Il Professor Costa risponde a Linksicilia: “Essere o non essere?…”

Da quando è nato questo giornale si è impegnato a mantenere vivo il dibattito sulla mancata applicazione dello Statuto siciliano. Su LinkSicilia, quasi giornalmente, ci sono articoli che ricordano ai nostri lettori che dell’Autonomia sancita dalla Costituzione, nella regione non c’è traccia. Lo abbiamo fatto insistendo molto su quelli che consideriamo gli articoli strategici dello Statuto, ovvero il 36 e il 37, lo abbiamo fatto intervistando spesso il Professor Massimo Costa, considerato uno dei massimi esperti in tema di Statuto (memorabile il suo manifesto del popolo siciliano).  E ancora, in un recente editoriale  il  nostro direttore si è rivolto proprio al professor  Costa, (dopo un dibattito tra lo stesso Costa e il senatore dell’Udc, Gianpiero D’ALia, sempre su questo giornale)  sottolineando come l’attuale governo siciliano, nonostante sia guidato da un presidente che è anche leader del Movimento per l’autonomia, stia facendo ben poco per lo Statuto (L’Autonomia non si salva in pantofole). Il Professore Costa, gentile e disponibile come sempre, e che ci onora dei suoi commenti e della sua attenzione, oggi risponde. Questo  il suo intervento:

“Mi sono chiesto, in queste ore, perché il Direttore di questo bel giornale mi ha tirato in mezzo così centralmente nella polemica politica regionale di queste settimane. Forse non ha tutti i torti. Io credevo, e un po’ credo tuttora, di non essere affatto importante. Soltanto, da semplice cittadino e studioso, cerco, nei limiti delle mie competenze, di dare un contributo di verità che forse altri dovrebbero dare. Ma, quando i commenti o gli articoli riscuotono un certo successo di pubblico, finisce prima o poi che si viene un po’ strattonati di qua e di là per “scendere in campo”, per arruolarsi in una militanza politica definita.
Eppure, alla fine del 2007, io avevo deciso di non occuparmi mai più di politica partitica in vita mia. Vediamo se quella decisione si è rivelata saggia oppure no. Cerco di spiegarmi meglio, a costo di deludere qualcuno. Io credo in alcune “utopie”, che etimologicamente significano “posti che non ci sono”, come “l’isola che non c’è” di Peter Pan. Perché? Perché voglio arrivarci veramente? No, lo so che l’isola che non c’è, non c’è e basta. Però queste fungono da bussola per orientare i valori ultimi che dovrebbero ispirare le migliori idealità politiche concrete. Come dice Bennato, “chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te”. È pazzo, perché non ha più un valore, non ha più alcun ideale. Ma non divaghiamo troppo. Fra queste utopie ci metto pure quella che ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere. Assistiamo a tecnici che fanno i politici, giornalisti che fanno i camerieri e politici che non si sa bene cosa facciano, presumibilmente i fatti loro.
Eppure non riesco a rinunciare all’idea che il politico non sia per definizione “un delinquente” da “mandare a casa” (e poi chi ci metto al suo posto? me cucinu Totò?); penso che il suo compito sia quello di mediare tra gli interessi degli individui e dei gruppi che gli delegano il loro consenso e quelli della collettività nel suo insieme di cui si assume (anche potenzialmente, per chi fa opposizione) la responsabilità del governo. Il politico deve fare il politico, rispettando le regole del gioco democratico, ma assumendosi ogni responsabilità che da questo consegue.
Il giornalista deve fare il giornalista. Deve illuminare con i suoi riflettori tutti i più riposti meandri del potere, in ogni sua forma. Può e deve avere una propria linea editoriale, ma se non incalza i potenti, è proprio come quel sale evangelico che non è più salato e che, pertanto, si può buttare via senza rimpianti. E gli altri, i cittadini, che devono fare? Mah, partecipare direi, chi più, chi meno attivamente. E nel frattempo fare il loro mestiere. Quello mio è quello di studioso. Non so se lo faccio bene. Posso garantirvi che ci provo. Io sono un economista aziendale e uno storico della ragioneria.

In questo momento sto scandagliando i conti e l’ordinamento finanziario e contabile della Regione dai tempi dell’AMGOT ai giorni nostri. Sto scoprendo cose davvero interessantissime, non solo per gli addetti ai lavori. È un lavoro lento e faticoso. Pensate che sono arrivato al 1959. Penso di fermarmi al 1962 e pubblicare un primo volume quest’anno, altrimenti chissà quando se ne parlerà. Questo è il mio lavoro, per il quale sono pagato. Faccio esami, lezioni, sedute di laurea, consigli di dipartimento e di facoltà, etc. Certe volte vorrei mettermi part-time e fare un po’ di più qualcosa per la mia collettività, ma i bilanci familiari non me lo permettono affatto.
E allora perché “esterno” di tanto in tanto? Perché mi occupo e mi sono occupato di Statuto? Perché sono arrivato alla conclusione, in breve, che qui in Sicilia esiste una situazione di gravissima illegalità costituzionale e di sostanziale sfruttamento coloniale che impedisce a tutti, alla gente normale, di fare il proprio lavoro. Io sarei ben lieto di fare il professore e basta. Non ho nessun prurito politico. Solo che in Sicilia non si può fare bene il professore, né l’imprenditore, né il lavoratore dipendente, né il giornalista, né qualunque altra cosa. Siamo una Terra ancora in stato di minorità. Non siamo un Paese libero. L’impegno politico, o meglio “para”-politico diventa un imperativo morale per chi voglia lasciare a chi verrà dopo di noi qualcosa di meglio rispetto al cumulo di macerie creato da secoli di colonialismo e di baronato, vecchio e nuovo. Così nei ritagli di tempo, avendo avuto la fortuna di sapere, in ragione dei miei studi, qualcosa che i miei concittadini spesso non sanno, la metto a disposizione di tutti, sperando che qualcuno raccolga. E posso dire che i risultati sono andati al di là delle mie aspettative.
Questo mi costringe, molto ma molto malvolentieri, a fare in un certo senso politica. Perché criticare un deputato o un governo quando tradisce gli interessi della Sicilia è politica, altro che … Ma, proprio per evitare di essere strumentalizzati, ho posto un discrimine, al quale cerco di mantenermi fedele. Intanto, per oggetto, io intervengo solo sui temi sui quali mi sento pienamente competente. E questi sono quelli dell’ordinamento costituzionale/statutario dell’Isola, e quello dei “conti” della Regione e degli enti locali, lato sensu intesi. Sulle politiche settoriali posso anche intervenire, ma da privato cittadino. Non sono un esperto di agricoltura o di sanità ed è giusto che chi è più esperto di me intervenga. Lo Statuto per la Sicilia è come avere il trattore per coltivare la terra. Da solo non serve a niente. Certo, finché non c’è non si può pensare di andare avanti col falcetto e la schiena curva. Ma, dopo che c’è, bisogna vedere che macchinario si attacca dietro e come lo si usa. Noi dobbiamo smetterla di invocare giustizieri, liberatori e commissari vari. Ne abbiamo avuti un sacco e una sporta, e si sono sempre rivelati emeriti predoni. Noi dobbiamo accettare la sfida della democrazia e dell’autogoverno e camminare sulle nostre gambe. Non ci piace il conducente del trattore? Assaltiamolo, e prendiamo noi il posto. Non mi piace chi dice che la colpa è del trattore per favorire (sotto banco) il predone che viene da fuori.
E poi, per taglio, diciamo così, dei miei interventi, mi sono riservato solo la politica “istituzionale”, cioè le regole del gioco che dovrebbero essere patrimonio di tutti. Sulla politica partitica, invece, posso anche non sottrarmi a valutazioni di merito, ma queste sono (per me) assolutamente secondarie. In genere me le tengo per me. E di proposito. Perché, se entro nel merito della politica e dei programmi del Sen. D’Alia o del Presidente Lombardo, nei dettagli, nelle scelte di opportunità, a parte il fatto che nessuno mi ha eretto a giudice che deve “esternare” su ogni cosa, è facile essere scambiato per un partigiano, interessato al successo di questa o di quella forza, servo del potere interno o di qualcun altro. E invece, almeno se e finché non scendo personalmente nell’agone politico, questo ruolo non mi compete.
Con ciò non voglio sembrare “neutro”. Se e dove necessario posso parlare di temi che non siano puramente formali. E, se vogliamo entrarci, il mio giudizio complessivo, storico direi, sull’esperienza Lombardo non è così tranchant come quella del Direttore di questo giornale. Si può avere idee diverse, no? Non credo che sia il peggiore Presidente dal 1985, anche perché, sebbene non privo di migliori qualità umane, l’immediato predecessore è quello che – a mio modesto avviso – ha fatto più danno che tutti gli altri esecutivi messi insieme. Alessi fu un grande Presidente, e così pure forse D’Angelo, o Mattarella o Nicolosi. Ma, nonostante fossero tutti democristiani, la DC in quanto tale (dalla quale invero viene lo stesso Lombardo, così come Cuffaro) porta una responsabilità gravissima nel degrado di questa terra.

Ci vuole davvero molto coraggio a presentarsi oggi all’elettorato come democristiani dopo tutto quello che è successo ai nostri danni. Avessimo avuto al potere un partito nazionalista siciliano le cose sarebbero certamente andate in modo diverso e oggi conosceremmo un’altra Sicilia. Ma i Siciliani così hanno voluto e così sia. Con ciò non significa che io sia un “cortigiano” di Lombardo. L’ho criticato tante, tantissime volte, qualche volta anche in modo molto aspro e forse per questo “non facciamo pane”. Cito una cosa secondaria, di proposito: il Ponte sullo Stretto, ostinazione degna di miglior causa, che marginalizza al fondo dello Stivale la Sicilia anziché centralizzarla. Potrei citare, a contrario, sempre per restare nelle “inezie”, la legge sull’introduzione della storia, lingua e letteratura siciliana nelle scuole, iniziativa in sé assai meritoria, anche se portata avanti in maniera troppo timida e incerta. Ma il punto non è questo, non importa. Non è il mio mestiere entrare in queste polemiche. Anche perché nel valzer delle responsabilità non si capisce mai dove finiscano quelle dell’esecutivo e comincino quelle di una maggioranza assembleare riottosa, contraddittoria, gattopardesca, ribaltonista (e qui ne avrei proprio per tutti).
Su una cosa però – lasciatemelo dire – sono perfettamente d’accordo con il Direttore. Nessuno ha il “monopolio” dell’Autonomia. Né basta mettere il nome nella “ragione sociale”. L’Autonomia non è di un partito, e nemmeno dei partiti in quanto tali. Essa è dei Siciliani e basta. In Catalogna, e di fatto ora pure in Scozia, o nelle due regioni del Belgio, tutti i partiti (o quasi) sono regionalizzati e autonomisti. E questa è un’altra mia utopia. Oggi in Sicilia sono tutti autonomisti … nei partiti italiani. È la teoria di Alessi, buonanima, che però è stata confutata dalla storia. E quando dico tutti, devo metterci anche l’MPA. È forse un partito “siciliano”? Tutt’al più “semi-italiano” con la testa in Sicilia. Certo è un passettino avanti, ma … Noi abbiamo bisogno di partiti siciliani, di sinistra, di destra e di centro. E abbiamo bisogno di sindacati siciliani. Tanto prima o poi nasceranno dal basso comunque, visto che la rappresentatività delle cosiddette forze nazionali ormai è prossima allo zero. Chi l’ha detto che l’Autonomia è “di Lombardo”? Io no di certo. Poi non è detto che, quando ci sarà un partito siciliano, sarà quello giusto. L’ultima volta abbiamo avuto “Nuova Sicilia” di Bartolo Pellegrino, e, con tutto il rispetto, … Comunque ognuno si scelga il suo.
Tutto quanto ho detto sinora si giustifica con la natura “dopolavoristica” del mio impegno politico. Difendo, come posso, con lo scritto e con la parola, la Sicilia, le sue istituzioni, il suo Statuto, la sua economia, ma non intendo schierarmi. Certo, se mi “togliessi le pantofole”, per riprendere l’allegoria del Direttore, allora … Ma perché dovrei farlo? Cinque anni fa mi sono candidato sindaco a Palermo. In quell’occasione ho scoperto che la carriera politica non fa per me, proprio da un punto di vista di carattere e sistema nervoso. Per me è una tortura non studiare e andare in giro a chiedere il voto. Mi sembra di chiedere soldi alla gente. Mi sono sentito un accattone. E comunque i miei concittadini mi hanno chiaramente invitato ad occuparmi dei miei studi. E rispetto la loro indicazione. Credo di aver servito più utilmente la mia terra in questi cinque anni che allora. Alla fin fine dove c’è scritto che devo fare tutto io?
E così intendo continuare, facendomi ospitare da chi ci sta. Certo, la libertà si paga. Non ho mai ricevuto un incarico di consulenza retribuita dal “potere”. Continuamente mi faccio nemici, perché mi sento dire, velatamente o espressamente, “chi non è con me è contro di me”. Ma ho la libertà nel sangue. Non ce la faccio, non ce la faccio proprio a diventare intellettuale “organico”. Sarà un vizio di famiglia. Mio padre, per non farsi la tessera di uno dei partiti del pentapartito, rimase per trent’anni “quadro” all’ENEL, dopo aver fatto una carriera fulminea da giovane a partire dal manovalato. Mio nonno ci lasciò la pelle per non farsi la tessera del PNF. Io sono più fortunato. Tutt’al più qualcuno mi manda a quel paese e sono costretto a vivere in relativa modestia, senza poter dare alla mia Terra quello che sarei in grado di dare (e scusate, ogni tanto, un po’ di millanteria).
Grazie a tutti per l’attenzione”.

Professor Massimo Costa


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Da quando è nato questo giornale si è impegnato a mantenere vivo il dibattito sulla mancata applicazione dello statuto siciliano. Su linksicilia, quasi giornalmente, ci sono articoli che ricordano ai nostri lettori che dell'autonomia sancita dalla costituzione, nella regione non c'è traccia. Lo abbiamo fatto insistendo molto su quelli che consideriamo gli articoli strategici dello statuto, ovvero il 36 e il 37, lo abbiamo fatto intervistando spesso il professor massimo costa, considerato uno dei massimi esperti in tema di statuto (memorabile il suo manifesto del popolo siciliano). E ancora, in un recente editoriale  il  nostro direttore si è rivolto proprio al professor  costa, (dopo un dibattito tra lo stesso costa e il senatore dell'udc, gianpiero d'alia, sempre su questo giornale)  sottolineando come l'attuale governo siciliano, nonostante sia guidato da un presidente che è anche leader del movimento per l'autonomia, stia facendo ben poco per lo statuto (l'autonomia non si salva in pantofole). Il professore costa, gentile e disponibile come sempre, e che ci onora dei suoi commenti e della sua attenzione, oggi risponde. Questo  il suo intervento:

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