Rubrica/New York New York-I mali antichi della partitocrazia

Osservo la politica italiana dagli Stati Uniti ormai da vent’anni e la mia idea fissa, senza possibilitá né buone ragioni per cambiarla è questa: il Belpaese, da tanto tempo ormai, ha venduto anima e corpo ai suoi partiti che l’hanno tenuta in ostaggio finché l’avvento di una rivoluzione tecnologica dagli effetti epocali non l’ha finalmente liberata.
’Partitocrazia’ é una parola che ricordo urlata da Marco Pannella durante le Tribune Politiche di Ugo Zatterin, ma ero allora ancora troppo ’piccolo’ e ’provinciale’ per capire quanto in Italia comandassero i partiti. Mi sembrava tutto normale perché sentivo ripetere, a cantilena, che l’Italia era una democrazia che poteva funzionare solo attraverso i partiti e bla bla bla…Appena arrivai negli Stati Uniti mi bastarono pochissimi mesi per vedere tutto messo a fuoco.
Ebbi la fortuna di arrivare quando erano iniziate le primarie per le elezioni presidenziali del ’92, quelle in cui uno sconosciuto governatore dello Stato più povero dell’Unione finì per togliere il posto alla Casa Bianca al Presidente che aveva appena vinto una Guerra in meno di un mese… (allarme rosso per Obama, tentato dall’Iran, pensi a Mitt Romney con ‘it’s theeconomy, stupid!”).
Allora fu impressionante assistere a tutti quegli americani impegnati nelle campagne elettorali, non solo per le presidenziali, ma anche per le contemporanee elezioni del Congresso, militanti e generosi, che lavoravano volontari per la campagna del loro candidato. Chissà quale ’posto’ il partito aveva pronto per loro. Poi invece a elezioni finite, il 99% di loro tornava alle loro occupazioni nelle università e nel business e anche quelle sedi con depliant elettorali e poster del candidato venivano in fretta smontate e nello stesso posto ci vedevi aperto a tempo di record un altro business anni luce lontano dalla politica. I partiti di colpo tornavano fantasmi innocui.
In Italia invece strade e piazze delle sedi dei partiti, pensate alle storiche Botteghe Oscure e Piazza del Gesú, così come quelle odierne anche se con meno fascino, emanano lo stesso potere nell’accompagnare i titoloni dei giornaloni… Già, tutte le sedi dei partiti italiani, da quelle romane a quelle del più sperduto paesino, devono restare ben riconoscibili al cittadino 360 giorni l’anno.
Parliamo di partiti, argomento tanto noioso quanto indispensabile per comprendere l’Italia, perché ieri leggevo sull’Ansa alcuni stralci del discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lezione che ha tenuto all’Universitá di Bologna mentre gli veniva conferita una laurea honoris causa in scienze politiche. Napolitano ci dice quindi che i partiti hanno tante pecche da correggere e devono rinnovarsi profondamente, ma aggiunge che non devono essere ’demonizzati’, perché sono essenziali alla democrazia. Cioè non sono diavoli ma angeli che sbagliano. Il Capo di Stato consiglia ai partiti di dimostrare ai cittadini la volontà di rinnovarsi affrontando nei prossimi mesi le riforme più urgenti: quelle costituzionali, la legge elettorale, i regolamenti parlamentari.
Il nostro caro vecchio Presidente sembra andare giù duro, elencando le ragioni della crisi dei partiti e della perdita di fiducia da parte dei cittadini. Troppo distacco della politica dalla cultura, da una visione ideale, colpevole di non aver tentanto neanche di affrontare i problemi posti dalla globalizzazione e dalle speculazioni finanziarie. I partiti quindi sono considerati oggi inefficaci, poco persuasivi, non inclusivi e, sempre secondo Napolitano, sconterebbero anche l’incapacità di prospettare alternative alle politiche di spesa che finora hanno garantito benessere.
Ed ecco che dopo la tiratina d’orecchie ai partiti discoli che non hanno fatto bene i compiti, il Presidente ricorda che è per questo adesso abbiamo un governo senza rappresentati eletti, ma che in fondo, sebbene i partiti possano attraversare “periodi di involuzione e di decadenza, perdendo il senso del limite”, il loro ruolo nella politica è insostituibile. Insomma, si chiamano in causa i celebri partiti ’cinghia di trasmissione’ della democrazia rappresentativa.
Però qui ci sembra che Napolitano, nel criticare giustamente i peccati dei partiti italiani, manchi il loro peccato più grave: quella di aver instaurato una ’partitocrazia’ con l’occupazione permanente e asfissiante dello Stato e della società italiana.
Già, per far carriera in un ospedale, alla Rai o in una banca, senza tessera in tasca o senza essere semplicemente ’a disposizione’ diventa impossibile. Napolitano nel criticarli ci dice invece che i partiti sono poco persuasivi e ’non inclusivi’? Semmai il contrario. Per decenni, nella Prima come nella ‘vai a capire come chiamarla Repubblica’, i partiti sono stati fin troppo bravi a persuadere gli italiani e fargli accettare la loro ’inclusività totalizzante’ della società Italiana. Con le giuste ’entrate’ nei partiti, si poteva arrivare a quel permesso necessario alla sopravvivenza di una azienda, come a far trovare al nipote finalmente l’agognato posto ’alle poste’ o ’in ferrovia’.
Che farne allora di questi partiti? Basterebbe metterli tutti in cura dimagrante, ’snelli’ e finalmente più ’flessibili’, all’americana, dove gli elettori sono registrati come ’repubblicani’ o ’democratici’ (o rimanere ’indipendenti’) ma nessuno mai si ’iscrive’ al partito. Il cittadino non prende tessere… Cioè il partito sí come ’cinghia di trasmissione’ tra elettori e candidati, ma fuori dalle competizioni elettorali o dal coordinamento dei suoi eletti al Congresso e nelle varie assemblee statali, i partiti qui spariscono dalla ’gestione’ della società.
E allora in questa occasione ci delude doppiamente il caro vecchio Presidente – che visto da qui resta comunque un gigante della politica e salvatore della patria italica dato che è riuscito nel miracolo di ’togliere’ il timone al capitan Berluschettino e salvare la nave Italia da un naufragio certo – quando poi ammonisce, nel discorso di Bologna, che “non si prenda l’abbaglio” di pensare che internet, con la sua capacitá di aggregazione e di manifestazione di consensi e dissensi, possa sostituire i partiti. Sottolinea Napolitano: “la sola strada che resta aperta è quella dell’auto-rinnovarsi dei partiti. Questo vorrei dire soprattutto ai giovani: tra il rifiutare i partiti e il rifiutare la politica, l’estraniarsi, con disgusto dalla politica, il passo non é lungo, ed è fatale, perché conduce alla fine della democrazia e quindi della libertà. Dei partiti, come della politica, bisogna avere una visione non demoniaca, ma razionale e realistica”.
Ma di quali partiti parla il Presidente? Quelli che si sono fatti la legge ’porcata’ in modo che fossero loro a scegliere chi far andare in Parlamento e non i cittadini? E non sono ’segni del demonio’ questi? Se gli italiani adesso cominciano finalmente ad averne le scatole piene è proprio grazie a internet, perché quei ’demoni’ della partitocrazia avevano in tasca da sempre, in perfetta lottizzazione, anche le redazione dei grandi e piccoli giornali d’Italia.
A Bologna Napolitano ha poi concluso il proprio discorso che i partiti devono abbandonare i comportamenti e le posizioni acquisite che hanno suscitato “reazioni di rifiuto devastanti”,devono restituire ai cittadini elettori la possibilità di scegliere i loro rappresentati nelle istituzioni e devono selezionare i candidati a rappresentarli nelle istituzioni fra coloro che hanno “i necessari titoli di trasparenza e morale e competenza”.
Bravo Presidente, ma qualcuno dei suoi consiglieri un po’ più tecnologicamente preparato avrebbe dovuto farle capire come nel mondo, così come in Italia, la rete abbia cambiato la partecipazione dei cittadini alla politica, senza dare più scampo a quei politici corrotti finalmente più controllati nel loro operato. Perché la libertà di informazione nel web anche in Italia è in grado di smontare il regime partitocratico. Solo allora, caro Presidente Napolitano, avremo finalmente dei partiti veri e non più ’demoni’ della lottizzazione.

 

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