Il petrolio estratto in Sicilia? Regalato…

Immaginate un self service per il carburante dove si prende direttamente l’erogatore, si versa nel serbatoio dell’auto tutta la benzina che si vuole e poi si vai alla cassa automatica per digitare la quantità di carburante presa, pagare l’importo che ti viene indicato e andare via. Cosa accadrebbe? Che molti (se non tutti), dovendo pagare solo quello che loro stessi digitano senz’alcun controllo, farebbero il pieno pagando 5 oppure 10 euro. Sarebbe una follia concepire un self service così, vero? Troppi furbi in giro e tantissimi altri che non lo sono presto lo diverebbero.
Ebbene quello che a noi comuni mortali non è concesso lo Stato italiano e la Regione siciliana lo concedono alle compagnie petrolifere.
Negli ultimi anni, infatti abbiamo visto un fioccare di richieste di “prospezione e ricerca” di idrocarburi per tutto il territorio siciliano e in tutta la parte di mare prospiciente la costa meridionale dell’Isola. Si sono sollevate contro associazioni ambientaliste e qualche politico contro quella che sembrava un assalto alle bellezze naturali della Sicilia.
Ma, ambiente a parte, quali sono le vere cause di questo ‘assalto alla diligenza’ da parte delle compagnie petrolifere di tutto il mondo?
In Italia le Royalties sul petrolio (le aliquote che le compagnie devono pagare allo Stato sul quantitativo estratto di petrolio) sono tra le più basse del mondo: il 10 per cento per i giacimenti in terraferma, il 4 per cento offshore, contro una media delle aliquote applicate negli altri Paesi del mondo che oscilla tra il 20 e l’80 per cento. In Sicilia nonostante che, per la sola terraferma, la competenza normativa e amministrativa è completamente autonoma (grazie allo Statuto speciale della nostra Regione), le aliquote sono le stesse di quelle stabilite dallo Stato. Non solo: come nel resto d’Italia, per ogni singola concessione c’è una franchigia annua per le prime 20 mila tonnellate in terraferma (50 mila offshore). Questo assai generoso sistema di contribuzione ha fatto sì che in Sicilia, a fronte di 974 mila tonnellate di petrolio estratto, sono state pagate royalties per soli 19 milioni di euro (dati ricavati dal “Rapporto energia 2011” – Assessorato Regionale dell’Energia). Per rendere evidenti le dimensioni delle condizioni di favore fatte alle “bisognose” compagnie, tenete presente che per 100 litri di benzina, ognuno di noi, tra imposte ed accise, paga circa 100 euro allo Stato, mentre le compagnie petrolifere pagano soltanto 1,95 euro per ogni quintale di petrolio! Ma non è tutto qui.
La compagnia è l’unica responsabile della corretta misurazione delle quantità prodotte comunicate mensilmente all’URIG (Ufficio Regionale per gli Idrocarburi e la Geotermia). E gli accertamenti? Solo una facoltà dell’URIG. Nessun sistema “tecnico” è previsto o indicato per la rilevazione automatica della produzione di greggio. E’ quanto sancito nel “Disciplinare tipo per i permessi di prospezione, ricerca e per le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio della Regione siciliana, approvato con il Decreto dell’assessorato regionale Industria del 30 ottobre 2003 e, su questo punto, da allora mai modificato.
Pare persino ovvia la considerazione che le compagnie petrolifere abbiano tutto l’interesse a dichiarare produzioni inferiori alla realtà per non pagare le royalties e che l’estrema discrezionalità negli accertamenti lascia adito a gravi sospetti di probabili “oliature” nel sistema dei controlli.

Ma la domanda da porsi è: a fronte dei guasti ambientali e paesaggistici quali vantaggi produce alla collettività l’estrazione del petrolio in Sicilia?

 

 


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