il modulo”. Ma quale modulo se è sufficiente un foglio bianco?, pensa lui, ma a quel punto non gli importa più nulla e acquista il “modulo”. Per fortuna gli chiede solo 10 centesimi (avrebbe pagato qualsiasi cifra).

Con delega alla mano ridiscende nel girone dantesco dei tassati e riesce a trovare una sedia libera. Appena seduto comincia a scambiare qualche parola con un’altra utente: non l’avesse mai fatto! Quella signora gli dice che è già la seconda volta che ritorna senza avere potuto pagare nonostante il turno di due mattine intere. L’orrore del baratro che l’attende gli si spalanca innanzi! Quanti altri giorni dovrà tornare prima di riuscire a pagare? In più ne ho solo tre, di giorni, ancora a disposizione!

Passano le ore. Siamo arrivati alle 12.45: molte persone sono andate via senza aver concluso nulla, nonostante l’attesa. Il nostro amico ed un altro zoccolo duro di utenti (quelli con i numeri più bassi ) attendono speranzosi non si sa di che. I numeri per magia cominciano a scorrere velocemente ed lui si chiede come mai, visto che la sala di attesa è nascosta alla sala sportelli. Riescono ad entrare circa 5 persone per fare un altro turno vicino agli sportelli. Alle 13 precise (ora di chiusura) vede che alcuni degli utenti che erano stati fatti entrare vengono fatti riuscire. Sono, poverini, inviperiti; tra questi vi è la signora, che era già venuta ripetutamente, facendo turni estenuanti perché le hanno chiuso in faccia lo sportello: toccava a lei. L’utente di cui seguiamo la disavventura, nella sua sfortuna, si sente fortunato.

Nei giorni successivi ha riprovato un’altra volta a fare il turno: stessa durata, stesso esito. A quel punto ha parlato con un avvocato di sua fiducia per inviare una lettera all’Esatri per esporre le difficoltà insormontabili che si trova davanti chi chiede semplicemente di pagare e per trovare un’altra soluzione.

Stupefacente: voleva solo…pagare!

Lettera firmata

 

 


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Mi è spesso capitato di vedere nei vari tg delle code chilometriche, disumane ed estenuanti per eseguire un pagamento c/o i vari sportelli degli uffici di riscossione dei tributi o anche solo per esibire una ricevuta che attestasse l’avvenuto pagamento di una cartella esattoriale contestata. Ogni volta, ricordo, mi ritrovavo a fare un esame di coscienza per essere sicura di avere pagato tutto e, quindi, avere meno probabilità di ricevere sul collo una tale mannaia. Manzoni avrebbe detto che sono proprio i più onesti a fare per primi, su se stessi, un esame di coscienza per essere sicuri di non aver fatto male.

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