La vera storia della ‘conquista’ del Sud

La creazione di questa nota nasce da una chiacchera avuta qualche giorno fa con un caro amico in quella che considero la piazza di facebook , ovvero questo luogo virtuale che in qualche maniera ha sostituto il bar o le piazze delle nostre città o cittadine o paesi dove ci si incontrava e si passava del tempo a riflettere e dilettarsi in discorsi che avevano i temi più differenti secondo le passioni e le attittudini di ognuno di noi. Per cui non ho certo la pretesa di essere uno storico ma, al massimo, un appassionato di Storia che, con le sue piccole ricerche (e ho scritto piccole non per falsa modestia ), vuole provare a dare il suo contributo e, al contempo, a comprendere anche attraverso critiche o correzioni, a fare chiarezza ad una parte della nostra storia che, a mio parere, meriterebbe nelle nostre scuole un maggiore approfondimento e probabilmente una rivisitazione.
Qualcuno di voi si chiederà il perché ho scelto questo periodo. Per amore della verità o almeno di parte di essa, non certo per spirito neo-borbonico che con tutto il rispetto trovo perlomeno anacronistico. In un periodo in cui si parla di Unità d’Italia (di cui sono un fautore ), si discute di responsabilità storiche del Sud Italia, ho voluto semplicemente dire la mia, vedendo il più possibile di riportare le considerazioni e le cifre ed i fatti che ho trovato non contestati da storici di opinioni diametralmente differenti su tale tema.
Il primo punto da cui desidero partire è quello del territorio. L’area del Regno comprendeva le attuali regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, oltre a gran parte del Lazio meridionale (distretti di Sora, Gaeta, Cittaducale e l’area orientale dell’attuale provincia di Rieti). Inoltre, al Regno appartenevano le Isole di Pelagosa (Capitanata), oggi parte della Croazia. Le città di Benevento e Pontecorvo erano delle enclavi pontificie. Quindi un’area più vasta di quanto viene genericamente pensata, ovvero Campania, Abruzzo , Basilicata, Calabria e Sicilia.

Il Pil (Prodotto interno lordo) del Regno delle due Sicilie, al momento della sua caduta, era – riparametrandolo alla lira piemontese – di 2.620.860.700 contro il 1.610.322.220 del Piemonte. Le riserve auree in moneta erano pari a 443 milioni di lire contro un totale del resto d’Italia pari a 226 milioni di cui 27 milioni la quota del Piemonte. I certificati del tesoro venivano pagati con un 0,87% d’interesse contro il 4,22% del Piemonte. Il Regno delle due Sicilie garantiva la sua moneta interamente con i propri fondi in oro, mentre quella del Regno Sabaudo solo per una lira su tre.
Il Piemonte era fortemente indebitato con Francia ed Inghilterra al punto che Francesco Saverio Nitti, nel 1862, affermò che “senza l’unificazione dei vari Stati, il Regno di Sardegna per l’abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento. La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il ’49 e il ’59 da un’enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, aveva determinato una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di uno stato più grande”.
Allora se dovessimo giudicare dal Pil e da altri dati che svilupperò nel corso di questo articolo, come è possibile che in una maniera relativamente facile lo Stato delle due Sicilie si dissolvesse con la spedizione dei Mille? Comunque un aspetto ci appare evidente da questo dato, ed è che certamente l’Inghilterra non aveva alcun interesse nel fallimento della Monarchia Sabauda ed anche che il Sud era un boccone ghiotto almeno da un punto di vista finanziario. Per comprendere quindi meglio gli avvenimenti che portarono all’unificazione occorre a mio parere partire dal 1799, ovvero con l’inizio del periodo Napoleonico. Durante tale periodo avvennero delle grosse trasformazioni che cambiarono buona parte del sistema giuridico e, soprattutto, abolendo nel, 1806, il sistema feudale che ancora esisteva nel Regno di Napoli. Da questo momento in poi inizia un profondo progressivo rinnovamento del Regno che, in realtà, vedremo fermarsi nel 1860 al momento della riunificazione ed al contempo anche il progredire di un conflitto su due fronti: uno interno con la nobiltà siciliana ed uno politico con l’Inghilterra.

Infatti Ferdinando IV, poi diventato Ferdinando I Re delle due Sicilie, mantenne gran parte delle riforme ponendosi a capo di una monarchia amministrativa basata su i codici Napoleonici. In ogni caso, Ferdinando IV, commise un errore quando, nel 1814, riunificò sotto un unica corona il Regno di Sicilia e quello di Napoli, rendendo de facto il Parlamento Siciliano privo di contenuti reali. Questo atto non fu mai perdonato ai Borboni da parte della nobiltà Siciliana, la quale cominciò a lanciare proclami indipendentisti. Infatti nel 1820 avvennero dei moti che furono presto sedati dalle milizie borboniche. Chiuso questo capitolo, l’1 luglio dello stesso anno insorse a Nola una parte dell’esercito borbonico. Ferdinando, resosi conto dell’impossibilità di sedare questa rivolta decise, di concedere la Costituzione. Che fu ritirata pochi mesi dopo, nel 1821, in seguito alle ‘pressioni’ esercitate dopo il Congresso di Liubiana, quando venne deciso d’inviare un esercito austriaco per ristabilire l’ordine.
Pochi anni dopo, nel 1825, Re Ferdinando I muore, passando il Regno al figlio. Il successore che divenne Re col titolo di Francesco I, ebbe un Regno di breve durata, sei anni in tutto, dove comunque lo Stato s’impegno in opere di bonifica, furono aperti ospedali, fu costruito il Palazzo delle Finanze a Napoli. Ferdinando I istituì nuove leggi per favorire il commercio continuando quindi la modernizzazione del Regno iniziata con il periodo Napoleonico. Alla sua morte successe il figlio Ferdinando II.

Il periodo di Regno di Ferdinando II è di assoluto interesse. Intanto perché non vi è assolutamente uniformità di giudizio da parte degli storici. Alcuni lo dipingono come un tiranno conservatore, altri come un riformista e uomo deciso a rendere il suo Regno indipendente dalle grandi potenze, fra le quali – e soprattutto – l’Inghilterra.
La mia opinione è che, probabilmente, la verità sta nel mezzo. Trovo interessante questo scritto di un ufficiale del Regno delle due Sicilie dove si legge: “… non aveva ancora 21 anni quando salì al trono delle due Sicilie, ma aveva già buona istruzione, ingegno straordinario, sereno e profondo. Conosceva gli uomini che stavano al potere e le condizioni del Regno, perciò le sue prime cure furono al personale dell’amministrazione e al benessere de’ suoi sudditi. Cambiò il Luogotenente di Sicilia e confermò tutti i magistrati. Nel personale della Corte fece delle novità, come anche nell’esercito. Cambiò due ministri. Cominciò il suo Regno col rinunziare a favore dello Stato la somma annuale di 100.000 ducati sulla sua lista civile, ed altri 190.000 ducati sopra quella della Reale Famiglia; diminuì le spese di guerra e migliorò l’esercito; dispose che si facesse una regolare economia sopra tutti i Ministeri; il soldo dei ministri ridusse alla metà, e solo con quello risultò un risparmio di circa 900.000 ducati annui. Ordinò che la stessa persona non potesse avere due impieghi governativi. Ridusse tutti i soldi di quelli che avevano più di ducati 25 mensili. Il dazio del macinato levò per metà, abolì quello della carne, del vino e del tabacco per la Sicilia”.
Altro episodio importante ed estremamente significativo durante il suo Regno e indicativo del desiderio d’indipendenza dalle grandi potenze fu la crisi dello Zolfo con l’Inghilterra nel 1836. Vorrei farvi notare che, all’epoca, lo Zolfo era una risorsa estremamente importante. In breve, lo zolfo era una risorsa strategica per la fabbricazione della polvere da sparo e la produzione delle miniere siciliane copriva buona parte della domanda mondiale. Ferdinando II ritenne svantaggiose per le casse dello Stato le condizioni economiche della concessione assegnata agli inglesi che traevano profitto dal minerale acquistandolo ad un costo molto basso e rivendendolo ad un prezzo molto alto. La soluzione sembrò arrivare dalla Francia che, tramite una ditta di Marsiglia, offrì di pagare il doppio rispetto agli inglesi. Tutto ciò provocò una reazione forte e minacciosa da parte della Gran Bretagna che, oltre a preannunciare il sequestro delle navi siciliane, mandò una flotta nel golfo di Napoli.
Federico II non si fece intimorire ed ordino alla sua flotta ed al suo esercito di proteggere le coste del Regno. Va detto che ‘Real Marina’ all’epoca era una delle flotte maggiori del Mediterraneo ed equipaggiava già navi da guerra a vapore, tanto che alcuni storici la piazzano come la terza d’Europa. Io sono più propenso a valutare per corretta quella di storici che classificano la ‘Real Marina’ del Regno delle due Sicilie all’ottavo posto dopo Inghilterra, Francia, Russia, Spagna, Olanda, Svezia, Norvegia e Danimarca.
La crisi fu comunque scongiurata grazie all’intervento di Luigi Filippo di Francia che convinse Re Ferdinando a cancellare il contratto e pagare il mancato guadagno alla società francese ed a pagare i danni per le mancate vendite agli inglesi. Inoltre è da non sottovalutare che, durante il Regno di Ferdinando II, la flotta mercantile fosse raddoppiata raggiugendo le 243.000 tonnellate ed oltre 9.000 navi e che fossero stati fatti investimenti significativi come il primo bacino di carenaggio in muratura italiano e lo stabilimento di Pietrarsa dedicato alla cantieristica navale. Inoltre furono aperte molte rotte commerciali con vari paesi come Russia , Turchia , India , Usa, Danimarca, Olanda, Svezia. Insomma ve ne era abbastanza per non essere amati dall’Impero Britannico. Anzi.

E in Sicilia? La situazione siciliana non era certamente migliorata. Palermo, pur restando una delle capitali del Regno era, in realtà, svuotata di ogni aspetto decisionale. Napoli appariva – e di fatto era – sempre più il centro del Regno: un Regno che vedeva con un certo sfavore il latifondismo in Sicilia. In questo scenario, i rapporti mercantili di alcune famiglie siciliane gli inglesi erano intentsi: cosa, questa, che alimentava quel desiderio d’indipendenza, da parte di una certa Sicilia, che portò ai moti del 1948 guidati da Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa. Una rivolta che produsse l’indipendenza del Regno di Sicilia da Napoli, la formazione di un nuovo governo provvisorio con a capo Ruggero Settimo e la proclamazione di una nuova Costituzione. Tutto questo fina a quando un contigente di 16.000 uomini guidato dal Generale Filangieri non riconquistò l’Isola.
Durante tale periodo il Re fece bombardare Messina guadagnando il soprannome di “Re bomba” (simile bombardamento si ripetè 12 anni dopo ad opera dei Savoia su Gaeta). I Borboni, una volta riconquistata la Sicilia, concessero l’amnistia, tranne che per alcuni membri dell’intellighenzia isolana (La Masa, Crispi, Amari, Fardella di Torrearsa … ) ad i quali fu data la possibilità d’imbarcarsi per Genova. Alcuni di loro, 12 anni dopo, saranno fra gli organizzatori e sostenitori della spedizione dei Mille.
La frattura comunque con la nobiltà siciliana appare insanabile. La crisi del 1948 inevitabilmente porta a dei ritardi nello sviluppo del Paese che comunque non si ferma. Bisogna anche dire che, dopo la crisi del 1948, alcuni storici lo accusano i Borboni di dispotismo. Anche in questo caso, valutando diverse fonti ed anche alcuni scritti dell’epoca, le opinioni appaiono contrastanti. Gli scritti e le opinioni maggiormente negative appaiono di fonte inglese, fra cui le lettere del Palmerston. Provando comunque a fare paragoni con altri Monarchi del periodo, la mia opinione è che non si possa affermare con certezza che i Borboni non siano stati dei tiranni e la stessa Costituzione che proclamavano nel 1848 appare in linea con i principi democratici del periodo (a tal proposito, vi è da dire che, ad un certo punto, la Costituzione venne sospesa, ma mai formalmente abrogata).
Un altro aspetto poco noto del Regno Borbonico è che era favorevole all’abolizione della schiavitù e della tratta dei negri, arrivando a firmare anche un accordo con Francia ed Inghilterra che metteva eventualmente a disposizione dei vascelli armati per combattere tale indegno commercio umano. Alla sua morte, nel 1859, Ferdinando lascia uno Stato che, oltre ad avere il migliore bilancio peninsulare, deteneva vari primati, a cominciare dalle opere di modernizzazione. Ne enumero alcune: l’Università di Napoli con la cattedra di Economia Politica, che fu tra le prime di tal genere in Europa; i Cantieri Navali di Castellamare di Stabia, capaci di produrre Navi a vapore (primi ed unici in quel momento in Italia); la prima ferrovia la Napoli-Portici, la Napoli-Caserta- Capua e tanti altri progetti che prevedevano l’estensione delle linee ferroviare in tutto il Regno da nord a sud e verso la Puglia e l’Abruzzo: programmi d’investimento che furono abbandonati/rallentati dopo il 1861; una grossa produzione agricola in buona parte destinata al mercato interno, ma che negli ultimi anni si era aperta anche verso l’estero: basti ricordare il commercio dei vini (Marsala) soprattutto verso la Gran Bretagna (un filone che aveva aperto delle buone relazioni commerciali, tramite i Whitaker, proprio in quell’area dove, guarda il caso, avvenne lo sbarco dei Mille) e il caso della Puglia, con lo sviluppo di tecniche innovative per la produzione del grano e dell’olio.
Nel campo industriale, oltre i sopra citati stabilimenti (trasformazione delll’uva e del grano), possiamo citare il polo industriale tessile nella valle del Sarno, le officine di Pietrarsa per la produzione di locomotive, la cartiera di Fibreno nella valle del Liri, il complesso siderurgico della Mongiana in Calabria (che vedeva operare al proprio interno 1500 lavoratori), il primo telegrafo elettrico, il primo esperimento d’illuminazione pubblica elettrica a Capodimonte.

Ed allora dove stavano i punti deboli del Regno? Oltre alla citata situazione instabile col Regno di Sicilia, vi era sicuramente uno sviluppo del Paese che non era organico. Nelle campagne dell’interno rispetto alle aree costiere resisteva – specialmente in Sicilia – il latifondo. Lo sviluppo delle vie di trasporto marine premiavano le zone costiere; così come il commercio e l’industria, reputate prioritarie rispetto quelle terrestri, avevano certamente penalizzato i collegamenti interni del Regno, per cui, al momento dell’annessione, la rete stradale era di 14.000 km rispetto i 28.000 km della Lombardia (da notare però l’ovvia difficoltà geografica). Per quanto riguarda la rete ferroviaria, questa si sviluppava per un totale di 99 Km (ho trovato anche stime di 132 Km) contro gli 822 Km dello Stato Sabaudo (anche qui abbiamo fonti diverse che parlano di 866 Km).
Altro ‘tallone d’Achille’ del Regno era l’analfabetismo, con un’incidenza di 87 su 100 abitanti contro i 67 su 100 del Nord. Un analfabetismo maggiormente concentrato in Sicilia, con una leggera percentuale maggiore rispetto le altre regioni del Regno. Va comunque detto che la situazione scolastica di base era in media scadente in tutta Italia. Di contro, però, il Regno delle due Sicilie aveva un elevato numero di Università e Reali Licei, tant’è vero che il numero di laureati era comunque in media più alto di quello di altre zone d’Italia e dello stesso Piemonte.
Si riscontrava, poi, una bassa partecipazione della borghesia al governo, mentre forte appariva l’influenza del clero. Infatti per quanto il Regno avesse cominciato ad ammordernarsi in maniera significativa, la borghesia non aveva ancora sviluppato, all’interno del Paese, una presenza tale da poter far sentire la propria voce; e questo avveniva sia per le resistenze del clero, sia per l’influenza della nobiltà. La sospensione della Costituzione del 1848 non fece che aggravare tale malcontento. In politica estera il Re borbonico ed i ministri che lo coadivurano erano certamente degli ottimi economisti e gestori dei conti pubblici (infatti Napoli vantava la facoltà di Economia Politica ed era quasi della metà rispetto al Regno di Sardegna), ma non erano altrettanto validi nella gestione dei rapporti con gli stati esteri. Infatti si mantennero neutrali durante la guerra di Crimea, non avevano tendenze belliggeranti come molti altri Paesi dell’epoca ed armare l’esercito non era una delle priorità del Regno. Inoltre avevano sviluppato una politica economica che voleva affrancarli dal peso dei rapporti con la Gran Bretagna, puntando sulla marineria, sulle industrie e sulle vie commerciali: opzioni che avrebbero consentito al Regno di svincolarsi dal giogo brittanico senza però sviluppare quelle alleanze con altre potenze straniere che potessero permettergli di godere di protezioni. Quella dei Borboni era una politica estera ‘indipendentist’, basata su un potenziale sviluppo economico e questo gli fu fatale.

Tali punti a mio parere erano abbastanza chiari a Francesco II, il quale appena entrato al governo provò a mettere da parte la vecchia classe dirigente e a lanciare i progetti di ammodernato delle strade e delle reti ferroviarie. Tutto questo gli fu impedito dalla spedizione dei Mille che sbarcò a Marsala grazie ad un supporto di copertura della Marina Inglese e poi all’apporto di forze locali supportate da importanti figure nobiliari come Giuseppe di Paternò e dalla presenza, in fase d’ideazione, anche di esuli siciliani come Crispi, Amari, La Masa.
Nel 1861 chiude la sua Storia il Regno delle Due Sicilie. Credo quindi con questa breve ricerca di avere voluto aprire un velo di verità su questo periodo storico e mi scuso per le inevitabili inesattezze e per gli errori che, eventualmente, vi invito a segnalarmi. A mio parere va quindi fatto notare che il Sud non era quest’area di depressione che oggi si tende a far studiare nelle scuole, che la questione meridionale non nasce con i Borboni anche se, ovviamente, aveva già i primi ‘virus’ al proprio interno.
Comunque la caduta del Regno dei Borboni non fu causata solo da fattori interni, ma anche esterni che, anzi, avevano come mira proprio il mantenimento dello status quo e lo sfruttamento di parte delle risorse. Probabilmente, se non ci fosse stata la spedizione dei Mille avremmo assistito ad un altra storia, che avrebbe comunque visto arrivare l’Unita d’Italia ma in diversa maniera, probabilmente più lenta e simile a quella della Germania. Ma con i se e con i ma non si fa la storia .

 

 


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