Palermo: destra già sconfitta? Insomma…

Le alterne vicende, gli stop and go, le polemiche interne al cosiddetto schieramento del centrosinistra e che si sono succedute per diversi mesi richiedono un’analisi il più possibile lucida sul prevedibile risultato delle elezioni amministrative di Palermo. Presi infatti dall’esaltazione di questo o di quel candidato a sindaco e nella ricerca di ogni utile strategia per contrastare l’ombra lunga del governatore Lombardo, tutti i soggetti dello schieramento hanno troppo a lungo trascurato di stimolare al proprio interno e nei confronti dell’elettorato più determinante che esista, quello degli indecisi, ogni utile dibattito volto a definire per la Città un programma che tenesse conto di due principali elementi: il modello di sviluppo per i prossimi cinque/dieci anni e il percorso politico amministrativo volto a realizzare tale modello progressivamente.
Unitamente a ciò, l’analisi dell’avversario, il centro destra comunque definito, è apparsa sommaria e assolutamente superficiale, confidando in modo velleitario nella certezza che i cittadini, amareggiati e delusi dal lungo inverno della stagione di Diego Cammarata, siano pronti a votare in massa per lo schieramento che, tradizionalmente, gli si è – anche se non sempre chiaramente – opposto.Tali elementi, che continuano ad essere colpevolmente trascurati, stanno rivelando un’immagine del centrosinistra palermitano che non appare affidabile se non a quanti quotidianamente ed a diversi livelli vi militano.

Palermo è una città profondamente restia al cambiamento, poiché non essendo animata da fermenti imprenditoriali sani o da forti connessioni culturali (Capitale del Mediterraneo sic!) con il resto del mondo è, da sempre, restia a convincere se stessa che le nuove idee possano cambiare il proprio destino. Lo affermava già Leonardo Sciascia che, intervistato da Marcelle Padovani, asseriva con profonda convinzione che “i siciliani non possono cambiare perché non credono che le idee possano modificare il mondo” (“La Sicilia come metafora”).
In realtà, le uniche occasioni attraverso le quali a Palermo si è desiderato cambiare sono state trainate dall’antinomia mafia-antimafia che, per quanto legittima e dovuta, non ha mai lasciato spazi di riflessione su altre scelte altrettanto vitali per il futuro di una comunità.

E’ un po’ come se l’impegno antimafia e a vantaggio della legalità abbia messo in ombra altre scelte che, pure, sono oggi in ogni parte del mondo all’origine del declino o dell’ascesa di Paesi o di regioni o zone di essi. Poiché l’appannaggio della legalità non è di destra o di sinistra – come dimostrano le vicende giudiziarie concluse o in itinere a carico di esponenti di entrambi gli schieramenti – ritenere che rivendicare tale specificità conferisca da sola la differenza che gli elettori sapranno apprezzare e premiare è velleitario e illusorio e trova spazio solo all’interno di eventi ben circoscritti cui in realtà la maggior parte della cittadinanza non partecipa per mille motivi e non sempre e non certo dettati da complicità, da collateralismo o da “concorso esterno” con le organizzazioni criminali.
Peraltro, va ricordato che Palermo non si è mai data una classe dirigente dichiaratamente di sinistra semplicemente perché non è una città di sinistra. La consapevolezza di tanto amaro destino ha portato in passato il PCI a scambiare quote di eticità con porzioni di potere o di sottogoverno, come più volte denunciato da Pio La Torre, sino al punto da essere ritenuto un ostacolo da rimuovere. In anni recenti ma non troppo – in fin dei conti il 1992 è ormai distante da 20 anni e una o due nuova generazione di votanti non ne hanno vissuto lo spirito – sull’onda delle stragi di mafia, degli omicidi di Stato e del più ampio clima creato da “mani pulite” e dal crollo della “Prima Repubblica”, il PCI riuscì ad aggregarsi, con una lista dal nome diverso dal proprio, ad un candidato sindaco che, pur non essendo neanche lontanamente riconducibile alla tradizione della sinistra marxista, gli consentisse tuttavia di aprirgli la strada del progressivo governo della città. Allo stesso modo in anni recenti, dopo il collasso dell’esperienza politica e umana di Salvatore Cuffaro, il principale partito dello schieramento “progressista” ha preferito nascondersi dietro il trasformismo di Raffaele Lombardo, se non addirittura ispirandolo, per cercare di governare, ad ogni costo, seppur per interposta persona.
Fa sorridere il vanto di aver sconfitto il Berlusconismo del 61 a 0, sostenendo un presidente della Regione eletto dal centro destra e autore di uno dei più memorabili tradimenti elettorali nella storia politica italiana. Fa piangere, piuttosto, l’aver sostituito il cuffarismo, rozzo e incolto, con il lombardismo, astuto e calcolatore, al di sotto di ogni soglia etica e autore delle più spregiudicate doppiezze politiche nazionali e regionali che si siano mai viste. Davanti a tale scenario, l’illusione che l’elettorato che votò dieci anni fa per Cammarata/Berlusconi sia disponibile sul mercato elettorale, presenta la stessa ingenuità di chi crede che il proprio fornaio gli dia il pane o il macellaio la carne, per spirito di solidarietà o per alto senso di filantropia.
A tutt’oggi Palermo è saldamente in mano al centro destra sia perché esso, governando, ha comunque distribuito risorse e posti – clientelari e precari quanto si vuole, ma concreti – a migliaia di persone e di famiglie, sia perché il capoluogo, in particolare, ha fornito e fornisce la maggior parte della burocrazia media e alta dell’ARS, della Regione, della Provincia e del Comune stesso, con l’effetto determinante di sostenere i (residui) consumi della città che permettono ancora di differire (Forconi a parte) la rivolta sociale e l’assalto ai ‘Palazzi’ del potere per fame.Chi si illude che il centro destra si appresti ad una campagna elettorale gravata dall’esperienza Cammarata non conosce bene la politica.

Il centro destra, che ha già provveduto a farne impallidire l’immagine accelerandone le dimissioni, se lo sta rapidamente scrollando di dosso e ne farà presto un agnello sacrificale su cui scaricare tutta le colpe. Di contro, provvederà a schierare nelle variegate liste di supporto fior di professionisti (non si sottovalutino i medici), di dirigenti pubblici, di commercianti e di imprenditori (alla siciliana, ma pur sempre in grado di controllare ampie sezioni di consenso) e quasi certamente onesti e presentabili, mantenendo intatto il legame con quei luoghi della città dove siedono gli esponenti dei poteri determinanti in una ‘Capitale’ come Palermo. Luoghi dove molti dei candidati, anche ‘autorevoli’, del centro sinistra non potranno mai accedere per assenza di quei legami che, oltre ogni schieramento politico, si creano frequentando le stesse scuole d’elite, essendo soci degli stessi sodalizi esclusivi, trascorrendo insieme vacanze di tono e settimane bianche, o discutendo di quali siano le più prestigiose università europee o statunitensi dove mandare a studiare i propri figli o nipoti.
Allo stesso tempo gli strati più popolari, costantemente tenuti sulla corda da promesse, che pur razionalmente impossibili da mantenere, suscitano ancora un notevole fascino basato sulle esperienze del passato (leggi ‘stabilizzazioni’ nella pubblica amministrazione promesse e almeno sino allo scorso anno mantenute) non possono essere certo considerate fedeli ‘truppe’ pronte a marciare verso il sole dell’avvenire. In molte famiglie il bisogno è tale da superare ogni altra aspirazione al miglioramento (è una legge dell’essere umano sotto ogni latitudine) o a concepire bisogni più evoluti. Sto parlando di povertà, miseria, malattie proprie o dei familiari, di carico di uno o più figli, disoccupati ma con prole, su un’unica pensione di vecchiaia o di inabilità. Sto parlando di famiglie con enormi problemi materiali e, al tempo stesso, culturali presso cui si registrano abusi su minori, transazioni illecite con i mondi della prostituzione minorile e della pedofilia, della droga (un tempo era il contrabbando delle sigarette), del fiancheggiamento alla mafia, se non dell’esplicita fornitura di giovani leve, sovente considerata una strada di riscatto dalla condizione di indigenza materiale e di minorità sociale.
A questi strati della popolazione il centro destra si mostra, inoltre, con il volto dell’assistenzialismo del mondo cattolico che, a livello istituzionale, certamente non potrà mai manifestare simpatie per SEL, per i Verdi o per la stessa Italia dei Valori (per quanto lontanissima in termine culturali da entrambi i predetti soggetti) , considerati come partiti inaffidabili sul piano della cultura di governo e da contrastare in ogni modo a motivo delle esplicite posizioni circa le questioni etiche quali aborto, eutanasia ed altre forme di autodeterminazione, unioni civili, matrimoni omosessuali ecc. Non sarà certo come nel ’48, quando i parroci fecero campagna elettorale dei pulpiti, ma non vi è dubbio che assistenti ed assistiti saranno più propensi verso candidati di centro destra, percepiti in modo meno geometrico ma più confessionale e, soprattutto, più concretamente ‘prossimi’.
Si guardi infine allo scenario governativo nazionale. Esso ha inaugurato l’ultima fase, paradossalmente la più credibile ed auspicata, della rivoluzione liberale in Italia e
, forte del proprio ruolo di garante nei confronti dell’Europa, anzi di neo stimato componente della troika della sobrietà e del rigore circa la spesa pubblica, abolirà ciò che resta del welfare basato sul debito pubblico e sui trasferimenti senza controllo di ingenti somme al Centro Sud, costringendo oltre metà degli abitanti del Paese a crescere con le proprie gambe, per fame e non per scelta, o ad emigrare come nei primi anni del secolo o nel secondo dopoguerra. E ciò riguarderà non solo la componente giovanile (si fa per dire visto che si parla di trentenni e oltre), ma anche la generazione dei quaranta/cinquantenni espulsi dall’asfittico mercato del lavoro locale o dalla soppressione delle ex Municipalizzate e delle società a partecipazione pubblica che hanno sempre funzionato da ammortizzatori sociali e vasta riserva elettorale per ogni schieramento.

Inoltre, riconducendo a torto a o ragione il Sindacato nel suo alveo originale di controparte piuttosto che di interlocutore istituzionale e sopprimendone l’anima ideale, ridicolizzando l’importanza dell’articolo 18 e ironizzando – ribadisco a torto o a ragione – sul posto “fisso”, modificherà la struttura del lavoro per come l’abbiamo conosciuta nel XX secolo, demolendo un altro caposaldo della cultura/prassi della sinistra. Mi pare a questo punto naturale chiedere ai miei consueti e pazienti venticinque lettori: pensate che davanti a tale quadro si vorranno consegnare le chiavi della città ad un centro sinistra il cui leader sarà l’esito di faide interne e di vendette incrociate nascoste dal manto pietoso delle primarie? Un “leader” promosso tale per designazione di segreterie contraddittorie e spaccate al proprio interno? Un giovane tribuno che crede che i palermitani stiano spasimando per avere pannelli solari su un tetto che, probabilmente, neanche possiedono? O un altro, già ben garantito dalle pur residue prebende di deputato regionale, che spera di illudere chi vuole essere illuso che Palazzo delle Aquile sia Palazzo Vecchio o Palazzo Marino, dimenticando che nelle piazze su cui quei palazzi prospettano si combatté strada per strada durante la Resistenza, piuttosto che affidare alla mafia di Giuseppe “Genco” Russo i paesi ‘liberati’ senza colpo ferire dai soldati americani sbarcati in Sicilia? Un candidato che illudendosi di aver vinto nel cortile di casa ne confonderà il perimetro con quello della piazza principale della città? Un miope cui sembrerà che il consenso delle primarie del centrosinistra abbia qualcosa a che vedere con il 51 per cento del totale degli elettori della città d’Italia quinta per dimensioni e tra le ultime per vivibilità e prodotto interno?

Non è difficile comprendere allora che Palermo non vedrà alcun successore di Cammarata che non sia l’epitome di un tardo berlusconismo in salsa ‘responsabile’, magari più presentabile e meno disarmante a motivo dei propri limiti umani e politici, persino più simpatico ed efficiente, certamente inattaccabile sul piano culturale, su quello del rango e dell’ onestà – di cui, ripeto, nessun partito può vantarsi di essere l’unico portabandiera – ma, indubbiamente in grado di assicurare una continuità che Palermo non ha mai perso nel suo storico e inestinguibile rapporto tra protetto e protettore e che persino nell’ormai mitizzato ‘93 risorse, dopo lo spazio di un mattino, passando in sei mesi (dico sei mesi e non sei anni) dall’ubriacatura del 75 per cento dei consensi dati ad solo uomo, all’azzeramento di quello stesso consenso, preferendo ad Antonino Caponnetto un ex squadrista, schedato come tale, dalla Questura.
Solo eventi imprevedibili – quelli che gli esperti di cambiamento chiamano steps change, cioè forti traumi di discontinuità reale – possono ribaltare questo stato delle cose. Eventi ed uomini eccezionali che forse questa Città non ha più saputo meritare e generare e che occorrerà già ora individuare rapidamente e far crescere, proteggendoli come rare orchidee, coltivandoli nel segreto delle coscienze, aiutandoli a non scambiare la gioventù per onnipotenza e preparandoli a governare una Città che – in un’Italia e in una Sicilia che oggi stentiamo a ‘disegnare’ ma non certo ad immaginare – non sarà quella alle cui urne ci recheremo, esausti e disillusi, la prossima primavera.

 


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