I ‘Forconi’ di Sicilia raccontati agli Usa

Questo articolo esce contemporaneamente su Oggi 7 di America Oggi

Mentre scriviamo stanno ancora decidendo se dare il via all’occupazione dei circa 400 Comuni dell’Isola. Un messaggio forte che il Movimento dei Forconi siciliani lancia alla politica italiana. E, in particolare, al ‘governo delle banche’ presieduto da Mario Monti. Non è facile spiegare ai lettori americani quello che sta succedendo in Sicilia. Se volete saperne di più – magari per conoscere quello che è successo negli ultimi venti giorni – vi consigliamo di collegarvi con il quotidiano on line Link Sicilia (Indirizzo: www.linksicilia.it), diretto da chi sta scrivendo per voi da un’Isola di oltre 5 milioni di abitanti oggi in profonda crisi.
Ovviamente, la crisi è in una fase iniziale. Soffrono tutti, ma soffrono di più tre categorie: gli agricoltori, i pescatori, gli autotrasportatori. Nasce da questi lavoratori la ribellione. Ora cercheremo di spiegare quello che sta succedendo.
La categoria più colpita è quella degli agricoltori. In Sicilia, grazie alla riforma agraria regionale del 1950, che ha spezzettato e diviso buona parte dei grandi latifondi in piccoli appezzamenti di terreno, si ha una netta prevalenza della piccola proprietà contadina. Fenomeno che, nel corso degli anni, è andato accentuandosi con il passaggio delle proprietà da padre a figlio: proprietà che si sono ulteriormente spezzettate in appezzamenti sempre più piccoli di terreno, là dove la divisione riguardava due o più figli.
Tranne pochi casi, in Sicilia la cooperazione tra gli agricoltori stenta ad affermarsi. In parte per la diffidenza storica del siciliano verso il lavoro e gli utili da dividere insieme (“In Sicilia ogni uomo è un’isola”, diceva Luigi Pirandello), in parte perché le cooperative arrivate da fuori non hanno fornito un grande esempio, limitandosi e prendere il prodotto siciliano e a rivenderlo in altre regioni. E’ il caso del pomodorino di Pachino che a Milano si vende 8 euro al chilogrammo e che ai produttori di Pachino viene pagato 0,30 centesimi di euro!
Già queste piccole aziende agricole siciliane stentavano. La situazione è precipitata negli ultimi anni a causa di due fattori tra di loro strettamente connessi: la politica agricola dell’Unione Europea e l’arrivo di prodotti agricoli dalla Cina, dai Paesi asiatici e dal Nord Africa.
L’Unione Europea, in materia di agricoltura, ha provocato – e continua a provocare – danni enormi alle agricolture del Sud Europa. Contrariamente a quello che cercano di fare credere, l’Unione Europea non ha nulla a che vedere con i grandi europeisti degli anni ’50 e 60’ del secolo scorso, da Gaetano Martino ad Altiero Spinelli, per citare solo gli italiani. L’Unione Europea di oggi è retta da un covo di massoni e di finanzieri senza scrupoli che, soprattutto in materia economica, o fanno parte o sono comunque vicini a Germania e Francia. L’Unione Europea non è democratica. Il Parlamento di Strasburgo non conta nulla. A comandare è la Commissione, i cui membri sono ‘designati’ dai vari potentati e non eletti dal popolo: cosa, questa, che voi americani non tollerereste. La Commissione prende ordini dalle varie massonerie finanziarie e da Germania e Francia.
Da questi signori sono partiti gli ordini per produrre il vino senza uva, il cioccolato senza cacao e i succhi di frutta senza frutta. Ai lettori americani quello che stanno leggendo sembrerà una barzelletta. E, in effetti, produrre succhi di frutta senza frutta e immetterli sul mercato è una truffa. Ma così ha stabilito l’Unione Europea.
Non solo. La stessa Unione Europea – e siamo arrivati al secondo fattore di crisi – consente ai prodotti agricoli cinesi, asiatici e nordafricani di circolare liberamente nei Paesi europei. C’è un piccolo particolare: che gli ortaggi e la frutta cinese, asiatica e nordafricana presentano costi di produzione inferiori del 90 per cento a quelli del Su d’Italia e, in particolare, della Sicilia.
Che è successo negli ultimi anni? Semplice: che i produttori agricoli, per andare avanti, si sono indebitati in buona parte con le banche, ma anche con l’Istituto nazionale di previdenza (Inps). E’ successo, poi, che le banche – tutte del Centro Nord Italia – hanno perso un sacco di soldi nelle sballate speculazioni finanziarie. E adesso – guarda caso quando a governare è Monti: un ‘caso’, appunto… – stanno cercando di fare ‘cassa’ impadronendosi dei terreni di migliaia e migliaia di agricoltori siciliani che, non potendo pagare i debiti, hanno subito il pignoramento dei propri terreni. Aiutati, in questo, dai governi Berlusconi che, tra il 2001 e il 2006, hanno fatto approvare dal Parlamento una ‘riforma’ che ha portato alle stelle gli utili dell’esattore che oggi è lo Stato (l’ex ministro Giulio Tremonti ha pensato e voluto questa riforma delle esattorie che, da privare, sono diventate pubbliche: esattorie che praticano una vera e propria azione di ‘strozzinaggio’ per fare ‘cassa’ a spese dei cittadini: bella la ‘Rivoluzione liberale’ di Berlusconi, no?).
Se oggi gli agricoltori siciliani scendono in piazza è perché non hanno nulla da perdere: stanno solo cercando di non farsi ‘depredare’ le loro proprietà. E sono disposti a tutto. Anche una ‘guerra’ per le strade. Azzardo una previsione: il governo Monti, se proverà a usare la forza, getterà l’Italia nel caos, anche perché ai siciliani si sono uniti gli agricoltori di altre regioni del Mezzogiorno e i pastori della Sardegna che sono furenti quanto lo sono gli agricoltori siciliani.
Non va meglio per i pescatori. Sono quelli di Mazara del Vallo, di Sciacca, di Licata, di Catania, di Palermo, di Scoglitti e di altre piccole marinerie siciliane. Il caro-carburante impedisce alle imbarcazioni di andare per mare. Con un Mediterraneo che, a causa di uno sfruttamento irrazionale, è sempre meno pescoso. La Sicilia avrebbe dovuto puntare sugli allevamenti di pesce a mare, che sono l’unica alternativa alle attuali tecniche di pesca, tradizionali e moderne. Ma non lo ha fatto perché i governanti della Sicilia pensano per lo più a rubare e a ‘saccheggiare’ il territorio.
Gli autotrasportatori sono pure in crisi perché non ce la fanno più a tirare avanti con il carburante che costa 1,7 euro al litro.
Alla protesta di queste tre categorie si sono uniti gli studenti. Per ora l’adesione è a ‘macchia di leopardo’. Ma non è da escludere che, con l’imminente occupazione dei Comuni, gli studenti si decidano a partecipare in massa alla protesta. Anche perché i giovani, benché giovani – o forse proprio per questo – hanno capito che i rappresentanti di queste categorie stanno lottando anche per loro contro un governo nazionale che è in mano alle banche. E contro un governo della Sicilia – quello retto da Raffaele Lombardo – che è forse il peggiore governo della storia dell’Autonomia siciliana.
Non so se, nei giorni scorsi, avere letto le esternazioni del presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello. Che ha parlato di “infiltrazioni mafiose” nel Movimento dei Forconi. Quello che qui possiamo affermare è che Lo Bello, forse, avrebbe fatto meglio a risparmiarsi certe accuse lanciate nel mucchio. Non tanto e non soltanto perché non ha fatto nomi e cognomi, mantenendosi su accuse generiche; ma anche perché Lo Bello è stato per lunghi anni presidente del Banco di Sicilia quando già la gloriosa banca siciliana era finita nell’orbita di Unicredit, guarda caso una delle grandi banche italiane che si è ‘scottata le mani’ con le speculazioni finanziarie.
Gli agricoltori siciliani sono indebitati con Unicredit? Questo non lo sappiamo. Noi abbiamo grande rispetto per Ivan Lo Bello e per la svolta che ha impresso a Confindustria Sicilia nella lotta al racket del ‘pizzo’ (oggi Confindustria Sicilia mette alla porta gli imprenditori che non denunciano gli estortori: e fa bene).
Ci chiediamo, però – e lo chiediamo proprio al presidente di Confindustria Sicilia, Lo Bello – se, per caso, ancora oggi, lavora per strutture bancarie, economiche o finanziarie riconducili al sistema bancario italiano e, segnatamente, ad Unicredit. Noi ci auguriamo di no, perché se fosse così il presidente sarebbe protagonista di un brutto conflitto di interessi.

 

 

 


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