1912, cento anni fa, succedeva…

Trepidanti per l’anno appena iniziato e colmi di curiosità per ciò che esso ci riserverà, non appaia di secondaria utilità riflettere su ciò che potremmo definire “lo stato del mondo”, esattamente cento anni fa. La storia infatti oltre che essere maestra di vita, presenta l’indubbia utilità di riflettere sulla natura del mondo e di coloro che lo abitano e, quando presa in considerazione, riesce ad aiutare i contemporanei a comprendere il presente e a prefigurare il futuro.
Per l’Italia e per il mondo il 1912 fu denso di avvenimenti che vennero vissuti con analoga incertezza, pur se diversamente amministrata e diffusa a motivo dall’ inferiore velocità delle informazioni.
L’anno si aprì con una notizia che oggi definiremmo epocale: dopo millenni la Cina, il Celeste Impero, cessava di essere una monarchia assoluta dalle origini avvolte nel mito e diventava una Repubblica, immediatamente spossessata da ogni connotato moderno (le elezioni erano state vinte dal partito di Sun Yat Sen) perché guidata nei primi anni dal dittatore, generale Yuan Shikai, che aveva deposto l’imperatore Puyi.
Negli Stati Uniti, dopo la leggendaria presidenza di Theodore Roosvelt, sedeva alla Casa Bianca William Howard Taft, 27° nell’incarico, prestigioso e imponente (pesava ben 175 chilogrammi) docente di legge ad Harward, dove sarebbe tornato pochi anni dopo, lasciando il posto a Woodrow Wilson. Taft fu ritenuto un buon amministratore ma commise gravi errori in politica estera, specie in America , ove sostenne indiscriminatamente tutti quei governi che potevano essere utili all’economia USA con la cosiddetta Diplomazia del Dollaro. Durante il suo mandato Nuovo Messico e Arizona divennero rispettivamente il 47° e il 48° Stato dell’Unione.
L’Europa del 1912 non era certo un luogo tranquillo. Nella Russia zarista, ancora sotto choc per l’inimmaginabile sconfitta ad opera del Giappone subita nel 1905, si accendeva già la miccia di quella sarebbe stata pochi anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre, gli Stati dei Balcani (Bulgaria, Grecia, Serbia e Montenegro) formano la lega omonima, favorita dalla Russia, che si opponeva all’Impero Ottomano sulla questione della Macedonia. Nel sud del continente infuriava una guerricciola, almeno così sarebbe apparsa dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, tra Italia e Turchia, combattuta, come si sarebbe più tardi fatta esperienza altrove, in un teatro lontano quale quello della Libia, definita da Gaetano Salvemini “uno scatolone di sabbia” (sic!)
Gli italiani cantavano “Tripoli bel suo d’amore” alimentando quel desiderio d’impero che poi il fascismo avrebbe trasformato in tragica farsa.
La principale notizia di cronaca di quell’anno suscita ancora oggi grande emozione. Costruito presso i cantieri di Belfast, il Titanic rappresentava la massima espressione della tecnologia navale ed era il più grande e lussuoso transatlantico del mondo. Durante il viaggio inaugurale da Southampton a New York entrò in collisione con un iceberg alle 23:40 del 14 aprile. L’impatto provocò l’apertura di alcune falle lungo la fiancata destra del transatlantico, che affondò 2 ore e 40 minuti più tardi, spezzandosi in due tronconi. Nella sciagura, una delle più grandi tragedie nella storia della navigazione civile, persero la vita 1523 dei 2223 passeggeri imbarcati compresi gli 800 uomini dell’equipaggio. L’evento suscitò un’enorme impressione nell’opinione pubblica e portò alla convocazione della prima conferenza sulla sicurezza della vita umana in mare. Molti decenni dopo, quel fatto avrebbe ispirato un vero e proprio filone cinematografico e suscitato emozioni in ogni parte del mondo, lanciando un giovanissimo Leonardo Di Caprio
Nella cronaca domestica l’evento di maggior rilievo fu a Roma il fallito attentato a Vittorio Emanuele III, ad opera dell’anarchico Antonio D’Alba. Si erano appena concluse le celebrazioni del 50° Anniversario della proclamazione del Regno e già il secondo successore del Padre della Patria aveva rischiato di fare la fine di Umberto I (Monza 1900). Poche ore dopo il fallito attentato, Vittorio Emanuele ricevette la visita dei socialisti riformisti Ivanoe Bonomi, Leonida Bissolati e Angiolo Cabrini, che si felicitarono con il Re; questo gesto diede poi il pretesto alla maggioranza del PSI di espellere i tre riformisti colpevoli di aver appoggiato il quarto governo Giolitti nella guerra contro la Turchia.
Già, Giolitti era il protagonista della scena politica del tempo.Il suo quarto governo durò dal 30 marzo 1911 al 21 marzo 1914. Nacque come il tentativo probabilmente più vicino al successo di coinvolgere al governo il Partito Socialista, che infatti votò a favore. Il programma prevedeva la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita e l’introduzione del suffragio universale, progetti di considerevole valenza “sociale” e entrambi immediatamente realizzati (dal suffragio erano comunque ancora escluse le donne). L’approvazione del provvedimento relativo alle assicurazioni sulla vita fu, secondo molti studiosi, uno degli ultimi eventi che segnarono la vittoria della Stato nel confronto con i privati. L’intervento pubblico nel settore assicurativo portò durante il primo anno di governo, su proposta del ministro dell’Agricoltura Francesco Saverio Nitti, alla nascita dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA). A capo di questo ente fu posto il giovane socialista e massone Alberto Beneduce futuro fondatore dell’ IRI (1933) e futuro suocero di Enrico Cuccia, che ne avrebbe sposato la figlia dall’inconsueto ma rivelatore nome di battesimo (?) di Italia Libera Socialista.
Giolitti spinse, inoltre, la maggioranza ad approvare il provvedimento che prevedeva la corresponsione di un’indennità mensile ai deputati. Bisogna ricordare, infatti, che all’epoca i parlamentari non avevano alcun tipo di stipendio e/o indennità: ricevere denaro come retribuzione per l’attività politica svolta era considerato degradante in quanto irrispettoso nei confronti dei cittadini e della cosa pubblica. L’unico “privilegio” concesso ai deputati era la tessera gratuita per le ferrovie. Giolitti governò sino alle soglie della Prima Guerra Mondiale di cui fu fiero oppositore e che, probabilmente, avrebbe evitato se, scavalcando lo Statuto Albertino, Vittorio Emanuele III non avesse imposto al Paese l’interventista Salandra. Se la storia si potesse costruire con i se, forse l’Italia avrebbe avuto comunque Trento e Trieste, ma non il Fascismo.
A Palermo, ancora felicissima e sotto l’egida di Vincenzo Florio erano sindaci in quell’anno Girolamo Di Martino (sino ad agosto) e Vincenzo Di Salvo; insegnava Filosofia Teoretica Giovanni Gentile che, come ci ricorda Piero Di Giovanni, proprio nel 1912 pubblicò Il Metodo dell’Immanenza, per i tipi dell’editore/libraio di Palermo Reber (Annuario della Biblioteca Filosofica). I palermitani leggevano periodici dai titoli dimenticati: Il Babbio, La Battaglia, La Bilancia, Il Capitan Fracassa, il Centro, l’Intransigente, il Piff Paff (oggi sarebbero online) , oltre agli immancabile Giornale di Sicilia e L’Ora – già in comproprietà tra Ignazio Florio e il “mugnaio” Filippo Pecoraino – in quell’anno diretto da Tullio Giordana.
Chi poteva comprava i mobili Ducrot e immortalava nella storica sede di via Cavour i momenti importanti della propria vita sotto l’occhio attento degli Interguglielmi, fotografi dal 1863 (nel 1912 nasceva Roberto) che avevano ritratto gli esponenti delle grandi monarchie europee ospiti a Villa Igea. La vita non doveva essere facile per tutti però se nei due primi decenni del XX secolo emigrarono tre milioni di persone da Sicilia, Calabria e Campania (tra i complessivi 9 milioni in tutt’Italia).
Il 1912 registrò nel mondo la nascita di numerose personalità che sarebbero state protagoniste del XX secolo in campi diversi: vi videro la luce, tra i tanti, i siciliani Renato Guttuso (nato il 26 dicembre 2011 ma registrato all’anagrafe il 2 gennaio successivo) e il filosofo Giuseppe Maria Sciacca, indimenticato maestro di pensiero e di metodo, l’Abbe Pierre fondatore di Taizè e l’educatore cattolico Don Andrea Ghetti (Baden), tra le più alte figure dello Scautismo italiano, l’attore Renato Rascel, l’ultimo segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini, l’editore Giulio Einaudi, il regista Michelangelo Antonioni, l’economista Milton Friedman, il grande matematico e padre dell’informatica, Alan Madison Turing, (suicidatosi poi mordendo la mela avvelenata che divenne il simbolo di Apple), i critici Giovanni Macchia e Gianfranco Contini, il drammaturgo Eugene Ionesco, il pittore Jackson Pollock e la scrittrice Elsa Morante. Ci avrebbero narrato il secolo più significativo, e più breve, della storia dell’Umanità, I quasi cento anni del massimo bene e della “banalità del male”.
A metà circa di quell’anno fu generato mio padre. Sarebbe nato l’8 febbraio 1913. Visse due guerre e una prigionia. Nel suo diploma di congedo dopo 40 anni nell’Amministrazione Postale sono scritte parole “antiche” che mi hanno commosso: “per il lodevole servizio prestato al servizio del Paese”.
Oggi non usa più.
Alla sua memoria è dedicato questo articolo.

 


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